Nella Battaglia navale di Copenhagen (1801), avvenuta durante la Guerra della Seconda Coalizione [in inglese], la flotta britannica comandata dall’ammiraglio Sir Hyde Parker [in inglese] sconfisse la flotta danese [in inglese] ancorata appena fuori Copenhagen. Il viceammiraglio Horatio Nelson [in inglese] guidò il principale attacco degli Inglesi. E’ famoso l’episodio in cui, durante la battaglia, disobbedì all’ordine di ritirarsi impartito dal suo ufficiale superiore, Sir Hyde Parker, mentre guardava con il cannocchiale appoggiato al suo occhio cieco in attesa del segnale di Parker. Il segnale avrebbe dato a Nelson il via libera per ritirarsi a sua discrezione dallo scontro. Nelson si rivolse quindi al suo capitano di bandiera, Thomas Foley [in inglese], e disse “Lo sa, Fooley, io ci vedo solo da un occhio. Ho il diritto di non vederci qualche volta”. Sollevò il cannocchiale sull’occhio da cui non vedeva e disse: “Davvero non lo vedo il segnale”. Il che sta proprio a dimostrare che qualche volta disobbedire è una buona politica. Copenhagen viene spesso considerata come la vittoria più dura di Nelson.
Ai giorni nostri, molti (se non tutti) i media mainstream (MSM) sembrano soffrire di ciò che può essere descritta solamente come “Sindrome di Copenhagen”, e cioè mettere un metaforico cannocchiale davanti al loro ben educato occhio cieco, evitando, in questo modo, ogni possibile contatto o esposizione a idee contrarie che possano disturbare la loro preziosa narrativa. Il che gli richiede uno sforzo mentale e morale piuttosto intenzionale nel promuovere con cura ignoranza e cecità. Eppure, hanno ancora il coraggio di definirsi liberali (sic!).
Questa forma di autocensura interna non è necessariamente riconosciuta nemmeno da chi la pratica: crederanno spesso nei loro punti di vista, nelle convinzioni e nella loro visione generale del mondo, noti come “buon senso”, “nostri valori”, “tutti lo sanno”, “verità” e così via, tutti elementi ritenuti incontestabili.
E’ un leitmotiv ricorrente nella storia, particolarmente virulento nel conflitto religioso e, al giorno d’oggi, nei conflitti politico/ideologici spesso filtrati da un prisma religioso: il conflitto sunniti-sciiti nel Medio Oriente e, più vicino a casa nostra e ancora di questi tempi, il conflitto cattolici-protestanti nell’Irlanda del Nord. Bruciare i libri e l’Index Librorum Prohibitorum della Chiesa Cattolica sono stati degli esempi notevoli di questa mentalità. Ma il passaggio dalla persecuzione religiosa degli eretici (con cui l’ordine religioso manteneva la sua egemonia ideologica) ai metodi più moderni di controllo del pensiero e di degradante conformismo ha raggiunto dei livelli di sofisticazione senza precedenti. Come osservava Alexis de Tocqueville: “Un tempo la tirannia utilizzava le goffe armi delle catene e dei boia: oggi invece persino il dispotismo, anche se non sembrava aver più nulla da imparare, è stato perfezionato dalla civilizzazione… le antiche tirannie che tentavano di raggiungere l’anima, colpivano goffamente il corpo; l’anima invece, che spesso sfuggiva a tali colpi, si ergeva al di sopra”. Ora, però, le moderne tirannie democratiche lasciano da parte il corpo e vanno dritte all’anima. (1)
Basti pensare che questo approccio totalitario ha poco a che fare con il vero liberalismo, anzi è proprio l’opposto.
Per esempio, qui di seguito quanto scritto in merito da John Stuart Mill.
