Le memorie di Diana Johnstone, di recente pubblicazione, danno un incisivo e realistico allarme dal punto di vista politico e un ampio resoconto dell’Europa post-bellica. L’intervista è di Patrick Lawrence.
La prima volta che Diana Johnstone ha soggiornato a Parigi è stato nei primi anni dopo la guerra, quando la Francia e il resto dell’Europa stavano tornando alla vita, e mentre l’America cominciava a costruire un impero in mezzo alle follie della Guerra Fredda degli anni del maccartismo.
Quasi sette decenni dopo, è indiscutibile il posto della Johnstone tra gli attuali corrispondenti europei di spicco. Originaria del Minnesota, ora è una cittadina europea e resta una parigina. La Johnstone, che ha 89 anni, scrive nelle sue memorie personali e politiche appena pubblicate: “Se devo darmi una definizione, mi definisco una indipendente cercatrice della verità”.
“Cerchio nell’oscurità” (Clarity Press) – titolo che la Johnstone prende da Einstein – è un toccante, incisivo e realistico allarme politico, un racconto sempre umano dei tanti decenni da europea della Johnstone. Nell’intervista che segue, abbiamo toccato molti degli argomenti che ha affrontato nei sui articoli, commenti e libri: la spaccatura trans-atlantica, il destino dell’Unione Europea, la ricerca da parte dell’Europa di una identità indipendente e le relazioni del Continente con la Russia. Lei mi ha detto: “Io penso che ci sia un desiderio crescente di sfuggire agli artigli dell’impero americano, ma è necessario che ci sia il momento giusto e che i leader siano in grado di capirlo”.
Ho fatto questa intervista via email nell’arco di molti mesi, durante i quali la diffusione del Covid-19 ha confinato la Johnstone nel suo appartamento parigino. Come di consueto, si era fatta una opinione delle ramificazioni politiche di questa calamità globale. Verso la fine della nostra corrispondenza la Johnstone ha detto: “La crisi del Covid-19 rende ancora più chiaro che l’Unione Europea non è altro che un complesso accordo economico, senza sentimento né leader popolari che tengano insieme una nazione”.
Patrick Lorence. Hai conosciuto la Francia e l’Europa attraverso ogni tipo di fase, la ricostruzione postbellica, i cosiddetti “trente glorieuse” [“il trentennio glorioso”, 1945-1975], gli “eventi” del ’68 e le loro conseguenze, l’allontanamento da una democrazia sociale nativa verso il neo-liberalismo anglo-americano. Come descriveresti questo arco temporale? Cosa ha spinto l’Europa nella direzione che ha preso e che è, converrai, una traiettoria infelice? Vorrei capire il contesto storico e la causalità.
Diana Johnstone. E’ una domanda complessa, a cui faccio fatica a rispondere perché parlerei all’infinito. Io penso che si possa descrivere questo arco temporale in termini di americanizzazione della Francia, che è cresciuta nel corso dei decenni e che potrebbe declinare soprattutto perché l’attrattività americana come modello sta scemando, e non solo in Francia.
Diamo uno sguardo alla storia?

Soldati francesi di guardia all’entrata della metropolitana di Parigi, all’inizio della Prima Guerra Mondiale
Per capire il processo, bisogno tornare alla Prima Guerra Mondiale. La guerra del 1914-1918 ha falciato la gioventù della nazione, infatti più della metà delle vittime sono stati militari, con perdite pesanti tra i giovani ufficiali. La Francia è uscita vincitrice dal quell’orrendo bagno di sangue, si è ripresa l’Alsazia e la Lorena, era sfinita, più che favorevole a considerare sufficiente quella “guerra per porre fine a tutte le guerre”. Anche la Germania era dissanguata ma ne è uscita fortemente risentita, con le conseguenze che tutti noi conosciamo: una seconda guerra significava correggere la prima. Quello che sto cercando di dire è che la riluttanza della Francia a combattere un’altra guerra con la Germania non può essere spiegata – come fa qualcuno – da una latente simpatia per le idee naziste, sebbene all’epoca esistessero tali simpatie in tutta Europa, e ancora di più, sicuramente, in Gran Bretagna. Semplicemente, in Francia il sentimento di voler morire per una giusta causa, era stato usato 20 anni prima.
