Niente di meno del futuro della politica in Occidente – e nel Sud del mondo – si sta giocando in Brasile.

Andando al nocciolo della questione, le elezioni presidenziale in Brasile rappresentano uno scontro diretto tra democrazia e neofascismo da inizio XXI secolo, cioè tra civilizzazione e barbarie.

Le ripercussioni economiche geopolitiche e globali saranno immense. Il dilemma brasiliano mette in evidenza tutte le contraddizioni che circondano l’offensiva populista di destra in tutto l’Occidente, accompagnata dall’inesorabile collasso della Sinistra. La posta in gioco non potrebbe essere più alta.

Jair Bolsonaro, sostenitore convinto della dittatura militare brasiliana del secolo scorso, normalizzato come “candidato dell’estrema-destra”, ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali di domenica [il 7 ottobre] con più di 49 milioni di voti. Questo risultato rappresenta il 46% dei voti totali, solo poco meno della maggioranza necessaria per una vittoria assoluta. Questo di per sé è uno sviluppo che lascia a bocca aperta.

Il suo oppositore Fernando Haddad del Partito del Lavoratori (PT) ha ottenuto solo 31 milioni di voti, cioè il 29% del totale. Sarà lui ora ad affrontare Bolsonaro nel ballottaggio del 28 ottobre. Una prova di Sisifo attende Haddad: per raggiungere solo la parità con Bolsonaro, ha bisogno di ciascun singolo voto di chi ha sostenuto i candidati arrivati al terzo e quarto posto, più una quota sostanziale di quasi il 20% dei voti nulli.

Nel frattempo, secondo gli ultimi sondaggi, non meno del 69% dei Brasiliani dichiara di essere a favore della democrazia. Il che significa che il 31% non lo è.

Nessun Trump tropicale

Neanche “distopia centrale” riesce a definire la situazione. I Brasiliani progressisti sono terrorizzati di dover affrontare un mutante “Brasile” (il film) con il deserto di Mad Max devastato da fanatici evangelici, rapaci capitalisti neoliberali da casinò e da una rabbiosa inclinazione militare a ricreare la dittatura 2.0.

Bolsonaro: pericolo per il Brasile

Bolsonaro, ex paracadutista, è stato descritto dai media mainstream occidentali essenzialmente come il Trump dei tropici. I fatti sono molto più complessi.

Bolsonaro, membro mediocre del Congresso per 27 anni senza alcuna eccellenza sul suo c.v., demonizza in maniera indiscriminata i neri, la comunità LGBT, la Sinistra nella sua interezza, la “feccia” ambientalista e soprattutto, i poveri. E’ dichiaratamente a favore della tortura. Si presenta come un messia, cioè un avatar del destino venuto per “salvare” il Brasile da tutti i suddetti “peccati”.

La Dea del Mercato, come prevedibile, lo sostiene. Gli “investitori”, cioè quelle entità semi-divine, lo reputano positivo per “il mercato”, con la sua offensiva dell’ultimo minuto nelle elezioni che ha avuto come riflesso il rialzo [in inglese] del real brasiliano e della borsa di San Paolo.

Bolsonaro potrebbe essere il classico “salvatore” di estrema destra di stampo nazista. Potrebbe incarnare il populismo di destra fin nel profondo. Ma non è sicuramente un “sovranista”, lo slogan di scelta nel dibattito politico in Occidente. Il suo Brasile “sovrano” sarebbe governato più probabilmente come una dittatura militare retrò completamente subordinata ai capricci di Washington.

L’elezione di Bolsonaro è aggravata dal suo compagno di elezioni, un generale in pensione e di scarsa cultura, un uomo che si vergogna delle sue origini a sangue misto, e dichiaratamente a favore dell’eugenetica. Tale Generale Antonio Hamilton Mourão ha persino rievocato [in inglese] l’idea di un colpo di Stato.

