Un tentativo di descrivere i problemi degli USA in relazione alla sicurezza internazionale.
In passato, in differenti occasioni, ho scritto sul fatto che gli Stati Uniti stanno deliberatamente distruggendo l’intero sistema della sicurezza internazionale, quello stesso sistema che avevano contribuito a costruire insieme con l’URSS. Il motivo per cui gli USA hanno incominciato a smantellare questo sistema è comprensibile: negli anni ’90 la generazione dei “vincitori” ha preso il potere in quel paese. Questa gente è convinta di avere “sconfitto” l’URSS (come da noi teorizzato in precedenza, non è affatto così. Si veda in proposito http://worldcrisis.ru/crisis/188291 ) e dato che sono I “vincitori” la conclusione è che possono fare tutto ciò che vogliono. Hanno così deciso che gli accordi in essere su di un sistema collettivo di sicurezza globale erano troppo rischiosi e che ora hanno bisogno di un loro sistema di sicurezza sul quale esercitare un controllo totale.
Se analizziamo la retorica degli individui che governavano i Paesi ammessi come nuovi membri della NATO negli ultimi venti anni, ci possiamo fare un’idea chiara della logica che sta dietro (e forse persino un pochino di quella che sta davanti) all’espansione del Patto Atlantico: “Siamo stati minacciati e gli USA sono la nostra sola possibilità di difesa, dobbiamo quindi integrarci nella struttura di sicurezza internazionale a guida USA”. Tutto questo aveva luogo mentre la Russia non partecipava agli affari interni di quei paesi (neppure in quelli dell’Ucraina, che fu abbandonata al suo destino, cosa questa che ha causato in gran parte gli eventi recenti in quel paese). La Russia non costituiva una minaccia per nessuno (e naturalmente non lo è neppure ora), il punto era invece la deliberata distruzione del sistema della sicurezza globale nel quale la Russia giocava un ruolo chiave.
Naturalmente la costruzione di un nuovo sistema di sicurezza da zero è un tentativo allo stesso tempo lento e dispendioso, e questa è la prima ragione per cui su alcune questioni (come per esempio il disarmo nucleare) gli Stati Uniti continuano a dialogare con la Russia sebbene il succo di queste comunicazioni possa essere espresso al meglio nella formula: con voi parliamo solo di cose che consideriamo di primario interesse per noi, mentre il resto non è affar vostro. Il problema è che tutti i piani strategici che sono stati sviluppati negli anni ’90 per essere implementati a partire dal nuovo secolo (con tutta possibilità gli eventi dell’11 settembre 2001 http://worldcrisis.ru/crisis/86502 furono organizzati per potere lanciare l’esecuzione di questi piani, allo stesso modo in cui Pearl Harbor fu messa in scena per far sciogliere gli USA dal suo “abbraccio con l’isolazionismo”).
Questi piani dunque, che sono stati concepiti sulla premessa di una continua crescita economica – quest’ultima alimentata dalla supremazia delle risorse americane acquisite attraverso quegli stessi piani – sono invece finiti in una crisi che ha significativamente ridotto quelle “risorse” che avrebbero dovuto essere disponibili.
Devo notare che il periodo della presa di possesso dei mercati dell’ex Commonwealth Socialista, è stato in effetti una sorta di “età dell’oro” dell’economia americana. Ma un nostro lavoro del 2001, in cui prendevamo in esame il bilancio di diversi settori dell’economia americana nel 1998 ( http://worldcrisis.ru/crisis/73174 ) ha mostrato che già allora l’economia degli USA era sull’orlo di un abisso in confronto a dove si trovava agli inizi degli anni ’30. Oggi la fotografia della situazione è – se possibile – ancor più spaventosa e il busillis su cosa si possa fare per porvi rimedio è oltremodo oscuro. Il vecchio modello di sicurezza è stato distrutto, la fiducia non può essere ripristinata, un nuovo modello non esiste ancora, vi sono alcuni elementi qui e là ma questi funzionano solo se gli USA intervengono direttamente nel processo. L’intervento consiste di fatto nel destinare enormi somme di denaro a tutti i partecipanti al processo stesso, ma anche così risulta comunque difettoso: Palestina, ISIS, etc..
Tutto ciò accade mentre la situazione all’interno degli USA peggiora progressivamente. Il problema è che ormai da molto tempo gli USA ha mantenuto in essere una barriera che separa l’elite del paese dal resto della società, lo stesso tipo di barriera che è stata appena costruita qui in Russia. Il sistema educativo americano, e con questo intendo il sistema formativo che prepara la classe dirigente, è stata distrutto già negli anni ’60. Un cittadino medio (la pecora, nel gergo delle elite) attualmente non ha alcuna chance di accedere ad un livello sociale superiore, in quella “elite” che governa la società. Un matrimonio di successo potrebbe essere teoricamente il mezzo per realizzare una eccezione, ma questo meccanismo di ascesa sociale non può essere considerate come un espediente sistemico. Tuttavia, per quei pochi che sono stati dotati fin dalla nascita di una certa propensione a un’irriducibile attività, a meno che non siano stati distrutti da una psichiatria punitiva in tenera età o non cadano vittime della giustizia giovanile – tutte cose queste di cui oggi si dibatte molto – per costoro insomma, vi sono ancora alcuni meccanismi di elevazione sociale che potrebbero portarli al livello della elite tecnocratica.
