“Europa a guida franco tedesca”: quante volte abbiamo sentito questa espressione, diventata ormai un luogo comune, un assioma che non necessita di dimostrazione. Da un certo punto di vista in questa “visione” c’è del vero: il progetto europeo  nasce, infatti, dall’incontro dei due maggiori  rivali continentali dai tempi del Sacro Romano Impero  ad oggi. E sicuramente, nella fase cruciale  più vicina ai giorni nostri, il rapporto Kohl – Miterrand è stato fondamentale per arrivare a Maastricht, mentre la presenza, nelle alte sfere europeiste, dell’alta borghesia burocratica francese è nutrita ed influente.

Ma economicamente, ad oggi, ha senso parlare di condominio franco-tedesco? Proviamo, come nostra abitudine, a partire dai dati.

Saldo della bilancia dei pagamenti francese in confronto con quella dei partner europei

Iniziamo dall’esame delle partite correnti: su questo versante  la situazione francese è in netto deterioramento ormai da 20 anni. L’ingresso nell’euro non sembra avere giovato ai transalpini, che dal discreto surplus di fine anni ’90 si trovano oggi con un deficit di circa 15/20 miliardi di euro annui, dovuto essenzialmente al settore merci (redditi e soprattutto servizi evitano il peggio).

Francia: composizione della bilancia dei pagamenti

A fronte di una Germania in netto surplus strutturale (tra il 6 e l’8% del PIL), la Francia mostra deficit moderati (-0,5 % circa) ma ormai stabili e sembra incapace di invertire la rotta. Spagna e Italia (a causa dell’aumento dell’export e della compressione della domanda interna dovute a politiche di austerità) fanno decisamente meglio, con surplus attorno al 3% del PIL.

Le difficoltà e le reazioni che Macron sembra incontrare nel somministrare le medesime, amare, ricette sperimentate dal sud europa fanno credere che la situazione non possa cambiare a breve in un paese, come la Francia, da sempre pronto a scendere in piazza per difendere le proprie tutele sociali.

Rapporto Debito PIL

Veniamo al secondo indicatore significativo: il debito pubblico.  Negli anni successivi alla  crisi il i cugini d’oltralpe hanno visto crescere il loro rapporto debito/PIL in maniera decisamente cospicua, dal 68% del 2007 fino al 97 del 2017: quindi complessivamente circa il 42% . L’Italia, pur in presenza di un debito più alto in partenza e con un PIL cresciuto meno è passata, nello stesso periodo, da 102,4 a 131,8 (poco meno del 30%) mentre la Germania è rimasta sui medesimi valori (65,1 prima della crisi, 64,1 a fine 2017, riassorbendo in toto il deficit spending dei primi anni successivi alla crisi).

Se dallo spazio pubblico ci spostiamo a osservare famiglie e aziende la situazione è ancora peggiore. A fronte di deficit pubblici condivisi tra i 3 paesi mediterranei (Francia, Spagna e Italia) gli ultimi 2 mostrano una situazione di famiglie e imprese in surplus, mentre la Francia è costretta ad annotare un deficit nella categoria aziende.

Ancora più lontana la situazione del partner supposto uguale dei francesi. La Germania mostra un surplus in tutte e 3 le categorie, confermando anche da questi dati la sua assoluta posizione di centralità e primato nel contesto europeo.

Nell’ultimo ventennio addirittura la Francia ha superato l’Italia in termini di debito privato/PIL, mostrando come il PIL pro capite superiore ed il suo indubbio maggior benessere siano collegati ad un’espansione del debito non solo pubblico ma anche privato.

Francia: Disoccupazione

Se passiamo al lato più sociale, prendendo un indicatore di notevole importanza come la disoccupazione, vediamo che la Francia sta, a fine 2017, attorno al 9%. Non lontano dal 10% italiano e molto peggio della quasi piena occupazione tedesca (disoccupazione al 3,5%).

In conclusione un’analisi, anche di base, sui dati macroeconomici francesi la collocherebbe più vicina ai paesi mediterranei che non ad un supposto Olimpo franco germanico che invece ha sempre più l’aspetto di nuovo Reich tedesco con spazio vitale ad est (Visegrad è perfettamente integrata in quel modello economico, nonostante le polemiche culturali) e satelliti del Nord Europa (Olanda, Finlandia, baltici).

Questo tipo di considerazione potrebbe portarci a pensare che sia più nell’interesse francese, dal punto di vista geoeconomico, porsi alla guida di un asse mediterraneo dei “perdenti” dell’UE,  che non inseguire velleità di dominio congiunto non supportate dai fondamentali. Un riallineamento francese sarebbe utile anche all’Italia, che potrebbe iniziare a cercare potenziali alleati nell’area ovest-mediterranea dell’Unione prendendo atto che i paesi dell’ex blocco orientale sono oggi pienamente integrati nella filiera produttiva tedesca (le uscite di Orban e Kurz sul “rigore economico” da mantenere sono sintomatiche di tali interessi).

Naturalmente la Francia è una potenza nucleare e la sua alta borghesia vorrebbe fare (e parzialmente ha fatto) dell’Italia terra di conquista per le proprie scorribande. Solo in questo senso Parigi può avere interessi e mezzi per giocarsi la partita nel sistema euro senza essere pienamente subordinata come invece accade al sud europa.

Ma a differenza del moloch tedesco, organizzato su un modello, forgiato intorno agli interessi del grande capitale e basato sulla compressione salariale, ma proiettato verso la redistribuzione all’interno e verso il basso dei vantaggi concorrenziali tratti, sul medio termine, dalla propria stessa competitività, la Francia sembra sempre di più il ventre molle del progetto europeo. Troppo importante per fallire, troppo poco per dominare.

Per questo motivo un’eventuale cambio di guardia ostile all’Unione a nell’esagono (per quanto difficile, data l’ostilità ideologica reciproca tra opposizione di destra e di sinistra al modello macroniano/gaullista) o una crisi non risolvibile (magari a seguito di effetto domino dall’Italia) sarebbe il reale de profundis per la costruzione unitaria, sancendo il fallimento del progetto egemonico tedesco.

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Articolo di Amos Pozzi per Saker Italia del 29 novembre 2018

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