La manipolazione delle elezioni riguarda enormi interessi economici, legati alla ricchezza mineraria, al business agrario e soprattutto al cosiddetto “midwest” brasiliano. E’ completo di squadroni della morte contro i nativi brasiliani, i contadini senza terra e le comunità afro-americane. E’ un paradiso per l’industria delle armi. Chiamatela l’apoteosi del neo pentecostale cristiano-sionismo dei tropici.

Lode al Signore

In Brasile ci sono 42 milioni di evangelici e più di 200 rappresentanti in entrambi i rami del Parlamento. Non scherzate con la loro jihad. Sanno come esercitare un appello di massa tra i mendicanti al banchetto neoliberale. La sinistra di Lula semplicemente non ha saputo sedurli.

Quindi, anche con l’eco di Mike Pence, Bolsonaro è il Trump brasiliano solo in un certo senso: le sue capacità di comunicazione – un linguaggio risoluto e terra-terra – lo rendono comprensibile anche ad un bambino di sette anni. Alcuni Italiani colti lo paragonano a Matteo Salvini, leader della Lega e ora Ministro degli Interni. Ma non è esattamente la stessa cosa.

Bolsonaro è il sintomo di una malattia molto più grande. Ha raggiunto questo livello, cioè un testa a testa nel secondo turno contro Haddad, che è il candidato di Lula, solo perché in Brasile si è scatenata una guerra ibrida, graduale, sofisticata, multi-livello, giudiziaria/congressuale/economica/media.

Opzione molto più complessa di qualsiasi rivoluzione colorata, la Guerra Ibrida in Brasile prevedeva un colpo di Stato legalista sotto la copertura dell’indagine contro la corruzione della cosiddetta “operazione autolavaggio[in inglese]. Questo ha portato all’impeachment del presidente Dilma Rousseff e all’arresto di Lula per accuse di corruzione senza prove concrete o schiaccianti.

In base a tutti i sondaggi, Lula avrebbe vinto queste elezioni a mani basse. I golpisti sono riusciti a farlo imprigionare e ad evitare che concorresse. Il diritto di Lula a candidarsi è stato sottolineato da tutti, da Papa Francesco al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, così come da Noam Chomsky. Tuttavia, per una deliziosa svolta storica, lo scenario voluto dai golpisti gli è esploso in faccia quando il candidato capolista per guidare il paese non è risultato essere uno di loro, bensì un neofascista.

“Uno di loro” potrebbe essere idealmente un buracrate anonimo affiliato agli ex social democratici del PSDP, diventati irriducibili neoliberisti che non possono più fare a meno di atteggiarsi a centrosinistra, quando sono la faccia “accettabile” della destra neoliberista. Chiamateli i Tony Blair brasiliani. Specifiche contraddizioni brasiliane, sommate all’avanzata del populismo di destra in Occidente, li hanno portati alla loro rovina.

Anche Wall Street e la City di Londra (che hanno sostenuto la guerra ibrida in Brasile dopo essere stata scatenata dalla NSA che spiava [in inglese] il gigante petrolifero Petrobras) hanno iniziato a riconsiderare il sostegno a Bolsonaro come presidente di una nazione facente parte dei BRICS, nazione leader del sud del mondo e che, fino a pochi anni fa, era sulla strada per diventare la quinta economia mondiale.

Tutto dipende dal meccanismo del “trasferimento dei voti” da Lula a Haddad, e dalla creazione di un serio e multipartitico fronte democratico e progressista al secondo turno, che possa sconfiggere il nascente neofascismo. Hanno meno di tre settimane per riuscirci.

Effetto Bannon

Bannon: pericolo per l’Europa

Non è un segreto che Steve Bannon stia dando consigli per la campagna di Bolsonaro in Brasile. Uno dei figli di Bolsonaro, Eduardo, due mesi fa ha incontrato Bannon a New York, dopodiché la campagna di Bolsonaro ha deciso di trarre vantaggio dalle presunte “impareggiabili” intuizioni di ingegneria sociale.