La rapida resa francese al blitz della Germania nel 1940 è stato un trauma di cui sono rimaste le cicatrici. Il ruolo della “Resistenza”, con la R maiuscola, è stato soprattutto quello di salvare il salvabile dell’orgoglio nazionale. E’ stata anche la preparazione alla socialdemocrazia del periodo post bellico, con il programma del Consiglio Nazionale della Resistenza (CNR), accettato da tutto l’arco politico come necessario per l’unità nazionale. Prevedeva un sistema previdenziale universale, la nazionalizzazione delle banche e delle industrie chiave, il suffragio femminile (finalmente!) e altre misure sociali.
Interessante. Questi collegamenti non sono molto graditi negli Stati Uniti. In che modo la tua esperienza personale si adatta alla storia di “Un Americano a Parigi”?
Ho conosciuto Parigi nella metà degli anni ’50. Non era in rovina come la Germania o umida e cupa come Londra, ma la mia impressione fu che il morale non fosse così alto. Potevi avvertire una latente resistenza all’enorme ombra americana, una qualche continuazione della resistenza passiva all’occupazione nazista, dato che la gran parte della resistenza è sempre passiva. La resistenza più tangibile veniva più o meno dagli stessi elementi della Resistenza contro l’occupazione nazista: il Partito Comunista Francese e i patrioti conservatori.
Nell’Europa orientale la nuova occupazione russa era militare e politica. In Francia, l’occupazione americana non era tanto militare quanto principalmente culturale. All’inizio mostrava il volto felice del jazz americano. Poteva anche essere un po’ anti-americana e amare la musica jazz grazie ai musicisti di colore.
E il jazz non ha affatto sostituito i cantanti francesi di fama internazionale che hanno creato parte del contesto musicale dell’epoca: Georges Brassens, Edith Piaf, Juliette Greco, Charles Trenet, Yves Montand e molti altri. Sebbene vagamente demoralizzata, Parigi aspirava ancora al ruolo di avanguardia della vita intellettuale, grazie all’”esistenzialismo”, non solo per il prestigio internazionale di Jean–Paul Sartre e di Simone de Beauvoir, ma anche per lo stile di vita adeguato alla convalescenza dopo una brutta malattia.
In quei giorni potevi aprire la finestra e vedere i cantanti di strada a cui potevi lanciare qualche soldo. E c’erano uomini che camminavano per la città con lastre di vetro sulle spalle e gridavano “Vitrier! Vitrier!” [Vetraio], con la speranza che il vetro della tua finestra fosse rotto e avessi bisogno di ripararlo.
E c’erano i film, in bianco e nero ma mai manichei. E’ inutile dire che questa è stata la prima cosa che mi ha conquistato: l’assenza dell’enfatico dualismo morale dei film americani. “La bella e la bestia” di Cocteau, il pensieroso amoralismo del giovane Gérard Philippe in “Il diavolo in corpo”: nessuno attore mostrava quanto fosse buono e non c’era nessuno da odiare.
Durante gli anni ’50, la Francia ha perso le guerre coloniali in Indocina e in Nord Africa, e la sua politica è diventata come il gioco dei bastoncini dello Shangai.
Nel 1958 de Gaulle ha preso il controllo: ha posto fine all’occupazione militare americana e al colonialismo francese, e ha scelto di cercare relazioni indipendenti con tutto il mondo. Il ministro della Cultura André Malraux riportò le facciate annerite dei palazzi di Parigi al loro color crema originale, fiorì l’industria e primeggiava il cinema francese della “nouvelle vague”.
Grazie, contesto meraviglioso. Andiamo avanti agli anni ’60.
Il paradosso degli anni ’60 è stato che, proprio mentre de Gaulle de-americanizzava la Francia dal punto di vista geopolitico, tutta la generazione del baby-boom postbellico si stava americanizzando in un suo modo peculiare. Mentre il paese prosperava, una immacolata nuova generazione si americanizzava goffamente con i cantanti “yè yè”, le “feste a sorpresa”, i “flirt” e la parola “standing” (invece della bella parola francese “prestige”).
