A coloro che seguono più da vicino i mercati finanziari, non sfugge che stanno diventando sempre più frequenti ogni giorno i segnali d’allarme del prossimo grande tsunami finanziario americano. Alcune settimane fa l’attenzione era puntata sui cosiddetti mercati emergenti, specialmente Turchia, Argentina, Indonesia, India e Messico. Ciò che raramente viene menzionato dai media mainstream, è la relazione di tali eventi con il deliberato ritiro di dollari dal sistema finanziario globale da parte della “creatrice” dei dollari, cioè la Federal Reserve americana. Ora negli USA tale processo rischia di esplodere in un calo drammatico non solo delle azioni americane, ma anche dei bond spazzatura ad alto rischio, del debito da immobili, del debito delle auto, del debito delle carte di credito.
Le speranze trumpiane di mantenere il successo economico fino alle elezioni del 2020 o anche solo fino alle elezioni mid-term di novembre, potrebbero essere infrante per volontà della Fed.
Il fatto interessante e poco discusso al di fuori dei circoli finanziari professionali è che ogni grande panico o crisi finanziaria, a partire almeno dal cosiddetto Panico del 1893 negli Stati Uniti, è stato orchestrato a vantaggio di una fazione dominante in ambito finanziario a scapito dei rivali. Questo è stato il caso della crisi del 1970, quando la Federal Reserve di quel tempo (la fazione di Wall Street vicina a JP Morgan) aveva scatenato il panico per acquisire un determinato vantaggio rispetto a dei competitor fastidiosi. Da quando JP Morgan, i Rockfeller e le banche di Wall Street hanno manipolato la creazione della Federal Reserve privata nel 1913, è stata la Fed a pianificare i periodici collassi del mercato dopo che la stessa politica della Fed aveva creato precedentemente un boom speculativo sulle attività.
La Grande Crisi del 1929 di Wall Street è stata causata deliberatamente dalla politica sul tasso di interesse della Fed legata alla pressione fatta dopo il 1927 da Montagu Norman della Bank of England per abbassare i tassi di interesse americani e incoraggiare il flusso di oro verso Londra. Dopo che i tassi americani avevano creato una pericolosa bolla sul mercato azionario, la Fed ha alzato i tassi nel 1929 e ha fatto esplodere la bolla, innescando la Grande Crisi e la Grande Depressione. Negli anni ’90 la Fed di Greenspan ha deliberatamente incoraggiato un’altra bolla speculative di Wall Street, conosciuta come la bolla “dot.com”: prima il presidente della Fed pronunciava discorsi che osannavano la “new economy”, alimentando una bolla azionaria con i tassi di interesse ribassati per poi di nuovo alzarli, facendo quindi scoppiare la bolla nel marzo 2000. Dopo la crisi dot.com lo stesso Greenspan ha di nuovo abbassato drasticamente i tassi ad un mero 1% nel 2003, incoraggiando esplicitamente il boom degli immobili e lodando la creazione da parte di Wall Street della cartolarizzazione e dei “prestiti senza interesse”. Quando lo stesso Greenspan ha cominciato ad alzare deliberatamente i tassi della Fed dal 2006 al settembre 2007, era in atto un conclamato collasso dei mutui subprime americani. Si è opportunamente dimesso poco prima.
Quantitative Easing (QE) e il prossimo incremento della bolla
La Fed ora è nelle fasi iniziali di un altro ciclo di stretta dei tassi di interesse, alzando i tassi dopo un mai visto decennio di tassi zero e quantitative easing. Oltre all’aumento dei tassi, sta anche cancellando il QE con ciò che è conosciuto come il Quantitative Tightening [alleggerimento quantitativo, n.d.t.], vendendo i T-bond e altri tipi di bond che aveva acquistato durante gli ultimi dieci anni di QE, e di fatto riducendo il credito bancario disponibile. Ha cominciato timidamente nel 2017 con dei sempre graduali incrementi dei tassi di interessi della Fed rispetto al livello zero dei passati otto anni. Ora, con il nuovo presidente della Fed, Jerome Powell, sembra che i tassi cresceranno significativamente nei prossimi mesi.
Allo stesso tempo, la Fed ha cominciato ad invertire il suo acquisto di circa 4 trilioni di dollari di titoli del Tesoro, di obbligazioni societarie e di asset durante l’ultimo decennio. A oggi ha venduto 231 miliardi tra treasury e cartolarizzazioni, ritirando l’equivalente in liquidità [in inglese] del sistema bancario.