In quell’occasione il figlio di Bolsonaro aveva tweettato “siamo certamente in contatto per unire le forze, soprattutto contro la cultura del marxismo”. Tutto questo è stato seguito da un esercito di bot che vomitava una valanga di fake news fino al giorno delle elezioni.

Uno spettro infesta l’Europa. Si chiama Steve Bannon. Lo spettro si è spostato ai tropici.

In Europa Bannon è ora pronto ad intervenire come un angelo della sventura in un dipinto del Tintoretto, che annuncia la creazione di una coalizione populista di destra su scala europea.

Bannon è notoriamente lodato fin nell’alto dei cieli dal ministro degli Interni italiano Salvini, dal primo ministro ungherese, Viktor Orban, dal nazionalista olandese Geert Wilders e da Marine Le Pen, il flagello dell’establishment parigino.

Il mese scorso Bannon ha fondato The Movement [Il Movimento]: a prima vista è solo una start-up politica di Bruxelles con pochissimo staff. Ma parliamo di un’ambizione senza confini: il loro obiettivo non è nulla di meno che capovolgere le elezioni parlamentari europee di maggio 2019.

Il Parlamento europeo a Strasburgo – una roccaforte di inefficienza burocratica – non è esattamente un nome familiare in Europa. Il Parlamento non può fare proposte di legge. Può solo bloccare norme e spese con un voto a maggioranza.

Bannon mira a catturare almeno un terzo dei seggi a Strasburgo. Deve applicare metodi collaudati di stile americano, tipo frequenti sondaggi, analisi dei dati, intense campagne social media, come nel caso di Bolsonaro. Non c’è però garanzia che funzionerà, ovviamente.

La prima pietra di The Movement è stata probabilmente posta in due incontri chiave all’inizio di settembre, organizzati da Bannon e dal suo braccio destro, Mischael Modrikamen, presidente del piccolo Partito Popolare (PP) belga. Il primo incontro è avvenuto a Roma con Salvini, il secondo a Belgrado con Orban.

Modrikamen definisce il concetto parlando di un “club” che “raccoglierà fondi dai donatori in America e in Europa per assicurare che le idee ‘populiste’ possano essere sentite dai cittadini europei che percepiscono sempre più che l’Europa non è più una democrazia”.

E insiste “Siamo tutti sovranisti”. The Movement martellerà su quattro temi che sembrano formare consenso tra i disparati partiti politici a livello europeo: essere contro “l’immigrazione incontrollata”, essere conto l’”islamismo”, favorire la “sicurezza” in tutta Europa, sostenere “un’Europa di stati sovrani, orgogliosi della loro identità”.

The Movement dovrebbe di fatto prendere velocità dopo il midterm del prossimo mese negli Stati Uniti. In teoria, potrebbe riunire sotto lo stesso ombrello partiti differenti della stessa nazione. Potrebbe essere un compito molto arduo, e anche di più per il fatto che gli attori politici chiave hanno già programmi divergenti.

Wilders vuole mandare a monte l’Unione Europea. Salvini e Orban vogliono un’Europa debole ma non vogliono sbarazzarsi delle sue istituzioni. La Le Pen vuole riformare la UE, e poi il referendum per la “Frexit”.

Gli unici temi che uniscono questo mix di populismo di destra sono il nazionalismo, un indefinito orientamento anti-establishment e un piuttosto popolare disgusto per la schiacciante macchina burocratica europea.

Qui possiamo trovare un qualche terreno comune con Bolsonaro, che si propone come nazionalista e oppositore del sistema politico brasiliano, anche se è stato in Parlamento per anni.

Non c’è nessuna spiegazione razionale per l’impennata all’ultimo minuto di Bolsonaro tra due fazioni dell’elettorato brasiliano che lo disprezzano profondamente: le donne e la regione Nordest, quest’ultima sempre discriminata rispetto alle più ricche zone del sud e del sudest.

Proprio come Cambridge Analytica per le elezioni americane del 2016, la campagna di Bolsonaro si è rivolta verso i votanti indecisi degli stati del nordest, così come le donne, con una raffica di fake news sparate contro Haddad e il partito dei lavoratori. Ha funzionato come un incantesimo.