Le celebrazioni della vittoria di Israele della Guerra dei Sei Giorni nel 1967 sono state seguite subito dopo da una nuova attenzione sui crimini dell’Occupazione, in particolare sulla deportazione degli ebrei. Questo ha creato alla nazione un senso di colpa, che la nuova generazione ha evitato dissociandosi dalla nazione stessa.
Ti stai riferendo al periodo in cui l’esportazione della cultura americana si era trasformata in un’arma della Guerra Fredda.
L’America era innocente. La fascinazione di un’America mitologica, diffusa in tutto il mondo con l’industria dell’intrattenimento americana e spesso con il sostegno del governo, ancora predispone le persone a disprezzare il proprio Paese come arretrato. Questo pone la base per una accettazione fatalistica della pressione americana a conformarsi al concetto statunitense di un eccezionalismo americano anche negli affari mondiali. Cosa che è stata solo temporaneamente ritardata dalla guerra in Vietnam, infatti gli Americani stessi erano contro la guerra, o no? Io ero una di quelli che hanno contribuito a farla apparire in quel modo.
La generazione del Maggio ’68, che è cresciuta mentre le cose miglioravano costantemente, rifiutavano sia l’autorità del paternalismo gaullista sia la disciplina dei Comunisti. Il risultato è stato un individualismo edonistico, teorizzato da Foucault [Michel Foucault, il defunto filoso e teorico] e da altri come “resistenza” al “potere” diffuso. Da questo punto di vista, secondo i suoi “teorici”, la filosofia francese ha effettivamente accelerato l’americanizzazione della Francia e anche dell’America stessa. Attraverso un’azione costante di attacco, decostruzione e denuncia di ogni traccia di “potere” umano che potevano identificare, gli intellettuali ribelli hanno eliminato ogni ostacolo al potere “dei mercati” e non hanno fatto nulla per ostacolare l’espansione del potere militare americano in tutto il mondo.
La generazione “contro il potere” ha finito per condannare il proprio Paese, la Francia, per il suo passato colonialista, mentre mostrava scarsa preoccupazione in merito all’attuale schiacciante potere degli Stati Uniti che distruggono un Paese dietro l’altro, qualche volta con la partecipazione della Francia, come in Libia. C’è anche il fatto, difficile da dimostrare in dettaglio, che attraverso reti come il programma Young Leader [programma Giovani Leader] della Fondazione Franco-Americana, i funzionari degli Stati Uniti riescono ad indottrinare, selezionare o almeno vagliare le emergenti personalità politiche francesi.
Molto ben spiegato, Diana. Arriviamo quindi alla fase neoliberista, che mi ha sempre colpito come strana, dato che è derivata dalla tradizione anglo-americana, non europea.
Con Emmanuel Macron, la Francia sembra avere il presidente più americano e anti-de Gaulle di sempre. Questo può portare certamente ad un cambiamento. Donald Trump è anche, a modo suo, il presidente più “americano” degli ultimi tempi, nel modo che non piace agli Europei. Gli Stati Uniti sembrano sempre di più un manicomio e la sua politica estera minaccia gli interessi e anche la sopravvivenza dell’Europa, quindi è arrivato il momento che la curva diventi discendente.
A che punto e perché l’Europa ha rinunciato alla sua indipendenza nell’Alleanza Atlantica? O non ha mai raggiunto alcuna significativa indipendenza nei primi anni dopo la guerra?
Il punto centrale dell’Alleanza Atlantica era istituzionalizzare la resa della sua indipendenza da parte dell’Europa occidentale. Questo è stato deciso a Yalta, in cui l’Europa occidentale non era rappresentata, non c’era neanche la Francia, una grande umiliazione per de Gaulle. Ci fu un tentativo di indipendenza nel decennio di presidenza di de Gaulle. Ma questo corso coraggioso non ottenne un enorme sostegno interno. L’unico altro leader europeo indipendente era Olof Palme [Primo Ministro svedese dal 1969 al 1976 e dal 1982 al suo assassinio nel 1986], ma la Svezia non faceva parte dell’Alleanza Atlantica e la relativa neutralità di Palme veniva sempre cordialmente detestata da gran parte delle classi ricche e dai leader militari svedesi.