“Chi conosce solo la propria parte del caso, ne sa poco. Le sue motivazioni possono essere buone e nessuno le avrebbe potute confutare. Ma se è ugualmente incapace di confutare le motivazioni della parte opposta, se non sa nemmeno quali siano, non ha le basi per preferire nessuna delle due opinioni… né è sufficiente che debba ascoltare le opinioni degli avversari dai propri maestri, presentate come loro le espongono e accompagnate da ciò che loro offrono come confutazioni. Deve essere in grado di ascoltarle da persone che credono in esse… deve conoscerle nella loro forma più plausibile e persuasiva…
La sola intolleranza sociale che abbiamo non uccide nessuno e non sradica opinioni, ma induce gli uomini a nasconderle o ad astenersi da ogni sforzo attivo per la loro diffusione. Con noi, le opinioni eretiche non guadagnano in maniera percettibile terreno (ma non lo perdono neanche) in ogni decennio o generazione; non si diffondono in lungo e in largo ma continuano a covare nei ristretti circoli di pensiero e tra gli studiosi da cui provengono, senza mai illuminare gli affari comuni dell’umanità con una luce veritiera o ingannevole. In questo modo viene mantenuto uno stato delle cose molto soddisfacente per alcune menti, perché, senza dover spiacevolmente multare o imprigionare qualcuno, si mantengono indisturbate da fattori esterni tutte le opinioni prevalenti… un piano adatto per avere tranquillità nel mondo intellettuale e tenere tutte le cose nel loro corso, proprio come già fanno… ma il prezzo pagato per questa sorta di pacificazione intellettuale è la rinuncia all’intero coraggio morale della mente umana”. (2)
Rintracciare l’eroico periodo del liberalismo del dissenso classico associato a John Stuart Mill e ai successivi intellettuali dissidenti del XX secolo, tra cui vari scrittori e filosofi come George Orwell, John Steinbeck, F.Scott Fitzgerald, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Jack London, o drammaturghi come Arthur Miller, Eugene O’Neill, Harold Pinter e Samuel Beckett, nella dichiarata saggezza della cosiddetta moderna classe liberale, mostra proprio fino a che punto questi valori di illuminismo, come li intendevano i suddetti, siano stati eclissati da una forma degenerata di neo-totalitarismo, un’era di oscurità.
Secondo i postulati del “liberalismo” contemporaneo, le classi subalterne devono non solo agire in una maniera giudicata appropriata dai loro “superiori”, ma devono anche credere in ciò che viene considerata la loro saggezza essenziale. Come la classe liberale omogenea dal punto di vista ideologico, gli ordini inferiori (i prolet di Orwell) devono adeguarsi e adattarsi all’ordine prevalente. Tuttavia, la classe media (il partito esterno di Orwell) si abitua a questa realtà virtuale come una papera all’acqua. In questo contesto, la descrizione fatta dal compianto Gore Vidal degli strati medi e alti e dell’élite dominante della società americana ha suscitato la seguente acuta intuizione: “non c’è una vera cospirazione, è solo che tutti pensano la stessa cosa”. Vale a dire: non pensano affatto.
Questo tentativo di sopprimere ogni visione del mondo dissenziente è sempre stato un compito difficile. Ci è voluta, comunque, una crisi economica e politica (la globalizzazione nelle sue tante manifestazioni disfunzionali) perché si svelasse il vero volto dell’illiberale classe liberale. E’ stato come vedere il grottesco ritratto del personaggio immaginario di Oscar Wild, Dorian Gray, nascosto in soffitta, e paragonarlo con il viso di Gray nella vita reale: un aspetto esteriore immutabile, una immagine di giovinezza e bellezza eterne, ma anche un ritratto che rappresenta una personalità deformata dalla corruzione e dal vizio.
In ogni società c’è (e in effetti c’è sempre stata) un’area di “pensiero pericoloso”, questo dovrebbe essere risaputo. Se possiamo concordare sul fatto che possa variare da paese a paese e da epoca ad epoca ciò che è considerato pericoloso pensare, in generale i temi contrassegnati come “vietati” sono quelli che le società o i controllori di queste società ritengono essere temi e convinzioni vitali, quindi così sacri da non tollerarne la profanazione attraverso la discussione. Per di più, il pensiero, anche in assenza di una censura ufficiale, è allarmante e, in determinate condizioni, pericoloso e sovversivo. Se, infatti, paragonato alla routine e ai riflessi, il pensiero è un agente catalizzatore, capace di turbare la routine, disorganizzare le abitudini, disgregare i costumi, minare le fedi e generare scetticismo.