L’impatto combinato dell’aumento dei tassi della Fed e la liquidazione delle sue disponibilità di treasury da QE, sta creando una stretta di liquidità della valuta americana in tutto il mondo. Mentre finora l’impatto è stato avvertito prima nei vulnerabili mercati emergenti come Turchia e Argentina, nelle ultime settimana ha cominciato a spingere al rialzo i tassi di interesse americani e minaccia di porre fina all’euforica bolla azionaria di Wall Street, cominciata dieci anni fa. Per fare un esempio, fin dall’inizio della crisi nel 2008 l’Indice di Standard & Poor 500 è cresciuto di un mai visto 387%.
Ora, se noi aggiungiamo al mix il fatto che – a causa del generoso taglio delle tasse di Trump e della crescita di spese militari e di altro tipo – quest’anno il deficit federale americano arriverà a toccare quasi il valore di 1 trilione di dollari, e rimarrà a quei livelli per almeno un decennio (con Washington impegnato in una guerra economica con la Cina, il suo più grande creditore, così come il Giappone), gli eventi sono pronti per una crescita dei tassi di interesse americani, in maniera anche piuttosto indipendente [in inglese] dalla Fed.
Una bolla di debito USA
Un decennio di tassi di interesse della Fed più bassi nella storia, ha creato una distorsione grottesca nel sistema dei prestiti in quasi tutti settori dell’economia americani, a partire dal governo federale, fino alle aziende e alle famiglie. Attualmente il debito del governo federale tocca il record di 21 trilioni di dollari, più del doppio di quello del 2008 quando è scoppiato il caso Lehman. Il debito societario americano tocca un mai visto 6.3 trilioni di dollari, ed è sostenibile solo fino a quando i tassi di interesse rimangono ai minimi storici.
Il debito delle famiglie americane ammonta a più di 13.3 trilioni di dollari, molto al di sopra del picco del 2008. Gran parte di questo debito è di nuovo debito ipotecario, che si attesta oltre i 9 trilioni di dollari e vicino al livello del 2008. Parte di questo debito delle famiglie è un mai visto 1.5 trilioni di dollari in debiti per prestiti scolastici: nel 2008 era meno della metà, cioè 611 miliardi di dollari. Se si aggiungono altri 1.25 trilioni di debiti per prestiti auto e carte di credito, lo scenario è pronto perché gli Stati Uniti siano presi in una classica trappola debitoria, una volta che i crescenti tassi di interesse della Fed innescheranno un domino di bancarotte, cioè non appena le aziende e i titolari di mutui ipotecari non potranno più pagare i debiti, facendo aumentare gli insoluti.
Mentre non è del tutto chiaro se i crescenti tassi di interesse della Fed causeranno una crisi del mercato azionario in tempo per le elezioni di mid-term a novembre, lo scenario è palesemente pronto per far sì che la Fed metta l’economia americana in uno stato di grave recessione o depressione entro le elezioni del 2020. Questo porrebbe fine alla presidenza Trump, nel caso in cui il Potere Costituito decida che un’altra opzione possa essere più proficua per la loro agenda di dominio globale.
“Non potremo chiamarla recessione perché sarà peggio della Grande Depressione” ha affermato il gestore di fondi Peter Schiff, che aveva preannunciato la crisi sub-prime del 2007. Schiff prevede una più grande fase discendente nell’economia prima della fine del primo mandato della presidenza Trump. “L’economia americana è in condizioni peggiori di quanto fosse dieci anni fa” [in inglese]. Solo che questa volta la Fed è in una posizione ancora più debole rispetto al 2008, e il debito totale americano è ben oltre i livelli di dieci anni fa. L’economia americana e il governo americano non sono così invincibili come sembra a qualcuno. La domanda è: cosa li sostituirà? L’alternativa euroasiatica Cina-Russia-Iran, cioè l’alternativa più promettente, se vuole avere successo, deve fare molti passi uno dietro l’altro per chiudere al dollaro le proprie economie.
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Articolo di F. William Engdahl pubblicato su New Eastern Outlook il 25 settembre 2018
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia.it
[le note in questo formato sono del traduttore]
Posso pensare a un blocco sinorusso e non mi pare. He se ne possa parlare ancora ma l’Iran no!l’Iran è totalmente a rimorchio .anzi credo che se la Cina non punterà fortemente su una crescita per linee interne questo dinamico tria seguirà il possibile collaborazione dell’economia usa e amen.a volte si parla del rischio Italia come sistemico e allora gli usa come sono?