Puoi approfondire de Gaulle in questo contesto? Non è molto capito dagli Americani, per la sua insistenza sulla indipendenza della Francia e sicuramente per la sua politica economica e industriale, e soprattutto per la sua concezione della società. Ci puoi dire qualcosa su questo e sulla idea di Francia che aveva e, per estensione, sull’indipendenza europea? Dovremmo considerare il suo programma interno come una parte delle sue idee in ambito internazionale?
Non molto capito? Direi che sia stato completamente e intenzionalmente frainteso. Ci sono relativamente pochi Americani che possono cominciare a capire un leader determinato a mantenere l’indipendenza del proprio Paese rispetto all’America, e quei pochi hanno dovuto vivere all’estero per capirlo. De Gaulle era un conservatore, non un liberista da libero mercato, che considerava le riforme sociali a beneficio della classe lavoratrice e necessarie per la coerenza nazionale. L’economia mista che preferiva non è affatto dissimile al “socialismo con caratteristiche cinesi”, cioè un ruolo forte dello Stato per incoraggiare una veloce crescita industriale, con il resto lasciato alla libera imprenditorialità. Fu una formula di grande successo. Certo, il sistema politico era piuttosto diverso.
Avendo il senso della storia, de Gaulle vedeva che il colonialismo era stato una fase storica che era passata. La sua politica era quella di promuovere relazioni amichevoli in termini paritari con tutte le parti del mondo, indipendentemente dalle differenze ideologiche. Io penso che sia simile al concetto di mondo multipolare che ha Putin. E’ chiaramente un concetto che fa inorridire gli eccezionalisti.
De Gaulle aveva un concetto organico della nazione, come un essere vivente che sviluppa la propria identità, e in quest’ottica ogni nazione deve poter vivere la sua propria vita. E’ un nazionalismo conservatore, non aggressivo. Gli Stati Uniti sono una nazione ideologica, i cui “valori” e istituzioni dovrebbero essere accolti e imposti ovunque. La Francia lo ha vissuto con Napoleone Bonaparte. La ritirata da Mosca [la fine della campagna napoleonica di Russia del 1812] è una lezione che Washington dovrebbe imparare.
C’è qualche sfumatura gaullista nel discorso francese o europeo di oggi? Lui ha certamente lasciato il segno altrove, c’è per esempio una traccia consapevolmente gaullista nel pensiero giapponese, spesso sommersa ma sempre lì, l’impulso a liberarsi dall’abbraccio soffocante, diciamo così. C’è oggi qualcosa del genere in Francia o da qualche parte in Europa?

Il Presidente Kennedy e il Presidente de Gaulle alla conclusione del loro colloquio al Palazzo dell’Eliseo, Parigi, Francia. Credit: “John Fitzgerald Kennedy Library, Boston”.
Cinquant’anni dopo la sua morte quasi tutti in Francia dichiarano di essere dei “gaullisti”. Non lo sono certamente, ma questo indica che c’è una profonda insoddisfazione per il modo in cui stanno andando le cose. Io penso che ci sia un desiderio crescente di scappare dagli artigli dell’impero americano, ma ciò di cui si ha bisogno è il momento giusto, e che i leader siano capaci di capirlo.
Pensi che il “momento giusto” sia alle porte o si stia avvicinando? Ci sono certamente dei segnali: tutta l’insoddisfazione che ha provocato Trump e la straordinaria “dichiarazione di indipendenza” che ha seguito i disastrosi summit della NATO e del G7 nel 2017. Qual è la tua interpretazione del “momento”?
Incredibile. Proprio mentre chiedevi del grande momento, ecco che arriva un grande momento che non è quello che nessuno di noi si aspettava. Questa improvvisa interruzione delle nostre vite da parte di un virus ci ricorda sempre che il futuro è sempre sconosciuto e le previsioni sono inutili.
Le insoddisfazioni che si stavano accumulando prima del colpo della pandemia sono tutte lì, molto di esse esacerbate dalla crisi sanitaria, ma anche oscurate dai nuovi problemi che si sono creati. Durante i mesi delle proteste dei Gilet Gialli e degli scioperi contro le misure governative di austerity, gli infermieri erano in prima linea, sfidando la violenta repressione per protestare contro il deterioramento delle loro condizioni di lavoro. La crisi del Covid-19 ha dimostrato proprio come avessero ragione! Ora vengono comunemente considerati degli eroi.