Il problema consiste nel fatto che nel corso dell’ultimo mezzo secolo si è formato un gran numero di persone che sono assolutamente impreparate a tollerare un brusco declino del loro livello di vita. Così, insieme al peggiorare della crisi economica, e al fine di mantenere il potere e con esso il loro status di elite del momento, essi dovranno drasticamente ridurre gli standard di vita di questi ampi strati della popolazione statunitense. E questo potrebbe portare il sistema ad un livello critico di contraddizione interna. Poiché le risorse interne necessarie per mantenere la qualità di vita della cosiddetta classe medio-alta sono esaurite, le elite devono trovare delle risorse esterne sostitutive. Per dirla in altro modo: gli Stati Uniti possono preservare la stabilità sociale interna solo alle spese di qualcun altro.
Qui però si inciampa subito sui resti del vecchio sistema di sicurezza internazionale. Il sistema di Bretton Woods era basato sulla premessa che tutti i beni degli stati membri sarebbero stati denominati i dollari. Così furono stampati dollari freschi da immettere nel sistema insieme con i nuovi patrimoni, in modo che le elite statunitensi potessero poi dividerli con le elite di quei nuovi paesi (o regioni) che sarebbero stati incorporati nell’area del dollaro. Come poi queste elite regionali avrebbero a loro volta diviso la massa di dollari con le loro rispettive popolazioni sarebbe stata un loro problema e una loro prerogativa. Ma ora siamo al punto in cui non vi sono più nuovi patrimoni da poter conferire al sistema, e di conseguenza non si sono potuti stampare ulteriori dollari e, peggio ancora, i dollari esistenti sono già stati ridistribuiti a esclusivo beneficio americano attraverso il sistema finanziario mondiale denominato in dollari e controllato dagli USA. Questo fatto rende inevitabile l’insorgere di conflitti sociali interni in molti paesi del mondo.
Alcuni di questi conflitti sono solo nella loro fase iniziale, mentre altri sono già in fase di preoccupante ebollizione, ma la loro essenza è sempre la stessa: delle contro-elite, quelle che non sono state ammesse al proverbiale cestino delle tortine al dollaro, ora rivendicano nei confronti delle elite esistenti un ritorno alla scala dei benefici (questo significa che le vecchie elite dovranno iniziare a finanziare l’economia reale attraverso le loro tasche) oppure abbandonare il potere e uscire dal gioco facendosi da parte. Ovviamente, dato che le elite esistenti sono tutte filo-americane, lo scenario si sviluppa secondo uno schema di incremento di retorica anti-americana.
Vorremmo anche ricordare che un processo simile ha già avuto luogo in America Latina dopo che il flusso degli investimenti dagli Stati Uniti mutò direzione all’indomani della seconda guerra mondiale. Lì, il finale di partita fu rappresentato o dal collasso delle economie nazionali o dall’emergere di nuove forze alla guida dello stato, spesso personificate da brutali dittatori, e in alcuni casi – come in Cile – da una combinazione dei due fattori. Ciò che accadrà alle regioni del mondo è oggi una questione aperta, ma la scelta dei mezzi per controllo della situazione che rimangono a disposizione dell’America si sta drammaticamente restringendo.
Gli Stati Uniti possono osservare da testimoni questi processi ma sono sempre più impotenti nel poterli determinare. Da questo punto di vista, i funzionari governativi che circondano Obama non sono differenti da quelli di Putin. A quest’ultimo potrebbero anche non piacere le politiche della Nabiullina ma non può semplicemente licenziarla poiché questo distruggerebbe il consenso delle elite oligarchiche russe. Allo stesso modo la squadra dell’amministrazione statunitense non è in grado di andare contro alle proprie elite, che decisamente si rifiutano di considerare qualsiasi contesto futuro che possa in qualche modo minacciare il loro status. E questo a sua volta significa che smuovere in qualunque modo le acque è assolutamente vietato.
Tutto ciò può essere riassunto in questo modo: cambiamenti improvvisi che possono essere interpretati come un cambio di giocatori in campo e che potrebbero alterare le regole che gli USA hanno introdotto nella prima decade degli anni duemila, non sono né possibili, né consentiti. Per esempio, non si possono cambiare le frontiere. Se gli USA potessero rimettere indietro le lancette degli orologi, forse oggi lascerebbero ben sigillato il vaso di Pandora evitando di amputare il Kosovo dalla Serbia, ma ciò che è fatto è fatto e – fra l’altro – tutto questo è successo durante i “favolosi anni ’90”. Ma consentire il caso della Crimea (o qualunque altra cosa simile) è semplicemente inammissibile. Poiché se permettiamo che siano cambiati i confini a livello regionale, allora l’intera Europa dell’Est, il medio oriente e altre aree del mondo si trasformeranno in altrettanti teatri di guerra.
Essenzialmente noi siamo fra coloro i quali capiscono che tutto questo è inevitabile, ma le elite americane non verranno mai a patti con tutto ciò (e questo è il motivo per cui non saranno mai d’accordo con le nostre teorie economiche). Ecco perché gli USA faranno qualunque cosa sia necessaria per ritardare al massimo la loro fine, la tireranno lunga fino al punto in cui l’intera struttura collasserà da sé, su sé stessa. In questa ottica non è dunque plausibile aspettarsi che gli USA rimuovano le sanzioni o che in qualche modo possano acconsentire al fatto che la Russia agisca in modo indipendente. Forse ne sarebbero felici, ma in fondo sono prigionieri del loro stesso sistema.
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Traduzione a cura di Pi per sakeritalia.it
Articolo di Mikhail Khazin apparso su The Saker il 29 Dicembre 2014
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