È ben noto che nessun popolo è più preciso dei tedeschi nella preparazione e nella pianificazione di un’attività, ma ugualmente nessun popolo può risultare maggiormente sconvolto quando i suoi piani falliscono. Essi non sono in grado di improvvisare.
(Winston Churchill)
[Negli anni cinquanta] Amo talmente tanto la Germania che sono felice di vederne due.
Il tedesco è sicuro di sé nel peggiore dei modi, nel modo più disgustoso e inesorabile, perché è ciecamente convinto di sapere la verità: una scienza, cioè, da lui stesso elaborata, ma che per lui è il vero assoluto.
La Germania è senza dubbio alcuno uno dei paesi chiave del sistema internazionale costruito negli ultimi 40 anni, in particolare nella sua versione mercantilista, che ha preso il sopravvento negli ultimi 20. Dall’agenda Schroeder (inizio 2000) all’introduzione della moneta unica la Germania ha plasmato, culturalmente prima ancora che economicamente, il Vecchio Continente sulla propria weltanschaung e sui propri interessi. Questo processo è sicuramente l’espressione di una forma di imperialismo del nord europa sul sud, di costruzione della dimensione politico/economica continentale sui propri interessi (allargamento ad est, apertura dei mercati di sbocco nel sud Europa, cannibalizzazione della manodopera istruita mediterranea nel proprio modello economico).
Ma è anche qualcosa di più. Come ben rappresentato nella citazione di Tolstoj il presupposto ideologico dell’egemonia tedesca è la presunzione di possedere il Vero. Vero che, nella fattispecie, si identifica con le regole ordoliberiste, prima applicate in patria, poi estese all’intera Europa, naturalmente con le differenze derivanti dall’essere centro o periferia del sistema.
Non vi sono altre Europe possibili innanzitutto perché non vi sono altre Germanie possibili. La struttura è applicata fin dal centro del modello: dal che deriva che la ribellione a questo modello non si riduce ad una questione di indipendenza e sovranità nazionale (che pure vi è, ed è importante) ma deve elevarsi a critica radicale ad un impostazione strutturalmente liberista, cannibale e tesa alla deflazione salariale e alla crescita solo per linee esterne che è il cuore stesso del modello tedesco.
Andiamo, quindi, a guardare come funziona direttamente il centro dell’Impero e cerchiamo di verificare se persino lì, dove affluisce il surplus di questo progetto, vi siano squilibri macro in grado di minarne alle basi le possibilità di riuscita.

Germania: Saldo delle Partite Correnti

Germania: suddivisione NIIP
Come notiamo dal primo grafico l’introduzione dell’euro è indubbiamente stato un toccasana per l’economia tedesca. Il surplus commerciale è decollato: la bilancia è passata da un deficit di circa il 2% del PIL nel 2000 ad un surplus di quasi il 9% nel 2015. Moneta unica, costruzione europea su misura, contrazione salariale interna hanno enormemente premiato la borghesia tedesca (si, esistono le classi, non si ragiona solo per nazioni). Eppure qualche neo si intravede: già la scorsa crisi 2007/2008 ci indica i limiti di un modello incentrato solo su crescita estera e compressione della domanda interna. In quei 2 anni il surplus tedesco passa dal 6,5% al 5,5% del PIL, con Pil stesso in netta contrazione (addirittura -5,6% nel 2009, contro il meno 5,5% italiano).
Nel cercare le cause del problema la “narrazione mediatica” si è concentrata sulla questione del debito privato (miccia di innesco della scorsa crisi) e sul contagio dello stesso su banche e debito pubblico a causa di salvataggi e recessione. Tematiche sicuramente reali ma che non mettono a fuoco il vero punto: un modello strutturalmente sbilanciato (sin da metà anni ’70) a favore della rendita e contro al lavoro, nonché una crescita che deve necessariamente proseguire solo per linee esterne (l’export), comprimendo i salari, sia per tonificare gli utili che per tenere bassa l’inflazione. Che però, oltre a ridurre le condizioni di vita di ampie masse lavoratrici nei paesi sviluppati, li rende tremendamente esposti a shock esterni.
Oggi la situazione si presenta, se possibile, ancora più involuta e complicata. Nello scintillante cuore del mercantilismo, il picco del surplus sulle partite correnti è stato raggiunto nel 2015 sia in termini assoluti che in rapporto al PIL. Certo, parliamo di un surplus che dai massimi del 9% del PIL è lievemente declinato all’8% nel 2017 e al 7,5% (come stime) nel 2018. Un surplus comunque enorme, sufficiente a considerare i titoli di Stato tedeschi il rifugio naturale in caso di crisi mondiale. E nel secondo schema vediamo come la NIIP (posizione generale sull’estero di un paese, in breve differenza tra asset tedeschi all’estero e asset esteri in Germania) sia ovviamente sui massimi storici. Dopo 20 anni di “ vacche grasse“ e surplus non può che essere così.
Ad uno sguardo più attento non può però sfuggire come il grosso della crescita del surplus sia stata fatta tra il 2000 e il 2007, quando sono passati da un deficit del 2% a un surplus di quasi il 7% annuo, di poco inferiore a quello attuale. Sarebbe anche una buona notizia se la riduzione del surplus fosse dovuta ad un aumento dei consumi interni. Invece, al netto di qualche decente contratto nazionale rinnovato, è l’export tedesco a mostrare segni di stanchezza, come si nota anche dai dati sulla produzione industriale in picchiata e dalle difficoltà in borsa dei colossi industriali germanici (da Bayer all’industria automobilistica) che hanno avuto i loro massimi ormai nel 2015.
La posizione estera della Germania sembra, sotto molti aspetti, allo zenit; ancora molto forti – nazione creditrice e quindi rifugio per eccellenza – ma con più di un’indicazione di fragilità intrinseca. Debolezza non particolarmente evidenziata nelle discussioni sul modello tedesco, anche da parte dei suoi critici.