Dato che siamo in tema, qual è stata la risposta generale alla quarantena ordinata ufficialmente durante la crisi del Covid-19? Qui stiamo assistendo a crescenti proteste contrarie, cioè persone che chiedono un allentamento delle restrizioni.
In Francia la quarantena è stata generalmente ben accettata come necessaria, ma non significa che le persone siano soddisfatte del governo, anzi. Ogni sera alle 8, le persone vanno alla finestra per applaudire i lavoratori della sanità e di altri settori impegnati in compiti essenziali, ma non per applaudire il presidente Macron.
Macron e il suo governo sono criticati per aver esitato troppo a lungo sulle misure di contenimento, per aver vacillato sulla necessità delle mascherine e dei test, o su quando e come porre fine alla quarantena. La loro confusione e indecisione almeno li difende dalla feroce accusa di aver inscenato l’intera cosa al fine di bloccare la popolazione.
Quello a cui abbiamo assistito è il fallimento di ciò che una volta era uno dei migliori servizi di sanità pubblica al mondo. Si è deteriorato negli anni a causa del taglio dei costi. Negli ultimi anni negli ospedali è diminuito costantemente il numero dei posti letto. Molti ospedali sono stati chiusi, e quelli che rimangono sono estremamente a corto di personale. Le strutture ospedaliere pubbliche sono state ridotte a uno stato di saturazione perenne, quindi quando arriva una nuova epidemia, che si aggiunge alle altre malattie normali, manca semplicemente la capacità di gestire il tutto contemporaneamente.
Il mito della globalizzazione neoliberista ha favorito l’illusione che le società avanzate dell’Occidente potessero arricchirsi con il loro cervelli superiori, grazie alle idee e alle startup dei computer, mentre il lavoro sporco del fare realmente le cose viene lasciato ai paesi a basso reddito. Un solo risultato: la drastica carenza di mascherine. Il governo ha lasciato che una fabbrica che produceva mascherine e attrezzature chirurgiche venisse venduta e chiusa. Avendo esternalizzato la sua industria tessile, la Francia non ha avuto un modo immediato per produrre le mascherine di cui aveva bisogno.
Nel frattempo, ai primi di aprile, il Vietnam ha donato centinaia di migliaia di mascherine antimicrobiche ai Paesi europei, e ne sta producendo a milioni. Impiegando i test e l’isolamento selettivo, il Vietnam ha combattuto l’epidemia con solo poche centinaia di casi e nessun decesso.
Avrai delle idee sulla questione dell’unità occidentale in risposta al Covid-19.
Alla fine di marzo, i media francesi hanno riferito di una grande scorta di mascherine, ordinate e pagate dalla regione sudorientale della Francia, che sono state praticamente dirottate sulla pista di un aeroporto cinese dagli Americani, i quali avevano triplicato il prezzo e avevano un volo cargo per gli Stati Uniti. Ci sono state anche delle notizie di autorità aeroportuali polacche e ceche che hanno intercettato delle spedizioni di mascherine dalla Cina e dalla Russia destinate all’Italia, colpita duramente, e le hanno tenute per loro.
L’assenza di una solidarietà europea è stata scandalosamente evidente. La meglio equipaggiata Germania ha vietato l’esportazione di mascherine verso l’Italia. In piena crisi, l’Italia ha scoperto che i governi tedeschi e olandesi era preoccupati soprattutto che l’Italia garantisse di pagare i suoi debiti. Nel frattempo, un team di esperti cinesi è arrivato a Roma per aiutare l’Italia alle prese con la crisi Covid-19: avevano uno striscione con su scritto “Siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”. Alle istituzioni europee manca una tale poeticità umanistica. I loro valori fondanti non sono la solidarietà, ma i principi neoliberisti di “libera competizione senza impedimenti”.
Come pensi che si rifletta sull’Unione Europea?