“The Italian Job”

Sono appena stato in nord Italia per verificare quanto sia davvero popolare Salvini. Salvini definisce le elezioni del Parlamento europeo di maggio 2019 come “l’ultima chance per l’Europa”. Il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero le vede come la prima “reale elezione per il futuro dell’Europa”. Anche Bannon è convinto che il futuro dell’Europa si stia giocando in Italia.

E’ piuttosto complesso comprendere l’energia discordante nell’aria di Milano, città in cui la Lega di Salvini è piuttosto popolare e che nello stesso tempo è una realtà globalizzata piena di sacche ultraprogressiste.

In un dibattito politico dedicato al libro pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni sull’uscita dall’euro, Roberto Maroni, ex governatore della potente regione Lombardia, ha commentato che “la Italexit è fuori dall’agenda ufficiale del governo, della Lega e del centro-destra”. Maroni lo dovrebbe sapere visto che, dopotutto, è stato uno dei fondatori della Lega.

Ha comunque lasciato intendere che sono all’orizzonte grandi cambiamenti: “Per formare un gruppo al Parlamento europeo, i numeri sono importanti. Questo è il momento per presentarsi con un unico simbolo tra i partiti di molte nazioni”.

Non sono solo Bannon e The Movement di Modrikamen. Salvini, Le Pen e Orban sono convinti di poter vincere le elezioni del 2019, trasformando la UE in una “Unione di Nazioni Europee”. Questo dovrebbe riguardare non solo un paio di grandi città dove si concentra l’azione, con il resto ridotto ad uno status insignificante. Il populismo di destra sostiene che Francia, Italia, Spagna e Grecia non siano più nazioni ma solo mere province.

Macron: il perfetto lupo “progressista” da lanciare in mezzo alle pecore

Il populismo di destra trae una immensa soddisfazione dal fatto che il suo maggior nemico è “Giove” (come si è autodefinito) Macron, che qualcuno in Francia deride definendolo “il piccolo Re Sole”. Il presidente Emmanuel Macron deve essere terrorizzato dal fatto che Salvini stia emergendo come “il faro guida” dei nazionalisti europei.

Ciò è quello che sembra stia arrivando in Europa: un combattimento trash tra Salvini e Macron.

Probabilmente il conflitto Salvini vs Macron in Europa potrebbe essere replicato in Brasile come Bolsonaro vs Haddad. Alcune menti sottili brasiliane sono convinte che Haddad sia il Macron brasiliano.

Secondo me, no. Lui ha una formazione filosofica ed è stato un competente sindaco di San Paolo, una delle più complesse megalopoli presenti sul pianeta. Macron è un banchiere di fusioni & acqusizioni dei Rothshield. A differenza di Macron, che è stato progettato dall’establishment francese come il perfetto lupo “progressista” da lanciare in mezzo alle pecore, Haddad incarna ciò che resta della Sinistra realmente progressista.

Oltretutto, a differenza della quasi totalità dello spettro politico brasiliano, Haddad non è corrotto. Certamente, dovrebbe offrire la dovuta libbra di carne ai soliti noti, se vince naturalmente. Ma lui non è il loro burattino.

Paragonate il trumpismo di Bolsonaro, evidente nel suo messaggio dell’ultimo minuto prima il giorno delle elezioni “Make Brazil Great Again[“Rendere il Brasile grande di nuovo”], con il trumpismo di Trump.

Gli strumenti di Bolsonaro sono l’elogio assoluto della Madre Patria, delle Forze Armate, della bandiera.

Ma Bolsonaro non è interessato a difendere l’industria, il lavoro e la cultura brasiliana. Anzi. Un esempio esplicito è ciò che è successo in un ristorante brasiliano a Deerfield Beach, Florida, un anno fa: Bolsonaro ha salutato la bandiera americana e ha cantato “USA! USA!”

Questo è un puro Make-America-Great-Again, senza una B.