Certamente, anche nelle “società aperte” contemporanee è sempre stato così (con buona pace di Soros) e cioè ci sono delle aree in cui un’autentica discussione non può essere fatta né consentita. Questo perché la discussione politica ha un carattere fondamentalmente diverso da una discussione accademica: cerca di essere non solo nel giusto, ma anche di demolire le basi dell’esistenza sociale e intellettuale dei suoi oppositori. Dato che è fin dall’inizio una forma razionalizzata di lotta contro la predominanza sociale, il conflitto politico attacca lo status sociale dell’oppositore, il suo prestigio pubblico e la sua autostima. Come una volta ha osservato lo scrittore/teorico marxista Ralph Miliband (da non confondere con i suoi seguaci successivi) descrivendo la copertura politica dei giornali inglesi, è “una gamma che va dal profondamente conservatore al reazionario totale”. (3)
Le opinioni contrarie all’attuale soffocante ortodossia sono ora considerate pericolose ed estremiste; ma adesso le nozioni tradizionali di uguaglianza, Stato di Diritto, sovranità parlamentare/nazionale, suffragio universale, che finora sono date per scontate, stanno per essere messe sotto attacco dagli ipocriti inquisitori della classe liberale. Il caso delle elezioni in Europa ne sono l’esempio. Quando queste elezioni hanno restituito il “verdetto” sbagliato, sono stati obbligati a rifare le elezioni per avere il risultato “corretto”. Nel caso della Brexit e nell’ancora più controversa elezione di Donald Trump e, ora, di Joseph Biden, ci sono stati moltissimi illeciti. La grande farsa che si presenta come una seria procedura costituzionale. A quanto sembra, tali eventi hanno portato ad una crisi ideologica ed emotiva della classe liberale, un disastro che ha portato ad un colpo apoplettico ideologico. Devono quindi cessare il pensiero e la discussione. E’ accettabile solo un’unica narrativa, ripetuta all’infinito, quella delle élite al potere. Altre narrative o non esistono o vengono liquidate come semplice propaganda. E’ proprio qui che entra in gioco la sindrome di Copenhagen. La classe liberale e, in particolare, i media stanno mettendo in pratica lo stratagemma dell’occhio cieco di Nelson, frenando e rendendo patologico il dissenso. Che funzioni o meno, sarà un esame approfondito dei presunti valori e principi democratici dell’Occidente.
Ovviamente nulla di tutto questo è una novità: è stata solo una versione più estrema di ciò che era precedentemente lo status quo. Chiudere un occhio è più o meno ciò che fa quotidianamente chi è investito del potere e della amministrazione. Così però le correnti di opposizione, che stanno cominciando a emergere, tenteranno sempre di farsi sentire. Ad ogni azione corrisponde una reazione. Viviamo in una civiltà in declino, la prova è evidente.
“Dov’è l’intellighenzia che sta portando avanti il grande discorso del mondo occidentale, e il cui lavoro degli intellettuali ha influenza sui partiti e sul pubblico, ed è rilevante per le decisioni importanti del nostro tempo? Dove sono i mass media aperti a questi uomini? Chi, tra chi è a capo dello stato bipartitico e delle sue feroci macchine militari, è attento a ciò che accade nel mondo della conoscenza, della ragione e della sensibilità? Perché il libero intelletto è così separato dalle decisioni del potere? Perché ora prevale tra gli uomini di potere una così grande e sconsiderata ignoranza?”. (4)
Perché, davvero? Ed è tutto molto vero. Ma la prima mossa dei partiti socialisti è solo questo, una prima mossa. Il grande gioco è solo all’inizio. Ricordo nel 1971, in un collettivo di comunicazione radicale di Torino, che l’Italia rinforzò questa prospettiva. Migliaia di lavoratori della FIAT parteciparono a vari livelli nella sinistra extra-parlamentare (specialmente Lotta Continua) mentre si battevano contro la compagnia e lo Stato.
La Lotta Continua!
Note [in inglese]
(1) Alexis De Tocqueville – Democracy in America 1835
(2) John Stuart Mill – On Liberty, Of Thought and Discussion 1859 – pp.163/164
(3) The State in Capitalist Society – Ralph Miliband – 1969
(4) The Sociological Imagination – C Wright Mills p.203 – 1959
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Articolo di Francis Lee pubblicato su The Saker il 5 marzo 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.
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