La crisi del Covid-19 rende ancora più chiaro che l’Unione Europea non è altro che un complesso accordo economico, senza sentimento né leader popolari che tengono insieme una nazione. Per una generazione, le scuole, i media, i politici hanno instillato la convinzione che la “nazione” è una entità obsoleta. Ma in una crisi, le persone scoprono che vivono in Francia, in Germania, in Italia o in Belgio, ma non in “Europa”. L’Unione Europea è strutturata per occuparsi del commercio, degli investimenti, della concorrenza, del debito, della crescita economica. La salute pubblica è un mero indicatore economico. Per decenni la Commissione Europea ha esercitato sulle nazioni una pressione irresistibile perché riducessero i costi delle loro strutture sanitarie pubbliche con lo scopo di aprire la concorrenza ai contratti del settore privato, che è internazionale per natura.
La globalizzazione ha accelerato la diffusione della pandemia, ma non ha rafforzato la solidarietà internazionalista. La gratitudine iniziale per l’aiuto cinese è stata brutalmente contrastata dagli atlantisti europei. All’inizio di maggio, Mathias Döpfner, amministratore delegato del colosso editoriale Springer, senza giri di parole ha chiesto alla Germania di allearsi con gli Stati Uniti, contro la Cina. Usare la Cina come capro espiatorio potrebbe sembrare il modo per tentare di tenere insieme il mondo occidentale in declino, anche se l’ammirazione di lunga data da parte degli Europei nei confronti dell’America si trasforma in sconcerto.
Nel frattempo, non sono mai state peggiori le relazioni tra Stati membri europei. In Italia e in misura maggiore in Francia, la crisi del coronavirus ha rafforzato la crescente disillusione sull’Unione Europea e un indefinito desiderio di ripristinare la sovranità nazionale.
Domanda a corollario: quali sono le possibilità che l’Europa produca dei leader capaci di cogliere quel giusto momento, quella asserzione di indipendenza? Come te li immagini questi leader?
E’ probabile che l’Unione Europea sia una questione centrale nel prossimo futuro, ma tale questione può essere trattata in modi molto differenti e dipende da quali leader l’affronteranno. La crisi del coronavirus ha intensificato le forze centrifughe che stanno già minando l’Unione Europea. I Paesi che hanno sofferto di più con l’epidemia sono tra i più indebitati tra gli Stati membri europei, a partire dall’Italia. Il danno economico derivato dal lockdown li obbliga a chiedere ulteriori prestiti. Quando cresce il debito, crescono i tassi di interesse applicati dalle banche commerciali. Questi Stati si sono rivolti alla UE per avere aiuto, per esempio con l’emissione degli eurobond per poter condividere il debito a tassi di interesse inferiori. Questo ha aumentato la tensione tra i Paesi debitori del sud e i Paesi creditori del nord, che hanno detto nein. I Paesi dell’eurozona non possono prendere prestiti dalla Banca Centrale Europea, come il Tesoro americano prende in prestito dalla Fed. E le loro banche centrali nazionali prendono ordini dalla BCE, che controlla l’euro.
Che cosa significa la crisi per l’euro? Confesso che ho perso fiducia in questo progetto, visto come ha lasciato emarginate le nazioni ai confini meridionali del continente.
La grande ironia è che “la moneta comune” è stata concepita dai suoi sponsor come la chiave dell’unità europea. L’euro invece ha un effetto di polarizzazione, con la Grecia in basso e la Germania in alto. E l’Italia che sta affondando. Ma l’Italia è molto più grande della Grecia, e non si darà per vinta.
La Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe ha recentemente emesso una lunga sentenza che chiarisce chi è il boss. Ha ricordato e ribadito che la Germania ha accettato l’euro solo perché la missione principale della Banca Centrale Europea era combattere l’inflazione, e che non poteva finanziare direttamente gli Stati membri. Se non fossero state seguite queste regole, la Bundesbank, la banca centrale tedesca, sarebbe dovuta necessariamente uscire dalla BCE. E dal momento che la Bundesbank è il principale creditore della BCE, non c’è da discuterne. Non ci può essere un generoso aiuto finanziario per i governi in difficoltà nell’ambito dell’eurozona. Punto.
C’è una possibilità di disgregazione?
