We are not here to close spreads“. Sono bastate queste parole di Christine Lagarde, pronunciate durante l’abituale conferenza stampa che chiude la riunione del direttivo BCE, a scatenare il panico su mercati già messi a dura prova dall’emergenza coronavirus. Pochi minuti prima la stessa BCE aveva annunciato un pacchetto di stimoli che già era stato istantaneamente considerato dal mercato stesso come inadeguato e insufficiente (120 miliardi aggiuntivi per il Quantitative Easing, misure di liquidità per le banche, nessun abbassamento ulteriore dei tassi).

Questi i fatti, con una Lagarde costretta in corsa a rettificare rilasciando un’intervista alla CNBC. Le interpretazioni variano, da chi sostiene la tesi della semplice “gaffe” a chi ci vede un deliberato attacco all’Italia teso a spianare la strada alla troika e al saccheggio del paese da parte di potentati esteri. Nessuna di queste interpretazioni radicali e poco sfumate appare convincente.

Facciamo quindi uno sforzo per approfondire l’analisi e partiamo dall’inizio cercando, senza la presunzione di essere addentro a meccanismi complessi politicamente ed economicamente, di fornire il quadro in cui queste decisioni sono maturate.

Allo sguardo superficiale di molti, più o meno familiari  con i temi economici,  l’immagine di Mario Draghi potrebbe apparire  rafforzata dopo il disastro di ieri.  Durante il suo ministero (è opinione diffusa) il whatever it takes e le conseguenti politiche monetarie iper espansive (dalle operazioni di liquidità di TLTRO al robustissimo Quantitative Easing) tranquillizzarono i mercati, garantendo una doppia crescita sia sull’azionario che sull’obbligazionario, crescita che, specie sul secondo, non sarebbe scorretto definire bolla.

In realtà, se vogliamo evitare una sorta di dicotomia da romanzo popolare in cui al buon Mario, difensore dell’Italia e delle sue genti, viene contrapposta l’algida Christine, crudele ed incapace vampiro franco tedesco, sono necessari alcuni chiarimenti.

La politica suo tempo messa in atto da Draghi è riassumibile in due punti: a) tutela della rendita e quindi del valore degli asset finanziari azionari ed obbligazionari e b) politica monetaria espansiva tale da consentire ai paesi dell’area mediterranea (ma più in generale a tutti i sistemi economici schiacciati dalle politiche di austerità) di funzionare a un livello minimo senza precipitare nella catastrofe totale.

La realtà è quindi ben distante dalla rappresentazione agiografica di Draghi ritornata in auge ieri dopo il disastroso (non) intervento della Lagarde. Draghi non è mai stato un tecnico competente e infallibile posto a tutela dei paesi dell’area mediterranea, un uomo della provvidenza capace di salvarci dal baratro (come se la sorte di “noi” lavoratori rientrasse nei calcoli che governano le faide che oppongono i vari pezzi diversi della classe dirigente).  Al contrario, l’ex governatore era un abile e pragmatico custode degli interessi delle oligarchie dominanti, ben consapevole di come il castello di carte della UE (e ancora di più del neocapitalismo patrimoniale del XXI secolo) si reggesse su basi fragilissime, che richiedevano un costante sostegno della banca centrale per evitare un tracollo che avrebbe portato alla distruzione di quel modello (Unione Europea, ma prima ancora capitalismo globale e senza contrappesi post 1989) su cui quegli stessi dominanti avevano costruito il proprio privilegio.

I limiti di questo modello, l’inevitabilità strutturale della crisi al primo shock esterno, li abbiamo già descritti altrove. Ma tornando a Draghi e tirando le somme: dobbiamo archiviare il “Super Mario” che ci è stato raffigurato in questi anni:  difensore di un (astratto) “benessere comune” in un (fittizio) mondo senza classi (che invece esistono eccome come esiste la strutturale ed irriducibile alterità dei loro interessi), difensore degli interessi dell’area euromediterranea (in realtà “poliziotto buono” della grande prigione a cielo aperto nota come Eurozona). A questo simulacro propagandistico va sostotuito, nella nostra analisi, il Draghi reale: quello che, con la sua azione, ha salvato il sistema ieri creando le condizioni, come spiegato su queste stesse pagine, per uno choc più brutale oggi: bolla su azionario e obbligazionario cresciuta a rotta di collo grazie alle politiche espansive della BCE ed economia export oriented che ha garantito ricchi surplus al capitale, mentre il grosso del mondo del lavoro (lavoratori dipendenti e, in parte, piccoli autonomi) annaspava nelle secche dell’austerità, del precariato e della compressione della domanda interna.

Rimessi nel contesto i “meriti” di Draghi possiamo però aggiungere che, nel breve termine, la sua azione era almeno coerente. Il sostegno ai mercati era indubbio e questo garantiva al sistema quella minima funzionalità tale da consentire anche a chi stava in fondo alla scala sociale e geografica della ricchezza di tirare a campare.

Inquadrato correttamente il fenomeno – Draghi, possiamo passare all’esame di quello Lagarde. Giurista, politica, ex presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde non è un banchiere di professione, tantomeno un banchiere proveniente, come Draghi, dalla scuola delle banche centrali nazionali. Se con il suo predecessore ogni conferenza della Bce sembrava un esercizio di raffinata interpretazione di sfumature, la Lagarde si è dimostrata il classico elefante in cristalleria. Una frase come “non siamo qui per contenere gli spread” sarebbe stata eccessiva anche in una chiacchierata da bar: pronunciata in una conferenza stampa della BCE, dopo il varo di misure palesemente inadeguate rispetto a quelle del predecessore, e nel pieno di una brutale crisi sanitaria ed economica, ha provocato un disastro di proporzioni epocali. E fin qui la cronaca fattuale su cui tutti (tranne qualche ultras), devono concordare.

