Fra il 2007 e il 2008 il mercato immobiliare fu la miccia che fece esplodere la crisi finanziaria e, a ruota, quella economica. Per quanto oggi i problemi si siano ormai spostati a livello di bilancio statale, è probabilmente utile una panoramica della situazione del mercato immobiliare in Europa e in Italia, in quanto chiaro indicatore dei trend globali dell’economia. Come vedremo, infatti, i dati certificano in maniera assai accurata tutte le spaccature prodotte dalla crisi nel corpo sociale (da quelle fra stati a quelle di concentrazione geografica della ricchezza) e mostrano gli effetti della precarizzazione e delle seguenti politiche di austerità a danno di ampi strati sociali nei paesi maggiormente colpiti come il nostro.
Osserviamo, quindi, come si sono evoluti i prezzi delle case nell’Unione Europea e nell’Eurozona dopo il 2008.

Andamento del mercato immobiliare nella UE dopo il 2008.
Sia guardando i paesi dell’Unione che focalizzandoci sulla più ristretta area euro la media del costo degli immobili alla fine del 2017 è decisamente più alta dei prezzi del 2008. La ripresa, cominciata nel 2012, (per l’UE in generale) e 2015 (per l’euro area) ha portato i prezzi medi dal 103/104% pre crisi (rispetto al valore del 2015) al 109/110% di fine 2017 (e oggi probabilmente leggermente più in alto).
Osservando, però, il dettaglio, ovvero la divisione per stati del dato complessivo, questo confortante quadro di ripresa ci mostra situazioni ben differenti per le varie nazioni:

Andamento del mercato immobiliare dopo il 2008 nelle diverse nazioni europee
Fatti 100 i prezzi del 2008 notiamo come la Germania sia oggi a circa 125, la Francia invariata, mentre Italia e Spagna si trovano rispettivamente verso gli 80 e 70. Quindi la ripresa del mercato immobiliare riguarda essenzialmente l’area tedesca ed i suoi satelliti della mitteleuropa (Austria, ma anche le nazioni Visegrad) dove non solo vi è stata ripresa ma è in corso un vero e proprio boom sulla cui sostenibilità, soprattutto per le nuove “tigri” dell’est Europa, è legittimo avanzare qualche dubbio. Al contrario il sud Europa rimane incapace di andare oltre i massimi pre crisi, sia che si parli dell’esplosione della bolla spagnola che del lento ma costante declino italiano.