In Francia l’idea di uscire dalla UE è molto presente. La Union Populaire Républicaine, fondata nel 2007 dall’ex alto funzionario François Asselineau, chiede alla Francia di uscire dall’euro, dall’Unione Europea e dalla NATO.
Il partito è stato un successo didattico, avendo diffuso le sue idee e avendo attratto circa 20.000 militanti attivi senza segnare alcun successo elettorale. Un argomento importante per lasciare l’Unione Europea è sfuggire dai vincoli delle norme europee sulla concorrenza per proteggere l’industria vitale e, soprattutto, i servizi pubblici.
Un grande paradosso è che la Sinistra e il Gilet Gialli chiedono una politica economica e sociale che sono impossibili in base alle regole europee, eppure molti a Sinistra si tirano indietro al solo pensiero di uscire dalla UE. Per oltre una generazione, la Sinistra francese ha fatto di una immaginaria “Europa sociale” il centro delle sue utopiche ambizioni.
Intendi dire “Europa” come una idea o come ideale.
Decenni di indottrinamento con l’ideologia dell’“Europa” hanno instillato la convinzione che lo stato-nazione è una cosa negativa del passato. Il risultato è che le persone cresciute nella fede della UE tendono a considerare il ritorno alla sovranità nazionale come un passo fatale verso il fascismo. Questa paura del contagio dalla “Destra” è un ostacolo per un’analisi onesta che indebolisce la Sinistra…e favorisce la Destra, che ha il coraggio di essere patriottica.
Due mesi e mezzo di crisi per il coronavirus hanno portato alla luce un fattore che rende ancora più problematica ogni previsione sui leader del futuro. Questo fattore è un senso diffuso di sfiducia e di rifiuto di ogni autorità costituita. Questo rende estremamente difficile i programmi politici razionali, perché il rifiuto di una autorità implica l’accettazione di un’altra. Per esempio, il modo per liberare i servizi pubblici e la farmaceutica dalle distorsioni del profitto è la nazionalizzazione. Se non hai fiducia nel potere dell’uno o dell’altro, non si va da nessuna parte.
Tale sfiducia radicale può essere spiegata da due fattori principali: l’inevitabile sentimento di impotenza nel nostro mondo tecnologicamente avanzato, combinato con le bugie intenzionali e persino trasparenti da parte dei politici e dei media mainstream. Prepara però il terreno per l’emergere di salvatori manipolati o di ciarlatani opportunisti altrettanto ingannevoli dei leader che già abbiamo, o anche di più. Io spero che queste tendenze irrazionali siano meno pronunciate in Francia che in altri Paesi.
Sono impaziente di parlare della Russia. Ci sono segnali che le relazioni con la Russia siano un’altra fonte di insoddisfazione europea in quanto “soci minoritari” all’interno dell’Alleanza Atlantica guidata dagli Stati Uniti. Macron è esplicito su questo punto, la frase “soci minoritari” è sua. I Tedeschi (gli uomini d’affari, alcuni alti funzionari del governo) sono irrequieti in maniera piuttosto evidente.

Putin all’Eliseo per il summit Formato Normandia con Macron. 9 dicembre 2019. (Presidenza della Federazione Russa)
La Russia è una parte sostanziale della storia e della cultura europea. La sua esclusione è totalmente innaturale e artificiale. Brzezinski [il defunto Zbigniew Brzezinski, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Carter] lo ha spiegato nel libro La grande scacchiera: gli Stati Uniti mantengono l’egemonia mondiale tenendo diviso il continente euroasiatico. Ma questa politica può essere considerata come una eredità degli Inglesi. E’ stato Churchill ad annunciare – e di fatto ben accolto – la Cortina di Ferro che ha tenuto divisa l’Europa continentale. A posteriori, la Guerra Fredda è stata fondamentalmente una parte della strategia del “divide et impera”, dato che persiste con una maggiore intensità mai vista dopo che la sua causa apparente – la minaccia comunista – è venuta meno da tempo.
Non avevo considerate in questo contesto la nostra situazione attuale.