Poi vi è l’interpretazione, come dicevamo. Attacco all’Italia? Semplice gaffe? Probabilmente né l’una né l’altra. Infelice, la frase è infelice. Ma più che gaffe sarebbe meglio chiamarla palese inadeguatezza al ruolo. Fermarsi qui sarebbe, comunque, banalizzante. Certe scelte di politica monetaria sono collegiali e rappresentative di interessi e linee di pensiero. Nella fattispecie la Lagarde, sin dal suo esordio, era stata presentata come un compromesso tra Draghi e i falchi germanofili (che sostenevano candidati alternativi: Weidmann o un equivalente esponente di qualcuno dei paesi satellite… un olandese un finlandese, poco conta). Già questo compromesso, in un’architettura fragile come quella europea, era un passaggio a vuoto. Le oligarchie tedesche vogliono comandare e trarre i maggiori surplus dall’euro area ma senza pagare il minimo pegno per questa posizione di predominio. La posizione espressa da Draghi, lasciando per un momento da parte le contraddizioni strutturali di UE e del capitale in sé, ne garantiva il dominio mitigando, almeno lato monetario, le ripercussioni più deteriori, e tuttavia ancora non bastava alle elite tedesche, che hanno sempre mostrato una palese insofferenza ed un sentimento di superiorità ben poco funzionale: “Noi comandiamo” è il loro enunciato implicito “ed estraiamo plusvalore da tutta la catena sociale e geografica del sistema economico europeo, non solo per la nostra forza relativa, ma perché siamo i migliori. Perché se tutti fossero come noi le cose funzionerebbero senza problemi.”. Evidente, in questo approccio, una incapacità patologica di ammettere il proprio ruolo prevaricante, una  arroganza e rigidità facilitate da una massa di maitre a penser il cui unico fine pare quello di a stimolare l’ego del dominante (geografico e sociale) in nome della sua suprema competenza.

Cosa provoca questa visione del mondo? Come si inserisce la Lagarde in questo contesto? Partiamo dalla seconda risposta. Come abbiamo detto la Lagarde doveva essere un candidato di compromesso, espressione di un paese che vorrebbe condividere la cabina di regia ma che, nei fatti, sta a metà strada tra il cuore tedesco e la periferia mediterranea. Le oligarchie francesi però (perché sempre di oligarchie parliamo, non dimentichiamocelo mai: i lavoratori Tedeschi, sebbene possano godere di qualche piccola rendita di posizione, sono stati i primi ad essere bastonati dalle riforme Schroeder/Merkel, mentre quelli francesi se provano a protestare assaggiano il manganello di Macron)  sono confuse ed incapaci di esprimere una egemonia politica coerente. Non sono al livello dei collaborazionisti italiani, che ricordano i raj indiani al servizio dell’impero britannico, ma non sono assolutamente in grado di controbilanciare lo strapotere tedesco. Si accontentano di scorribande mediterranee con esiti peraltro discutibili. Di qui una candidatura mediocre e inadeguata come quella della Lagarde, pensata come  compromesso, e attratta, per mancanza di peso specifico, verso soluzioni più drastiche di quelle che persino un Weidmann avrebbe mai potuto adottare.

E ora concludiamo con la risposta alla prima domanda. Cosa provoca questa visione del mondo? E’ un attacco deliberato all’Italia, un ulteriore attacco alle classi lavoratrici per costringerle a ulteriori sacrifici sociali? La risposta, nonostante tutto, penso sia negativa. A meno di pensare che vogliano consapevolmente scatenare una crisi di proporzioni colossali, che sarebbe praticamente impossibile contenere e che andrebbe probabilmente a distruggere quanto da loro accumulato, non penso vi sia la volontà, da parte delle classi dominanti, ed in particolar modo di quelle tedesche, di accelerare la crisi ora. D’altronde, certo, i BTP sono stati venduti massicciamente ieri. Ma insieme ad essi lo sono stati non solo tutti i titoli dell’area mediterranea, ma persino i titoli francesi. E i Bund tedeschi non hanno reagito, come al solito, da bene rifugio ma semplicemente sono rimasti invariati. Se poi guardiamo al comparto azionario la situazione è ancora più disastrosa. Istituti finanziari che venivano venduti con punte del 20%: tra questi Deutsche Bank, che già in situazione normale è in uno stato comatoso. Diffondere il virus dell’incertezza (per rimanere in tema di attualità) non sembra essere certo una scelta vincente per una Germania con un sistema finanziario già molto fragile e ancora meno per classi dominanti che negli ultimi anni hanno avuto come obiettivo centrale proprio la tutela del valore dei loro asset finanziari.

E allora se gaffe è poco e attacco deliberato è troppo rimane solo la spiegazione più banale: un’ottusa rigidità da parte di chi domina un certo sistema (geograficamente le elites tedesche, in senso sociale la borghesia tout court) nel concedere ai subalterni quel minimo di ossigeno necessario per tenere in piedi il castello di carte. D’altronde sono le stesse dinamiche che per anni abbiamo visto lato economia reale perpetrate ai danni dei lavoratori: ottusi massacri che in un’ottica di lungo periodo non convenivano nemmeno alle elites (perché se ammazzi la pecora poi non hai più modo di tosarla), e che ora incominciano ad applicarsi all’interno della sfera finanziaria.

“Resistere ad ogni costo, nessun tentativo di uscita!” urlava delirando Hitler a Paulus intrappolato nella sacca di Stalingrado. Sono passati quasi 80 anni e non hanno ancora imparato nulla.

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Articolo di Amos Piazzi per sakeritalia.it

 

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