Jason Stanley, professore di filosofia a Yale e autore di Come funziona il Fascismo [How Fascism Works], va oltre [in inglese] e sottolinea che “l’idea nel fascismo è di distruggere la politica economica… i corporativisti si affiancano ai politici che usano tattiche fasciste perché stanno tentando di distogliere l’attenzione delle persone dalle forze reali che causano l’ansia genuina che provano”.

Bolsonaro ha padroneggiato queste tattiche diversive. E lui eccelle nel demonizzare il cosiddetto marxismo culturale. Bolsonaro si adatta alla descrizione che Stanley applica agli Stati Uniti:

“Liberalismo e marxismo culturale hanno distrutto la nostra supremazia e questo meraviglioso passato in cui governavamo, e le nostre tradizioni culturali erano le uniche ad essere dominanti. E poi militarizzano il sentimento della nostalgia. Tutta l’ansia e la perdita che sentono nella loro vita, per esempio per aver perso l’assistenza sanitaria, per aver perso le pensioni, per aver perso la stabilità, vengono poi reindirizzate nella percezione che il nemico reale sia il liberalismo, il quale ha portato alla perdita di questo mitico passato”.

Nel caso brasiliano, il nemico non è il liberalismo ma il partito dei lavoratori, sbeffeggiato da Bolsonaro come un “branco di comunisti”. Festeggiando la sua sorprendente vittoria al primo turno, ha affermato che il Brasile si è trovato ad un passo dall’“abisso” della corruzione e del comunismo, e potrebbe scegliere o la strada di “prosperità, libertà, famiglia” o “la strada del Venezuela”.

L’indagine dello scandalo dell’autolavaggio ha santificato il mito che il partito dei lavoratori e l’intera sinistra sia corrotta (ma non lo è la destra). Bolsonaro ha sovraccaricato il mito: ogni minoranza e classe sociale è un bersaglio, nella sua mente sono infatti “comunisti” e “terroristi”.

Torna in mente Goebbels, quando nel suo testo principale La radicalizzazione del Socialismo enfatizza la necessità di ritrarre il centro-sinistra come marxisti e socialisti perché, come osserva Stanley, “la classe intermedia vede nel marxismo non tanto il sovvertitore della volontà nazionale ma soprattutto il ladro delle sue proprietà”.

Questo è al centro della strategia di Bolsonaro, di demonizzazione del partito dei lavoratori e della sinistra in generale. La strategia certamente è intrisa di fake news, ancora una volta riflettendo ciò che Stanley scrive a proposito della storia americana: “L’intero concetto dell’impero è basato su fake news. Tutta la colonizzazione è basata su fake news”.

La destra contro il populismo di sinistra?

Haddad: tre settimane per agganciare Bolsonaro

Come ho scritto in un articolo precedente [in inglese], la sinistra occidentale è come un cervo abbagliato dai fari, quando si tratta di combattere il populismo di destra.

Le menti acute, da Slavoj Zizek a Chantal Mouffe, stanno provando ad immaginare un’alternativa, senza essere capaci di coniare il neologismo definitivo. Populismo di sinistra? Popularismo? Idealmente, dovrebbe essere “socialismo democratico” ma nessuno oserebbe proferire la temuta parola in un contesto post-ideologico e post-verità.

L’ascesa del populismo di destra è una diretta conseguenza dell’emergere di una crisi profonda di rappresentanza politica in tutto l’Occidente: la politica dell’identità eretta come nuovo mantra, e il potere schiacciante dei social media, che permette – per dirla con una impareggiabile definizione di Eco – l’ascesa dell’“idiota del villaggio alla condizione di Oracolo”.

Come abbiamo visto prima, il motto centrale del populismo europeo è essere anti-immigrazione, una variante malamente celata dell’odio verso l’altro. In Brasile il tema principale enfatizzato da Bolsonaro è l’insicurezza urbana. Lui potrebbe essere il Rodrigo Duterte, o il Duterte Harry, brasiliano: “Coraggio, fammi felice, teppista!”. [frase tratta dal film “L’ispettore Callaghan”]

Si autodefinisce come il Difensore dei Giusti contro l’élite corrotta (anche se lui fa parte dell’élite). Disprezza tutte le cose “politically correct”, il femminismo, l’omosessualità, il multiculturalismo: sono tutte offese imperdonabili ai suoi “valori familiari”.

