Non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi.

Deng Xiaoping

E’ chiaro che i Cinesi, avendo fatto a meno di noi per 5000 anni, pensano di poter continuare a farne a meno.

Henry Kissinger

La Cina è come un elefante in bicicletta. Se rallenta, potrebbe cadere e la terra tremare.

Economista cinese

Dopo avere analizzato nelle settimane passate la congiuntura economica di Europa e Stati Uniti è ora di focalizzare la nostra attenzione sulla terza grande realtà economica del nostro pianeta: il dragone cinese. Storia di successo di chi è riuscito a sfruttare la globalizzazione invece di farsi sfruttare, portando fuori dalla povertà un miliardo abbondante di persone a ritmi di crescita notevoli, la Cina ci pone davanti  un quadro sicuramente differente da quello euro-americano.  Differente ma non completamente estraneo: in fin dei conti la Cina non è l’URSS. Il suo “socialismo di mercato” o “capitalismo di stato” è, come si è detto altrove, totalmente integrato nel sistema mondiale. E pertanto è necessario, nell’analisi delle contraddizioni a livello globale, osservare da vicino il “miracolo cinese” per coglierne possibili fattori di rischio.

In questo caso il problema non è ovviamente la voluta  scarsa crescita strutturale (come in Europa) né il deficit commerciale (come negli Stati Uniti). Volendo focalizzare le criticità dovremo, come si fa solitamente per le economie emergenti, verificare se se non vi siano, per caso, fattori di surriscaldamento della galoppata cinese o contraddizioni intrinseche che potrebbero causare, se non un arresto, almeno una pausa nella crescita.

Iniziamo, quindi, esaminando l’andamento di debito pubblico e inflazione.

Cina: Debito Pubblico

Cina: Inflazione

Ci si presenta una scenario tranquillizzante. Il rapporto debito/PIL cinese è cresciuto in modo cospicuo (dal 20% di metà anni 90 al circa 50% odierno), ma non vi è rilevante esposizione estera e, considerati i risultati di sviluppo ottenuti, possiamo ritenere questa crescita contenuta e assolutamente gestibile.

Il tasso di inflazione ci fornisce dei dati ancora più rassicuranti. Con una crescita robusta e continua l’inflazione si attesta attorno all 1,5%: tasso da economia matura che certo non indica segnali di surriscaldamento, anzi risulta essere decisamente basso per una crescita che, ancora oggi, sta intorno al 7% annuo.

Conviene tuttavia continuare nella nostra indagine. Dopotutto il moto perpetuo non esiste e nella storia le grandi ascese hanno tutte comportato, perlomeno, delle “crisi” di passaggio all’età adulta (la più celebre quella attraversata degli Stati Uniti nel 1929). Queste crisi di crescita non significano necessariamente la fine di un modello, ma possono provocare ripercussioni globali notevoli. Proseguiamo quindi esaminando l’andamento del debito privato (famiglie e aziende, sia semipubbliche che private).

Cina: Debito Privato

Cina: debito delle aziende

Cina: Debito delle Famiglie

Qui le cose cominciano a complicarsi. Il debito aziendale cinese era oltre il 180%  del Pil già nel 2013, sorpassando di slancio livelli in cui altre nazioni hanno avuto crisi debitorie molto pesanti (ricordiamo ad esempio quella del Sud Est asiatico nel 1997/1998 e quella americana nel 2008) ed oggi si avvia tranquillamente verso il 300%.

Il debito delle famiglie, spinto dal credito al consumo, è addirittura passato da un inesistente 10% del Pil nel 2007 al 50% odierno.

