L’alternativa è che entro il 2050 la Cina diventi l’unica superpotenza geopolitica al mondo.

La risposta alla domanda posta a giugno del 2020 dall’Istituto RUSSTRAT, e cioè se gli Stati Uniti hanno intenzione di combattere la Cina e, se sì, perché, ha ricevuto un’ulteriore conferma.

Se in precedenza si trattava di interpretare i risultati delle analisi delle dinamiche dello sviluppo generale degli eventi, ora gli esperti americani parlano all’unisono come osservatori che valutano il processo che si sta svolgendo letteralmente sotto i loro occhi.

Perciò, in un articolo, Chas Freeman, consigliere senior presso il Watson Institute di Affari Pubblici e Internazionali della Brown University, ex diplomatico di alto livello e impiegato del Pentagono, dice senza mezzi termini che alla fine la porta dello scenario pacifico, si è chiusa di colpo.

Michael Beckley, professore associato di Scienze Politiche alla Taft University, e Hal Brands, professore onorario di Relazioni Internazionali presso la Scuola Superiore di Studi Internazionali dell’Università Johns Hopkins, in genere fanno notare che c’è una guerra. Solo che si rammaricano che l’America dovrà parteciparvi.

La psicologia sociale americana ha una forte dimensione messianica. Loro sono sempre buoni, indipendentemente da ciò che fanno, e salvano sempre il mondo, per cui sono costretti ad intervenire nelle dispute altrui. E’ giusto, sono costretti a farlo, per salvare vite e i principi della libertà. Il fatto che loro stessi attizzino queste dispute per i propri fini, si nasconde delicatamente dietro la tenda più vicina.

Secondo loro, la guerra è inevitabile a causa del determinato atteggiamento della Cina continentale nel voler riportare sotto il suo dominio la ribelle Taiwan. Formalmente Washington ha delle ragioni per porre la questione in tale maniera. L’isola costituisce realmente un intenso momento politico interno nelle relazioni inter-cinesi. In più, estremamente di principio.

In realtà, la Cina ha cercato a lungo una soluzione pacifica e, bisogna ammetterlo, in questo ha avuto un discreto successo. Metà dell’economia taiwanese, soprattutto nell’ambito high-tech dei microchip, dipende dalla Cina continentale. Considerando la differenza di capacità finanziarie dei due paesi, è ovvio che nel giro dei prossimi 10/15 anni Taiwan dipenderà completamente dall’economia cinese, il che potrebbe diventare il punto di partenza verso una graduale integrazione politica “secondo le modalità di Hong Kong”.

Ma questo risultato francamente non va affatto bene agli Stati Uniti, tanto che l’America sta cercando con tutte le forze di esacerbare il problema al punto tale che Pechino non abbia alcuna altra opzione se non annettere Taiwan con la forza. No, le pagine dei media e gli esperti americani, ovviamente, sono molto ma molto dispiaciuti che alla fine i ragazzi americani dovranno di nuovo inserirsi nella guerra di altri e fermare l’aggressore ma, allo stesso tempo, sono convinti che l’America sarà in grado, come sempre, di avere successo.

Sebbene in realtà la situazione sia, per usare un eufemismo, lontana dall’essere così certa.

Da una parte, una guerra diretta tra Stati Uniti e Cina è davvero inevitabile. L’obiettivo dell’America in tutto questo è di sostituire il governo cinese con uno (ovviamente) filo-americano. Prima di tutto, nella questione del libero accesso del capitale finanziario americano nell’economia domestica cinese.

L’obiettivo è raggiungibile sono in due modi: la completa occupazione della Cina continentale dopo la sua totale sconfitta militare, oppure la sostituzione dell’élite al potere con una “più corretta”, in seguito a una grande sconfitta militare dell’esercito cinese da qualche parte in un paese terzo.

C’è anche una terza opzione, e cioè una rivoluzione colorata, ma il Partito Comunista Cinese – senza errore ed esitazione – ha dispiegato i carri armati sull’asfalto di Piazza Tienanmen nel 1989, e poi ha soppresso la diffusione della pandemia da coronavirus nel paese.

Ma non si può neanche fare affidamento sul successo di un’invasione diretta dell’esercito americano in Cina. Per un’operazione di tale scala, il Pentagono ha una grave carenza di risorse, da personale ed equipaggiamento a basi di retroguardia e scorte di materiali di consumo.

Si scopre così che per gli Stati Uniti la variante “taiwanese” rimane l’unico “campo di battaglia” adeguato. L’unico problema è che, in base alle dinamiche di crescita della potenza militare dell’Esercito Popolare di Liberazione, dopo il 2028 l’America non sarà in grado di sconfiggere l’esercito cinese neanche in un teatro operativo locale come Taiwan. Gli analisti della RAND lo hanno già ammesso. Anche prendendo in considerazione il fatto della “guerra finlandese”.

Il Pentagono non può attaccare neanche adesso. La nazione americana non è pronta per una guerra simile. Ma a giudicare dalla forte crescita in termini di portata e volume delle pubblicazioni sulla inevitabilità dell’opzione militare, il processo di preparazione della società è già iniziato. Ci vorranno almeno tre o quattro anni.

Non si può ignorare un fattore così importante come la personale ostilità tra Joe Biden e Xi Jinping: durante la campagna elettorale, Biden ha parlato molte volte e in maniera maleducata del capo del Partito Comunista Cinese e della Cina, cosa che non è passata inosservata alla controparte cinese.

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Articolo di RUSSTRAT Institute pubblicato su Stalker Zone il 3 febbraio 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.


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