Uno storico brasiliano [in brasiliano] afferma che l’unico modo per opporsi a lui è “tradurre” a tutti i settori della società brasiliana come le posizioni di Bolsonaro si ripercuotono su di loro quando parla di “diffusione delle armi, discriminazione, lavoro (e) tasse”. E questo deve essere fatto in meno di tre settimane.

Probabilmente il miglior libro che spiega il fallimento planetario della sinistra nell’affrontare questa situazione tossica, è “Le loup dans la Bergerie[“Il lupo in mezzo alle pecore”] di Jean-Claude Michea, pubblicato in Francia pochi giorni fa.

Michea mostra in maniera concisa come le profonde contraddizioni politiche, economiche e culturali del liberalismo dal XVIII secolo lo abbiano portato a ritorcersi contro se stesso, e di essere tagliato fuori dallo spirito iniziale di tolleranza (Adam Smith, David Hume, Montesquieu). Ecco perché siamo profondamente immersi nel capitalismo post-democratico.

Chiamata eufemisticamente “comunità internazionale” dai media mainstream occidentali, le élite – che si sono confrontate dal 2008 con “le crescenti difficoltà affrontate dal processo di accumulazione globalizzata del capitale” – ora sembrano pronte a fare qualsiasi cosa per mantenere i propri privilegi.

Michea ha ragione quando scrive che il nemico più pericoloso per la civilizzazione – e persino la vita sulla terra – sono le cieche dinamiche dell’accumulazione infinita del capitale. Noi sappiamo dove questo Impavido Nuovo Mondo neoliberista ci sta portando.

L’unico modo di contrattaccare è un movimento autonomo e popolare “che – come afferma Michea – non sia sottomesso all’egemonia ideologica e culturale dei movimenti ‘progressisti’ che da più di trent’anni difende solo gli interessi culturali delle nuove classi medie in tutto il mondo”.

Per ora, tale movimento resta nel mondo dell’utopia. Ciò che resta da fare è cercare di porre rimedio alla prossima distopia, cioè per esempio sostenere un vero fronte democratico progressista per bloccare un Brasile alla Bolsonaro.

Uno dei miei momenti più significative del mio soggiorno in Italia è stato un incontro con Rolf Petri, professore di storia contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore dell’assolutamente necessaria “Breve storia dell’Ideologia Occidentale: una cronaca critica”.

Partendo da religione, razza, colonialismo e arrivando al progetto illuminista della “civilizzazione”, Petri dipinge un quadro devastante di come “L’immagine pensata di un ‘continente’ che non era neanche un continente, ha offerto una base per l’affermazione della superiorità europea e della missione civilizzatrice dell’Europa”.

Durante una lunga cena in una piccola trattoria veneziana lontana dalla galoppante orda di selfie, Petri osservava come Salvini – un piccolo imprenditore della classe media – abbia abilmente trovato il modo di canalizzare un profondo e inconscio desiderio per il mito di un’Europa armoniosa che non tornerà più, così come il piccolo borghese Bolsonaro evoca il mitico ritorno al “miracolo brasiliano” durante la dittatura militare del 1964-1985.

Ogni essere senziente sa che gli Stati Uniti sono stati immersi nell’estrema ineguaglianza “gestita” da una plutocrazia spietata. I lavoratori americani continueranno ad essere regalmente fottuti come lo sono i lavoratori francesi sotto il “liberale” Macron. Così come i lavoratori brasiliani sotto Bolsonaro. Per dirla con le parole di Yeats, quale informe bestia, in quest’ora buia, si trascina verso la libertà per nascere?

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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su The Saker il 9 ottobre 2018
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia.it

[le note in questo formato sono del traduttore]

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