Germania: Nuove Imprese

Germania: Dinamica degli Affitti e dei Prezzi degli Immobli

Germania: bolla immobiliare distinta per aree territoriali

Germania: prestiti per acquisto immobili
Se guardiamo la situazione interna del paese il quadro è anche meno rassicurante. Il primo grafico ci indica le registrazioni e le cancellazioni di nuove imprese. Se in Italia siamo ormai da anni in saldo negativo, con la distruzione di tessuto industriale e la concentrazione dello stesso verso le società di capitali, anche in Germania le cose vanno meno bene di quanto si sarebbe portati a pensare. Sebbene positivo, il saldo è andato verso lo zero almeno due volte dopo il 2009 e soprattutto il ritmo di creazione di nuove imprese è inferiore alla fine degli anni 90, dato indicativo di un processo di concentrazione e desertificazione delle nuove iniziative dal basso.
Da ultimo uno sguardo al mercato immobiliare. I dati ci rappresentano una situazione che non è eccessivo chiamare bolla. Crescita dei prezzi del 70% dal 2008, decisamente superiore alla crescita del reddito disponibile, aumentato, nello stesso periodo, di circa il 15%. Una fiammata iper concentrata nelle grandi città (coerente con il quadro di concentrazione e tendenza alla globalizzazione che abbiamo sopra indicato). A fronte di tale impennata, si registra poi una crescita parallela dei mutui erogati soprattutto dalle grandi banche che, evidentemente, cercano di sfruttare la cosa per rimpinguare scarsi bilanci dovuti ai bassi tassi aumentando la quantità di erogato. Con i rischi che abbiamo già visto nel 2007 e che, in questo caso, si sommano alla già traballante posizione dei due colossi tedeschi e alle contraddizioni globali che abbiamo cercato di mostrare sia in questo articolo che nei precedenti.
Sebbene, quindi, la Germania continui ad essere vista come rifugio finanziario supremo, con i BUND a 10 anni che non rendono più nulla ed hanno cominciato ad andare in territorio negativo già prima dello scoppio della crisi finanziaria, questo scenario ottimista non regge, però, ad un esame che si focalizzi sui trend macroeconomici e non su limiti ad una mera fotografia del presente, esame che mostra delle crepe, se non profonde, potenzialmente inquietanti.
Crepe che sicuramente saranno ignorate in caso di crisi globale, portando i titoli di stato tedeschi ancora più in bolla a fronte di una situazione reale (ma anche di posizione su estero), che potrebbe davvero cominciare a deteriorarsi cospicuamente. O perlomeno a non essere così eccezionalmente positiva, portando qualcuno a chiedersi se davvero valori di interessi talora radicalmente negativi sui propri capitali immobilizzati per molti anni siano giustificati.
Ma questa è un’altra storia. Utile da tenere a mente ma che avremo ampio modo di verificare nei prossimi anni.
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Articolo di Amos Pozzi per Sakeritalia 9 aprile 2019
La Germania gode della sua potenza demografica e industriale; non dico finanziaria perché, sebbene condizioni la Gestione della BCE, dovrà passare sotto le forche caudine della politica ECONOMICA CON L’ESTERO della Cina e degli USA sebbene per motivi geo-strategici opposti.
La flessione o caduta degli attivi connessi alle esportazioni verso Cina e USA dimostrerà che, sia la Germania sia la UE, sono entità deboli che dovranno lasciare la presa su quel che resta del Regnicolo europeo.Amen.