Anche qui vale la precisazione che abbiamo fatto sul debito statale. Si tratta di debito emesso in valuta locale, quindi non rischia il classico shock da rialzo dei tassi del dollaro che hanno avuto in precedenza economie emergenti (come appunto Indonesia e Thailandia a fine anni ’90, o la Turchia oggi) . Ma è comunque una cifra notevole e preoccupante. Certo, a differenza di ciò che pensano i liberisti puri nostrani il debito ha una funzione sociale. Sussidiando le aziende parastatali Pechino sta trasformando la propria economia. Da produttore a basso prezzo per conto terzi la Cina sta diventando una potenza industriale in proprio, non solo per dimensioni ma anche per tipologie di prodotto strategiche e ad alto valore aggiunto. Però, precisato tutto questo, quel debito esiste, è ben presente come problema ai governanti cinesi, ma non è un tema di facile soluzione. Se su inflazione e debito pubblico non vi sono segnali di surriscaldamento il debito privato e quello famigliare sono fattori di rischio notevoli, che pongono al comitato centrale del PCC l’arduo (e forse impossibile) compito di bilanciare crescita, consumi, ascesa industriale e un necessario deleveraging (diminuzione della leva finanziaria usata per garantire lo sviluppo) prima che la cosa sfugga di mano.

Cina: costo del debito.

Il costo del debito, infatti, per quel complesso insieme di imprese private e semi pubbliche di cui consta l’economia mista cinese è arrivato ormai intorno al 20% del bilancio delle stesse. Percentuale non drammatica ma importante e soprattutto da leggersi nel contesto di trend in piena ascesa. Ed anche questo è un dato che dobbiamo annotare nel quadro generale.

Va però precisato che, essendo un debito in valuta propria la sostenibilità deve essere misurata alla luce della posizione estera del paese. Il rischio, infatti, è che una simile massa debitoria non sia sostenibile in assenza di tassi di crescita notevoli e di una posizione della bilancia commerciale nettamente positiva. Se infatti rallentasse la crescita o l’export  (o entrambi) quella montagna che oggi è solo carta potrebbe diventare un problema notevole per la sostenibilità dell’ascesa del rosso/celeste impero.

Cina: tendenza di Crescita

Cina: crescita del PIL

Come si vede da questi due grafici (il secondo riporta i tassi di crescita del PIL cinese, il primo ne ipotizza un’evoluzione simile a quella di Sud Corea e Giappone) la crescita cinese è robustissima ma si sta progressivamente normalizzando. Tassi comunque da sogno per noi e più che sufficienti, anche in versione ridotta, a proseguire a un passo più normale nella loro rincorsa a standard di vita da economia sviluppata. Ma anche tassi che, in fase discendente, potrebbero diventare incompatibili con questo altro eccezionalismo (parente stretto di quello americano), scenario nel quale la massa debitoria  potrebbe cominciare a diventare un problema. Magari transitorio, probabilmente risolvibile, ma nel medio periodo sicuramente un grosso problema. In grado di proiettare scosse sismiche in tutto il mondo.

Cina: andamento delle partite correnti

Cina: andamento delle Partite correnti per Settore

Cina: risparmio

Uno degli asset (storico anche per il nostro Paese) che può sostenere un debito in ascesa è ovviamente il tasso di risparmio. Quello cinese ha avuto una crescita notevole dopo il 2000, ed è giunto a toccare massimi del 39% del reddito personale. Successivamente, però, la crescita si è bloccata ed anzi è iniziato un lieve declino. Parliamo in ogni caso di tassi elevatissimi, decisamente superiori alla media europea (intorno al 12%) e americana (circa l’8%), espressione di un paese che combina crescita economica diffusa e una certa storica frugalità confuciana. Tuttavia, nonostante questi dati siano senza dubbio positivi per l’economia cinese, altri fattori concomitanti come l’invecchiamento della popolazione, un sistema sanitario ancora oggi da ricostruire appieno e la tendenza a spendere tipica delle società del benessere (e utile per la transizione del modello cinese export oriented a un maggiore equilibrio con la domanda interna) non li rendono un’assicurazione certa e inattaccabile tanto più che, come dicevamo, negli ultimi anni di maxisviluppo la quota di risparmio non è più salita.