Andamento del mercato immobiliare nel mezzogiorno europeo
Soffermiamoci dunque un attimo sulla crisi del mezzogiorno europeo. Analizzando l’evoluzione di quest’area geografica notiamo un divide tra la penisola iberica da un lato e Grecia ed Italia dall’altro. Se per la Spagna l’esplosione della bolla immobiliare è stata talmente violenta che nonostante la ripresa oggi i prezzi sono ancora decisamente più bassi di quanto non fossero 10 anni fa, il Portogallo gode di una finestra di relativo (e instabile probabilmente) benessere, per cui i prezzi immobiliari, tra investimenti esteri e discreta ripresa interna, risultano essere più alti dei livelli precrisi.
Invece l’austerità imposta alla Grecia, ma anche al nostro paese (con la “cura” di Mario Monti), fa si che la successiva ripresa sia stata totalmente persa. Ad ormai un decennio di distanza i prezzi delle case in Italia sono ancora in discesa, al massimo hanno rallentato il ritmo della caduta mostrando segni di stabilizzazione.
Cercando quindi di riassumere questi dati possiamo notare la solita rottura tra area centro nord (est) dell’Europa e area mediterranea, con la Francia in posizione intermedia e Grecia ed Italia nella scomoda posizione di paesi più colpiti da politiche recessive e deflattive.
Proviamo ora ad esaminare più da vicino i dati relativi al nostro paese, e in particolare all’andamento negli ultimi due anni, quelli in cui qualche vento di ripresa sembra essere spirato anche da noi, perlomeno in termini di PIL. Perché, come in Europa, anche in Italia ci sono regioni che hanno recuperato ed altre che hanno perduto posizioni.
Andiamo dunque a prendere i dati di compravendite reali facilmente rintracciabili in un primario sito di intermediazione immobiliare e osserviamo come i prezzi delle compravendite e degli affitti si siano mossi in alcune città della nostra penisola. Nella fattispecie andiamo a prendere una metropoli in difficoltà industriale (Torino), la capitale dei servizi (Milano), una città d’arte (Firenze) e una media città della provincia italiana di una zona non particolarmente disagiata (Ancona).
- Torino: prezzi affitti
- Torino: prezzi compravendite
Sotto la Mole Antonelliana le cose vanno parecchio male. A 10 anni dalla crisi i prezzi continuano a scendere a ritmi robusti senza mostrare segni di inversione (se non una lieve diminuzione della flessione che, negli anni peggiori, ha toccato anche punte del 7/8% annuo). E’un panorama da declino strutturale, di lungo periodo, che esemplifica benissimo la perdita di peso nel nostro paese della grande industria (in questo caso ovviamente la FIAT), e le conseguenze della delocalizzazione selvaggia, utile a riempire i portafogli dei padroni ma brutale sul tessuto sociale della città abbandonata. La retorica che si sentiva su una Torino post Fiat all’epoca delle olimpiadi invernali del 2006 si è dimostrata ovviamente non corrispondente agli avvenimenti e, al contrario, la deindustrializzazione una triste realtà.
Invece gli affitti (per quanto non possano essere tonici in un contesto di depressione del genere) oscillano sempre tra gli 8 e gli 8,5 euro, tutto sommato abbastanza stabili rispetto alla carneficina delle compravendite. E qui vi è il secondo punto rilevante. Un’ampia fetta della popolazione non può più permettersi di comprare casa, contribuendo al declino dei prezzi, e finisce in affitto a consumare, senza ottenere nulla in cambio, parte rilevante del proprio reddito mensile. Quando vi parlano di modernità in cui la proprietà è superata dalla “rent/sharing economy” tenete a mente che l’unica proprietà superata è la vostra. Chi sta in alto nella scala sociale accumula patrimonio e sulla difesa a denti stretti di quel patrimonio fonda la propria visione economica.
- Milano: prezzi affitti
- Milano: prezzi compravendite
Al contrario di Torino, Milano mostra una certa resilienza e negli ultimi due anni prima stabilizza i prezzi e poi ricomincia a crescere a tassi (il 2,7% circa) superiori a quelli dell’inflazione. Anche qui, lontano dalla retorica di Milano locomotiva d’Italia, potremmo dire che Milano diventa l’unica metropoli italiana a potere competere nell’economia globale. Si tratta di una locomotiva che avanza (peraltro a velocità piuttosto ridotta) solo dopo essersi liberata dei vagoni, lasciando il resto del paese con l’illusione di molti “competenti” (gli stessi che magnificavano la Torino “post industriale”) secondo i quali sarebbe solo questione di applicare anche altrove il modello meneghino di città smart, cosmopolita, efficiente. Quando invece tutto quello che abbiamo è un’oasi a cui si rivolgono masse (interne ed esterne), sempre più ampie, di depauperizzati, nella speranza di non finire fra i sommersi. Anche qui gli affitti per le dinamiche sociologiche sopra descritte, che valgono anche nella luccicante capitale della moda e del post fordismo, sopravanzano nettamente la crescita dei prezzi per le compravendite. Moderni, efficienti, cool. E precari.
- Firenze: prezzi affitti
- Firenze: prezzi compravendite
La reginetta della crescita immobiliare non è, però, Milano, bensì Firenze. E questo può dirci molto sul Belpaese. Città d’arte, città di turismo. Prezzi medi al metro quadro ormai arrivati a 3.600 €, con una crescita oltre il 4% annuo. Non andremo certo lontano dal vero ipotizzando che questa crescita (come succede anche a Bologna), sia trainata da appartamenti da destinare al fenomeno degli affitti turistici (Airbnb, per citare l’operatore più noto). Chiariamoci: il turismo è una legittima attività economica, come è legittimo affittare e cercare appartamenti su Airbnb. Il problema, però, sorge quando questo tipo di attività diventa totalmente preponderante nel territorio, facendo schizzare prezzi delle case e degli affitti in una misura niente affatto corrispondente ad un aumento reale dei salari della popolazione.
- Ancona: prezzi compravendite
- Ancona: prezzi affitti
E veniamo, così, alla provincia italiana analizzando il caso emblematico di Ancona. Non vicina a una grande città, non povera, in passato in grado di avere una forza intrinseca e di sostenere perlomeno il proprio hinterland. Oggi non più. Crollo del valore delle compravendite, affitti stabili. Dinamiche anche qui da regressione strutturale. C’è poco da aggiungere: il declino sembra coinvolgere ampie aree, ben oltre quelle storicamente svantaggiate del nostro paese.
Cerchiamo di tirare le somme individuando delle costanti, prima fra tutte la polarizzazione. Polarizzazione geografica tra nord e sud Europa, polarizzazione tra città internazionali (per turismo o servizi) e vecchie glorie industriali (Torino, ma il caso di Genova, che non abbiamo potuto esaminare per non rendere troppo dispersiva l’analisi, è ancora peggiore), polarizzazione tra centro e provincia. E polarizzazione sociale tra chi ha e chi, non potendo permettersi di comprare, finisce in affitto perennemente.
A questo stato di cose, vero e proprio sfaldamento della struttura sociale (oltre che economica) italiana, si vorrebbe rispondere esaltando la mobilità. Quella dei disperati che rischiano di morire in mare inseguendo il sogno di un sempre più evanescente bengodi, ma anche quella dei meno disperati autoctoni, privi comunque di prospettive, che si concentrano nei pochi punti che ancora reggono del territorio nazionale o scelgono l’emigrazione intra europea, propagandata ogni giorno dai nostri media, che rappresenta gli espatriati che “ce l’hanno fatta” come “coraggiosi innovatori” “aperti al mondo”.
Quando la stabilità passa invece in primis da due cose: lavoro e casa. Che dovremmo rimettere in cima alle nostre agende politiche e valoriali, ed al centro di una discussione seria e sempre più urgente.
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Articolo di Amos Pozzi per sakeritalia.it