Dicono che sport e politica non dovrebbero mescolarsi. Forse questo è l’ideale, perché in pratica i due sembrano intrinsecamente legati. E un perfetto esempio è la partecipazione della Russia ai giochi olimpici di quest’anno, che è stata deliberatamente denigrata fin dall’inizio.

Nonostante il fatto che alla Russia sia stato impedito di partecipare normalmente, a causa delle accuse di doping durante le Olimpiadi di Soci, gli atleti che gareggiano sotto il ROC (Comitato Olimpico Russo) hanno dovuto sopportare ogni possibile rimprovero da parte di altri sportivi e commentatori. Senza paese, senza bandiera, senza inno, gli atleti russi sono stati umiliati in ogni modo possibile [in inglese] dal Comitato Olimpico Internazionale. Alla squadra di nuoto artistico russo è stato permesso di eseguire il suo esercizio su una canzone intitolata “Dalla Russia con Amore”, ma la parola “Russia” è stata tagliata, come se fosse blasfema. Alla cerimonia di premiazione l’inno nazionale russo è stato sostituito dal Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 1 di Tchaikovsky, e la bandiera russa è stata sostituita da una con la torcia olimpica. È francamente ridicolo, come se gli spettatori dovessero fingere di non sapere chi sta gareggiando.

Eppure, nonostante questi tentativi di “neutralizzare” la Russia o evirarla, per molti commentatori e colleghi concorrenti, il CIO non ha fatto abbastanza. Incapaci di entrare in empatia con gli altri atleti, la maggior parte dei quali non aveva assolutamente nulla a che fare con il doping alle Olimpiadi Invernali di Soci nel 2014, alcuni sportivi stanno ancora lanciando accuse alle loro controparti russe, mentre cercano di spiegare le proprie prestazioni scadenti. Il nuotatore statunitense Ryan Murphy ha detto venerdì dopo essere stato battuto dal russo Evgenij Rylov, che ha vinto l’oro, che la finale del dorso è stata “probabilmente non pulita[in inglese]. Anche il vincitore della medaglia di bronzo britannico Luke Greenbank si è chiesto se stesse gareggiando contro nuotatori “puliti” dopo aver gareggiato contro Rylov, che ha vinto l’argento nei 200 m dorso.

L’amministratore delegato dell’agenzia antidoping statunitense, Travis Tygart, ha affermato che il divieto alla Russia di partecipare alle Olimpiadi è una “farsa”. Ritiene che la punizione non sia stata abbastanza dura, e che permette alla Russia di “prendere in giro i Giochi”. In effetti, quando la corte arbitrale l’anno scorso ha dimezzato il divieto della Russia di competere da quattro a due anni, in Occidente questo è stato accolto solo con “rabbia e incredulità[in inglese], nonostante la corte abbia ammesso che le sanzioni contro la Russia fossero “ancora l’insieme di conseguenze più forte mai imposto a qualsiasi paese per reati legati al doping”.

È qui che è importante fare riferimento ai fatti, e non semplicemente alla macchina della propaganda occidentale anti-russa. Secondo il rapporto 2018 della WADA sui reati di doping, i 1640 campioni che hanno violato le loro regole sul doping provenivano da 117 nazionalità diverse [in inglese]. Sebbene alcuni degli atleti fossero russi, le prime dieci nazionalità colpevoli di reati di doping includevano Italia, Francia, India, Ucraina, Stati Uniti, Belgio, Cina, Brasile e Kazakistan. Dobbiamo quindi chiederci perché la Russia sembra essere l’unico paese punito dai media per reati di doping?

Ed è qui che i media tradizionali e la loro agenda russofoba svolgono un ruolo vitale. Nel mezzo di questa nuova “guerra fredda”, la Russia rimane il nemico; il capro espiatorio; il paese che puoi discriminare a qualsiasi livello facendola franca. Se qualsiasi altra nazionalità fosse trattata in questo modo dalla stampa occidentale, lo si chiamerebbe “razzismo” o “discriminazione”. La Russia, d’altra parte, continua a tollerare ciò che non può essere descritto in altro modo che una campagna di discriminazione a sfondo politico. “La Russia continua a prendersi gioco del divieto olimpico”, si legge in un titolo. “I successi olimpici del ROC significano che la Russia “assente” è più presente che mai” ha denigrato il Guardian [in inglese], cogliendo l’opportunità di dipingere la squadra del ROC come una forza malevola, con un’organizzazione “seducentemente brillante” e “quell’amore cupamente umoristico per il pensiero doppio”. Il giornalista vorrebbe farci pensare che la Russia, lungi dal competere come tutti gli altri, è coinvolta in “gangsterismo sportivo da ridere ad alta voce”. L’unica cosa che redime l’articolo è che riconosce che il doping è un problema universale nello sport, non limitato ad una nazionalità. Menziona l’allenatore di corsa statunitense Alberto Salazar [in inglese], che ha ricevuto una sospensione di 4 anni dalla WADA nel 2019 per cattiva condotta correlata al doping. Come sottolinea lo scrittore, la Russia non detiene un “monopolio” su queste cose.

Eppure i media e i commentatori occidentali vorrebbero farci pensare diversamente. La squadra del ROC è stata condannata non solo per la sua presenza a questi giochi olimpici, ma anche per aver indossato i colori della bandiera russa sull’abbigliamento degli atleti. Ogni possibile segno di “russità” è da cancellare, in un modo che va oltre l’umiliazione e la punizione, e ricorda di più una pulizia etnica simbolica. “La Russia è ovunque ai Giochi Olimpici”, ha protestato il New York Times. È come se fossimo arrivati al punto in cui essere russi è intrinsecamente negativo in sé. Un giornalista ha persino avuto il coraggio di chiedere al tennista Daniil Medvedev cosa ne pensasse dello “stigma del truffatore” portato dagli atleti russi durante i giochi. Avrebbe potuto anche chiedere se essere russo ora sia uno “stigma”. Ecco dove siamo arrivati.

La complicità totale e assoluta dei giornalisti dei media tradizionali occidentali nel condannare la Russia in questo modo dovrebbe essere una preoccupazione per tutti noi. Sembra esserci una completa assenza di interrogativi, di sfumature, di un ritegno naturale che ogni persona intelligente dovrebbe possedere prima di fare certe affermazioni. Invece vediamo solo la volontà di esagerare, di rimproverare e di suscitare sentimenti di odio e di ripugnanza verso un paese e persone che personalmente non hanno fatto nulla per offenderci. L’immagine in bianco e nero presentata dell’Occidente “buono” contro la Russia “cattiva” porterà solo a tensioni più profonde e a maggiori possibilità di conflitto fisico. Ora è il momento per i giornalisti di smettere di essere portavoce dei governi occidentali, e iniziare a metterli in discussione. Le agende politiche russofobe non sono entrate solo nello sport, ma in tutte le sfere della nostra vita, compresa l’arte, la musica e la letteratura. Se continuiamo a permettere che ciò accada, saremo tutti parte di quella che potrebbe diventare una discriminazione su una scala mai vista dall’antisemitismo del XX secolo.

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Articolo di Johanna Ross pubblicato il 3 agosto 2021 su Infobrics.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.

[le note in questo formato sono del traduttore]

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