Anche l’analisi delle partite correnti (ormai dovreste sapere di che si tratta: export meno import) ci narra una storia di normalizzazione del mercantilismo cinese. Il surplus è circa il 2% del PIL, meno della posizione italiana, molto meno di quella tedesca. E’ uno sviluppo sano ed equilibrato per l’economia mondiale e per il tenore di vita dei cittadini cinesi. Che a fronte di quella crescita incassano i frutti (a differenza di quelli tedeschi o ancora peggio italiani) e cominciano a spendere e soprattutto a viaggiare all’estero (guardate come il turismo pesi nella spesa cinese di beni/servizi esteri). Il surplus sulle merci è ancora enorme e superiore a quello del 2007 (ha toccato i massimi nel 2015) ma nel complesso la posizione totale sta diventando molto più equilibrata. E se questa, in generale, è una buona notizia (perché significa che i cinesi vedono un innalzarsi dei loro salari, spendono, consumano e quindi diventano molto meno di prima strumento della deflazione globale e concorrenza a basso prezzo per le classi lavoratrici occidentali) sotto un altro profilo lo è molto meno, ci riferiamo, ovviamente, al problema della sostenibilità del debito che annotavamo in precedenza.

Crescita su percentuali più normali e una posizione su estero normalizzata significano che quel debito può diventare davvero un problema. E il soft landing con deleveraging (scusate per l’eccesso di inglesismi ma così vengono chiamate queste operazioni; nella lingua di Dante potremmo tradurre: rallentamento gestito dell’economia con una riduzione dell’eccesso di credito) unito al bisogno comunque di mantenere buoni ritmi di crescita ai fini di consenso, sviluppo, e posizione geopolitica ed economica futura del paese diventa un’operazione forse non impossibile, ma certo molto difficile. La quadratura del cerchio potrebbe non essere esattamente indolore e senza problemi, anche in presenza di una classe dirigente che finora si è distinta (a differenza di altre) per prudenza, pragmatismo e capacità di gestire la cosa pubblica nell’interesse collettivo.

In questo contesto si colloca la tematica (che avevamo già affrontato nell’ultimo intervento) dal lato statunitense, ovvero il contrasto sui dazi tra Stati Uniti e Cina che potrebbe (usiamo condizionale per concederci il beneficio del dubbio, ma in realtà si tratta di fatto praticamente certo) aggiungere un’ulteriore fattore di incertezza a questa situazione di difficile risoluzione, in cui la Cina deve bilanciare la necessità di evitare il surriscaldamento con quella di garantirsi crescita e futuro.  Infatti, se risultassero vere le voci di una proposta cinese di acquisto di circa 1200 miliardi di dollari di merci USA in 6 anni (circa quindi 200 per anno) questo accordo, che senza dubbio verrebbe festeggiato dai mercati finanziari di tutto il mondo, porrebbe ulteriore stress su quella bilancia commerciale che oggi già tende verso la parità. O portare ad esempio a una riduzione dell’import europeo (quindi anche italiano) da parte cinese. O a una necessaria riduzione dei consumi dei cinesi stessi.

Se invece tale accordo dovesse venire a mancare e si scatenasse, quindi, una guerra commerciale con dazi, l’effetto sui mercati finanziari sarebbe certamente deleterio: abbiamo già visto gli scricchiolii che un’ipotese simili ha prodotto nello scorso autunno, assaggi che non sarebbero nulla in confronto a quello a cui assisteremmo in caso di realizzarsi del timore. In aggiunta il tema USA/Cina non si concentra solo sul disavanzo commerciale (come dimostra la fredda ed interlocutoria risposta americana alla proposta cinese) ma coinvolge anche tutta la questione dei sussidi governativi cinesi alle aziende semipubbliche, necessari a Pechino per modernizzare in pieno la propria economia, consentendole di competere anche sui segmenti più elevati del mercato a livello globale. Dinamica che gli USA, evidentemente, sembrano decisi ad ostacolare.

In conclusione potremmo commentare così il caso cinese: in un contesto di forte crescita e sviluppo ci sono comunque dei nodi di difficile soluzione. Nodi che probabilmente non segneranno, nemmeno se venissero al pettine, la fine dell’ascesa del paese. Ma che, collegati a quelli presenti nell’area euroamericana, rappresentano le basi inquietanti della possibile, o probabile a questo punto, prossima crisi finanziaria. Che, almeno come potenzialità dei problemi sul tavolo (riepilogando i tre dossier che abbiamo esaminato in queste settimane), rischia di fare impallidire quella del 2007/2008.

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Articolo di Amos Pozzi per Sakeritalia del 21 marzo 2019

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