La crisi è sistemica nel senso che è diventato impossibile continuare con il modello di sviluppo del capitalismo degli ultimi decenni.
Samir Amin, La crisi, 2009

Si addensano nuvole sul ciclo economico finanziario iniziato nel marzo 2009 con i minimi di borsa della crisi subprime. Oggi non ci interessa constatare gli abnormi limiti di crescita di  questo ciclo, che per molte nazioni e per le classi sociali medio basse non può essere certo definito un successo. Lo abbiamo già fatto (ad esempio qui, quiqui) e per chi ci ha seguito il quadro dovrebbe essere chiaro. Ci interessa invece cercare di individuare in modo sufficientemente chiaro (nei limiti ovvi di ogni previsione) i possibili motivi della prossima crisi e gli squilibri macroeconomici che minacciano anche questo precario e misero equilibrio che viene chiamato “ripresa”.

Partiamo dall’Unione Europea e dal mercato obbligazionario, in particolare quello dei titoli di stato. Molti sospettano che sarà proprio questo mercato l’innesco della prossima grande crisi globale. E’ una ipotesi ampiamente condivisibile, ma per ragioni diametralmente opposte a quelle comunemente enunciate nella stampa mainstream (il peso del debito pubblico e degli interessi sul bilancio statale e la conseguente ricetta di austerità imposta ai renitenti). Vediamo perché:

Rendimento Titoli – Germania

Rendimento Titoli – Grecia

Rendimento titoli – Svizzera

Quelli inseriti sopra sono i rendimenti dei titoli di stato (il famoso “debito pubblico”) per tre paesi europei: i due casi “estremi” dell’eurozona (Germania e Grecia) ed un terzo, la Svizzera, i cui titoli sono considerati  “rifugio” per eccellenza.

Una premessa: in situazioni normali i titoli di stato hanno dei rendimenti che salgono con l’allungarsi delle scadenze: se prestate soldi per 10 anni otterrete in media un tasso di interesse annuo più alto che se li prestate per un anno. Il motivo è duplice. Primo: chi sottoscrive un titolo a lunga scadenza si obbliga a lasciare vincolati i soldi per un periodo superiore di tempo (sempre che non voglia  vendere i titoli a mercato prima della scadenza). Secondo: prevedere dinamiche economiche di lungo periodo è più difficile (insomma viene “pagata” l’incertezza).

Altro presupposto logico da manuale di economia è che in fase espansiva il valore dei titoli di stato è in media relativamente basso, dal che discende che verso la fine del ciclo si registrano interessi  in rialzo. Questo perché in tali fasi di solito tende a manifestarsi un’inflazione robusta poco compatibile con strumenti a reddito fisso come le obbligazioni (nel momento in si compra un titolo si accetta una cedola, poniamo al 4%, che non varierà fino a scadenza), perchè la dinamica dei tassi tenderà a essere rialzista (per contrastare i rischi di inflazione e surriscaldamento dell’economia le banche centrali tenderanno ad alzare i tassi e di conseguenza gli stati emetteranno dei titoli di stato con rendimenti superiori, abbassando il valore di quelli emessi precedentemente con cedole minori) ed infine perchè ragionevolmente con una economia in crescita l’investitore è molto più attratto dai profitti aziendali (e quindi dalle azioni), che non dalle cedole sul debito.

Poste queste enunciazioni teoriche, confrontiamole con quanto risulta dal grafico che abbiamo esaminato: va tutto come previsto o c’è qualcosa che non torna nel confronto fra la realtà e il manuale?

Innanzitutto notiamo che la curva dei rendimenti è piuttosto schiacciata. Tra i tassi delle obbligazioni di minore e maggiore durata le variazioni dei rendimenti annui sono minime. Non arriviamo (se non in qualche obbligazione a breve svizzera tipo quella a 6 mesi e quella a 2 anni) all’inversione della curva dei tassi tipica delle situazioni di pre default in cui le obbligazioni a breve ve le pagano più di quelle a lungo (e che comunque riguarda tutt’altro tipo di situazione, come quella venezuelana ad esempio) ma comunque, sui titoli forti, abbiamo delle differenze parecchio schiacciate. Sui bund, ad esempio, prestare soldi per 1 anno o 15  vi porterà in tasca una differenza dello 0,9% annuo. Sui titoli svizzeri questa differenza scende allo 0,3%. Solo sui rischiosi titoli greci il tempo viene prezzato con una differenza circa del 2% annuo tra titoli a 6 mesi e quelli a 10 anni.

