Va da sé che di recente il termine “fake news” è diventato una delle parole più cercate nei motori di ricerca del web. Inoltre, i rappresentati del Collins English Dictionary sono arrivati a nominarla ufficialmente Parola dell’Anno 2017: ci sono infatti ottime ragioni del perché tale termine riscuota tanta popolarità. Per esempio, è stata utilizzata dal presidente americano Donald Trump quando accusò le principali fonti occidentali di diffondere notizie false, definendole appunto “fake news”.
L’incontrastata prevalenza di queste notizie si è potuta osservare durante tutte le più importanti campagne politiche degli ultimi anni: l’elezione presidenziale in USA e in Francia, le elezioni parlamentari in Germania, i referendum sulla Brexit e in Catalogna… forse non esiste alcun paese in questo mondo che sia scampato alle fake news per come sono fabbricate e diffuse su scala globale attraverso i social media, e visto che ci sono intere “fabbriche di troll” e addirittura ogni sorta di enti governativi che motivano la loro esistenza dichiarando che sono impegnati nella “lotta contro la disinformazione”.
Gli esperti del The Guardian incaricati [in inglese] di analizzare le campagne di disinformazione sui media online, sono arrivati alla conclusione che le fake news non sono un problema solo occidentale, in quanto si possono trovare sui media di praticamente quasi tutto il mondo. In Brasile, per esempio, dall’inizio del 2016 la popolarità delle fake news ha superato la copertura dei media mainstream. Questo fatto si può spiegare con lo scandalo corruzione e il conseguente impeachment della presidente Dilma Rousseff. Secondo la BBC [in brasiliano], in Brasile 3 su 5 delle notizie più popolari (in base al numero delle condivisioni) erano false. Il The Guardian aggiunge che in India il principale canale di notizie false sono le chat Whatsapp.
Le fake news sono un elemento fondamentale delle guerre di informazione che, a propria volta, accompagnano le guerre reali. Una delle manifestazioni più impressionanti negli ultimi anni è stata la cosiddetta lotta contro la “propaganda russa” in Europa, che è diventata recentemente un’ossessione per un certo numero di paesi europei, raggiungendo il Parlamento Europeo.
Nel corso della guerra dell’informazione che è in corso da anni contro la Russia, le fonti dei media occidentali e soprattutto europei si sono improvvisamente trovate ad affrontare la situazione in cui i loro lettori hanno smesso di credere alle loro notizie sulla Ucraina. Questa sfiducia si è manifestata nel cosiddetto incidente di Salisbury, inscenato da Londra e Washington come parte della loro campagna russofobica, dal momento che nessun fatto è stato presentato ai lettori occidentali a supporto delle loro argomentazioni e, quindi, tali lettori hanno preferito guardare altrove.
Quindi, è difficile definire sorprendenti i risultati di un’indagine “sociale” fatta dalla Monmouth University: almeno 6 Americani su 10, indipendentemente dalla loro visione politica, credono che i media mainstream occidentali mentano intenzionalmente presentando notizie false.
Data la mancanza di ogni possibilità di sfidare l’informazione russa sulla presenza di attori ignoti sostenuti da stranieri durante la protesta di EuroMaidan o sui continui crimini di guerra che Kiev sta commettendo in Donbass, i politici europei, specialmente nei cosiddetti nuovi stati membri della UE, hanno deciso di etichettare i loro tentativi di mettere a tacere le notizie vere definendoli come “lotta alla propaganda russa”, restringendo l’accesso all’informazione fornita dai media russi e lanciando vari piani contro la stampa russa, diffondendo contemporaneamente disinformazione nel tentativo di distrarre l’attenzione delle persone.
Già nel 2015 si è venuti a conoscenza che l’Unione Europea aveva creato un gruppo speciale per combattere la “propaganda russa”. Nel Regno Unito è stata creata una nuova agenzia governativa che, secondo la retorica ufficiale di Londra, sarà specializzata nel “combattere la disinformazione e le fake news”. Il Primo Ministro britannico Theresa May ha dichiarato che questa agenzia sarà in grado di assicurare a Londra la difesa delle priorità di sicurezza nazionale e di scoraggiare gli avversari in maniera più sistematica. Secondo l’Evening Standard, questo ente opererà sotto la supervisione del Gabinetto del Regno Unito, che ha già manifestato la sua dedizione alle notizie false durante l’incidente di Salisbury.
Inoltre, all’inizio dell’anno il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una nuova iniziativa legislativa da commutare in legge con lo scopo di combattere le fake news.