L’intera operazione ucraina del 2014 [il colpo di Stato di Kiev, voluto dagli Stati Uniti, del febbraio 2014] è stata generosamente finanziata e favorita dagli Stati Uniti per creare un nuovo conflitto con la Russia. Joe Biden è stato il principale uomo di punta del Deep State nel trasformare l’Ucraina in un satellite americano, usato come ariete per indebolire la Russia e distruggere le sue naturali relazioni commerciali e culturali con l’Europa occidentale.
Le sanzioni americane sono particolarmente contrarie rispetto agli interessi economici tedeschi, e i gesti aggressivi della NATO mettono la Germania in prima linea in una eventuale guerra.
Ma la Germania è stata un Paese occupato – militarmente e politicamente – per 75 anni e sospetto che molti leader politici tedeschi (solitamente controllati da Washington) abbiano imparato ad adattare i loro progetti alla politica americana. Io penso che sotto la copertura della lealtà atlantica, ci sono alcuni latenti imperialisti frustrati all’interno dell’establishment tedesco, che pensano che possono usare la russofobia di Washington come strumento per tornare ad essere una potenza militare mondiale.
Ma penso anche che il dibattito politico in Germania sia estremamente ipocrita, con obiettivi concreti mascherati da falsi temi come i diritti umani e, ovviamente, l’attaccamento a Israele.
Ricordiamoci che gli Stati Uniti non usano semplicemente i loro alleati: i loro alleati o, meglio, i loro leader, pensano che loro stanno usando gli Stati Uniti per alcuni loro scopi.
Che dire sulla Francia che dal G7 di due anni fa a Biarritz va ripetendo che l’Europa dovrebbe stringere delle proprie relazioni con la Russia secondo gli interessi europei e non americani?
Penso che la Francia sia più propensa rispetto alla Germania a porre fine alla russofobia imposta dagli Stati Uniti, semplicemente perché, grazie a de Gaulle, non è così completamente sotto occupazione americana. Inoltre, l’amicizia con la Russia è un tradizionale sistema di bilanciamento rispetto alla dominazione tedesca, che è attualmente sentita e risentita.
Facendo un passo indietro per avere una visione più ampia, pensi che la posizione dell’Europa sulla parte occidentale del continente euroasiatico modellerà inevitabilmente la sua posizione rispetto non solo alla Russia ma anche alla Cina? Per dirla diversamente, l’Europa è destinata a diventare un centro di potere indipendente nel corso di questo secolo, ponendosi tra Est e Ovest?
Al momento ciò che si pone tra Est e Ovest non è l’Europa ma la Russia, e ciò che conta è da che parte pende la Russia. Includendo la Russia, l’Europa potrebbe diventare un centro di potere indipendente. Attualmente gli Stati Uniti stanno facendo di tutto per impedirlo. C’è però una scuola di pensiero strategico a Washington che lo considera un errore, perché spinge la Russia tra le braccia della Cina. Questa scuola è in ascesa con la campagna di denuncia contro la Cina come responsabile della pandemia. Come accennato, gli Atlantisti in Europa stanno saltando sulla barca della propaganda anti-cinese. Ma non stanno mostrando alcun particolare affetto per la Russia, la quale non mostra alcun segno di voler sacrificare la sua partnership con la Cina per degli inaffidabili europei.
Se alla Russia fosse permesso di diventare un amichevole ponte tra la Cina e l’Europa, gli Stati Uniti sarebbero obbligati ad abbandonare le loro pretese di egemonia mondiale. Ma siamo lontani da questa pacifica prospettiva.
*****
Intervista di Patrick Lawrence pubblicata su Consortium News il 17 maggio 2020
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.
La redazione di Saker Italia ribadisce il suo impegno nella lotta anti-mainstream e la sua volontà di animare il dibattito storico e politico. Questa che leggerete è l’opinione dell’autore; se desiderate rivolgere domande o critiche purtroppo questo è il posto sbagliato per formularle. L’autore è raggiungibile sul link dell’originale presente in calce.
L’opinione dell’autore non è necessariamente la nostra. Tuttavia qualsiasi commento indecente che non riguardi l’articolo ma l’autore, sarà moderato, come dalle regole in vigore su questo sito.
No comments!
There are no comments yet, but you can be first to comment this article.