Il secondo rilevante punto (che spiega anche il primo) è che i rendimenti sono miseri. Anzi, per le due nazioni forti sono ampiamente negativi per una quantità notevole di obbligazioni. Per la Germania fino ai 9 anni di vita residua del titolo, per quelli svizzeri addirittura a 15. Anche in questo caso solo acquistare delle obbligazioni greche, e solo acquistarle con una vita residua di almeno 5 anni, può garantire all’investitore un interesse decente (circa il 3% annuo).

Cosa significa tutto ciò? Che se voi (voi singoli investitori, ma il discorso vale anche per fondi pensione, banche etc) prestate denaro alla signora Merkel comprandole debito con scadenza inferiore ai 9 anni, invece di ricevere un interesse, siete voi a pagarle un interesse annuo (formalmente ricevete la cedola, ma quotando tali titoli ben sopra 100 che è  il livello di rimborso, voi a scadenza riceverete meno di quanto sborsate ora).

Idem (anche per scadenze più lunghe) per gli svizzeri. Insomma pagate perchè vi concedano il privilegio di finanziargli il loro debito. Follia? Ragionevolmente si. Ma perchè accade ciò?

Quando nel Luglio 2012 Mario Draghi pronunciò il famoso discorso del whatever it takes evidentemente intendeva davvero “whatever”. La massa abnorme di liquidità riversata sui mercati finanziari, unitamente alla bassa inflazione causata da uno sviluppo economico basato su export e compressione della domanda interna (fuor di tecnicismo: il vostro stipendio) causa una forbice enorme tra mercati pesantemente drogati e una base reale depressa ed incapace di produrre una significativa inflazione anche nei periodi di massima crescita.

Questo meccanismo è voluto? Secondo noi si: tutelando il valore degli asset finanziari obbligazionari con l’immissione di notevole liquidità sui mercati si tutela la rendita e al contempo si deprime il tessuto economico in modo tale che, non salendo troppo l’inflazione, non sia necessario alzare i tassi e non si “bruci” il valore nominale dell’enorme quantità di debito emesso che (ricordiamolo) è sempre un credito di qualcun’altro.

Ma anche se non fosse voluto e ci accontentassimo di una BCE che si lamenta dell’impossibilità di raggiungere i target di inflazione e del fatto che gli istituti finanziari non mettano in circolazione la liquidità deprimendo la crescita (e ci vuole una notevole dose di fede per credergli) il risultato non cambierebbe. Le obbligazioni sono abbondantemente sopravvalutate, i tassi a zero e i rendimenti negativi o ridicoli proprio nella fase in cui, da manuale, dovrebbero essere più alti.

Questo cosa implica? Parecchie cose. La più banale è un incentivo al rischio finanziario. Abbiamo messo proprio per questo i rendimenti dei titoli della Cenerentola greca. Un paese distrutto, con un rapporto debito/Pil quasi al 180 %, che paga le tranche precedenti con i finanziamenti della troika riconosce un 3,7 % di interesse annuo per i prestiti decennali. Teniamo conto del fatto che non solo i privati cittadini ma anche i fondi pensione sono affamati di rendimenti. Hanno capitali (raccolti dai lavoratori) con cui devono pagare le pensioni e sopravanzare l’inflazione.  Per questo i titoli tedeschi non servono, visto che l’investitore, come abbiamo spiegato, chiude l’operazione in perdita. Allora è chiaro che i risparmiatori in cerca di interessi accettabili si spingeranno sempre più verso la periferia (meglio se come quella greca che, pur disastrata, si dimostra docile e sottomessa al volere di Bruxelles e quindi non esposta a rischi di ridenominazione e/o ripresa dell’inflazione): 3,7 euro su 100 all’anno per un investimento che è sostanzialmente una roulette russa. Prima o poi prendete il proiettile.