Il tema delle fake news e della propaganda è ora in corso di supervisione alla Commissione Parlamentare Europea, che ha già chiesto a Facebook e Twitter di fornire relazioni in materia.
Ultimamente si è appreso che una speciale unità per combattere l’informazione “fake” è stata creata sotto la supervisione del Parlamento Europeo. L’unità ha come scopo di difendere la reputazione del Parlamento Europeo e di rispondere alle notizie false, che possono essere pubblicate dalle fonti di informazione sia estere che nazionali. Nel biennio 2018-2020 questo team riceverà 1.1 milioni di euro ogni anno.
Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che quando i capi dei paesi occidentali parlano di combattere le fake news, per prima cosa intendono una censura stringente dello spazio dell’informazione. E quanto più i leader occidentali pronunciano la frase “combattere per la democrazia”, “libertà di espressione” e lotta contro le “fake news”, tanto più andremo incontro ad una più rigida forma di sorveglianza totale. Oggi noi vediamo chiaramente che la lotta contro l’informazione alternativa nella gran parte dei paesi occidentali inizia ad assumere una vera connotazione orwelliana.
In tale contesto, un’attenzione speciale deve essere posta alla relazione pubblicata col titolo di Rapporto finale [in inglese] del Gruppo di Esperti di Alto Livello sulle Fake News e sulla Disinformazione Online, redatto da un gruppo indipendente di esperti sulle “fake news” e sulla disinformazione. Il gruppo, supervisionato dal Commissario Europeo per l’economia e la società digitale Mariya Gabriel (Bulgaria), è stato istituito per conto del Presidente della UE, Jean-Claude Juncker, lo scorso gennaio con lo scopo [in inglese] di fornire pareri ai membri della Commissione Europea sul tema delle fake news.
Il gruppo è formato da 39 diversi professionisti, tra cui rappresentanti dei media (RTL, Mediaset, SkyNews), esperti di Information Technology (Facebook, Twitter, Google) e membri della comunità scientifica, oltre a vari rappresentanti delle ONG. Al gruppo è stata chiesta la seguente lista di compiti: identificare il fenomeno della disinformazione, fornire informazioni sulle misure esistenti per combatterla, proporre i criteri per la scelta degli strumenti per la lotta contro la disinformazione diffusa su internet, facilitare lo sviluppo di una strategia comune europea in questo ambito, cioè i suoi principi e obiettivi chiave nel breve e lungo periodo.
Secondo il vice-presidente della Commissione Europea, François Timmermans, in un’era in cui una quantità senza precedenti di informazione e di falsa informazione viene pubblicata ogni giorno, è importante soprattutto “fornire ai cittadini i mezzi per identificare le notizie false” e gestire le informazioni ricevute.
Un esame attento della relazione preparata dalla Commissione Europea mostra che favorire il termine “disinformazione” invece di “fake news” da parte del gruppo di esperti, è un tentativo di rendere l’ambito del suo studio meno odioso e di natura più scientifica. Secondo gli autori, hanno studiato i casi più significativi del campo. A quanto pare per questa ragione, la relazione non menziona il Gruppo di Comunicazione Strategica Orientale, che opera nella struttura del servizio europeo di politica estera, il cui principale obiettivo è esclusivamente quello di redigere false notizie sulle “minacce ibride” e l’”onnipotente propaganda russa”.
La relazione sottolinea che le misure di lotta alla disinformazione si dovrebbero basare sulla difesa della priorità assoluta della libertà di espressione e di stampa, al fine di evitare ogni forma di censura. La linea rossa è l’idea dell’importanza di un minimo di regolamentazione legale mentre si incoraggia un coordinamento “orizzontale” delle parti interessate. Ponendo molte speranze sulla consapevolezza di quest’ultimo aspetto, la Commissione dà risalto all’auto-regolamentazione. Per fare questo, si propone di creare una sorta di “coalizione” che unisca le piattaforme online, media, giornalisti, legislatori, civiltà civile e altri parti.
Si può solo sperare che questa relazione della Commissione Europea permetterà di unificare gli sforzi di tutti i paesi per fare una guerra reale alle fake news e alla disinformazione politica, senza rafforzare la censura in corso delle pubblicazioni dei siti di informazione alternativa che stanno tentando di diffondere alla gente di tutti i paesi un’informazione vera sulle attività criminali di singole figure politiche, e di svelare varie bugie diffuse dall’informazione mainstream.
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Articolo di Grete Mautner pubblicato da New Eastern Outlook il 9 aprile 2018
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia.it
[le note in questo formato sono a cura del traduttore]
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