E già questa è un implicazione non da poco. Non so a voi, ma a noi ricorda su vasta scala i finanziamenti subprime dati a tutti purché pagassero, senza troppi controlli. Solamente questa volta l’azzardo è giocato sul lato statale (ma anche, a ruota, sulle obbligazioni societarie).

Altre conseguenze sono meno dirette, ma ancora più inquietanti per la politica economica. Se grandi masse di quel denaro sono collocate su prodotti a reddito fisso con bassi rendimenti o rendimenti addirittura negativi va da sè che l’austerità e il basso costo del lavoro diventino un dogma. Non tanto (come viene propagandato) per abbassare la quantità di debito pubblico o per una questione di produttività, quanto per mantenere l’inflazione il più bassa possibile in modo che non bruci quel capitale. E la crescita a questo punto si fa solo su export per vie esterne. Questa è, finanziariamente, la vera pillola avvelenata del mercantilismo tedesco. Senza la “garanzia” di un quadro di austerità e di compressione salariale, il capitale dei rentier, immobilizzato nei titoli a basso rendimento, verrebbe drasticamente svalutato dall’inflazione. Non appena qualcuno si accorgesse di cosa sta succedendo (o di cosa potrebbe succedere anche potenzialmente: i ragazzi sono parecchio nervosi) le vendite diventerebbero inarrestabili, coinvolgendo gli istituti finanziari pieni di titoli di stato valutati a prezzi di mercato.

Se questo modello per le classi popolari e gli stati periferici è soffocante in fase di ascesa diventa addirittura infernale in caso si interrompa la crescita dettata dall’export. In una simile congiuntura, per mantenere il valore delle obbligazioni la BCE è costretta a pompare liquidità nelle casse bancarie (come sta facendo ora con il possibile  TLTRO, ovvero finanziamenti a tassi negativi di medio periodo agli istituti di credito che, lungi dall’impiegarli nell’economia reale, li reinvestiranno in titoli di stato) o ad effettuare nuove sessioni di quantitative easing. Il problema non sta, naturalmente, nel creare carriole di euro, ma nell’inflazionare ancora di più gli asset accoppiandoli a una politica di austerità verso la base, in un circolo vizioso folle ed autolesionista che tenderà sempre più a schiacciare i rendimenti e di conseguenza a costringere i governanti a implementare austerità per mantenere ancora più bassa l’inflazione. Follia sociopatica definitiva.

Da questo modello non si esce perché l’unico modo per uscirne implicherebbe spesa pubblica, credito diffuso, diritti dei lavoratori. E questo distruggerebbe la rendita. Inutile sperare di uscirne per via monetaria, perché questo tipo di interventi tampone peggiora le conseguenze nel lungo periodo, come abbiamo spiegato sopra, in un circolo vizioso monstre che si sta avvitando sempre più su se stesso.

Sarà curioso, in caso di nuova recessione, osservare le mosse di una Banca Centrale che ha dimostrato di ignorare totalmente il tema della crescita, che non ha la possibilità di abbassare i tassi perchè sono già a zero, che può solo usare impostazioni di finanza straordinaria che però valgono a salvare solo per i rentier. Per gli altri c’è solo l’austerità. E, se non gli garba, il manganello. In questo contesto, persino l’evocazione di misure straordinarie come

l’helicopter money (soldi direttamente nei conti dei cittadini) sembra più una pia illusione che la realtà dei fatti, in quanto abbiamo visto come la tutela della rendita sia il vero mandato della BCE.

Kick the can economics. Calcia la lattina più in là e poi ci pensiamo. Sembra proprio la strategia della mosca chiusa nella ragnatela che si dibatte furiosamente finendo solo ancora più incastrata. Speriamo vivamente di sbagliarci ma la mosca sembra parecchio più incastrata del 2007. E il ragno potrebbe arrivare a breve.

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Articolo di Amos Pozzi per Saker Italia del 4 marzo 2019

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