Il secondo Forum Belt & Road for International Cooperation sta per aprire a Pechino [articolo acritto il 25 aprile 2019]. Si svolgerà dal 25 al 27 aprile 2019. Il presidente cinese Xi Jinping dovrebbe effettuare il discorso principale.

Si prevede che sarà un evento di enormi proporzioni e importanza: parteciperanno i leader di 37 paesi, tra cui il presidente della Russia Vladimir Putin e il presidente Duterte delle Filippine. Pechino ospiterà 5.000 ospiti da 150 paesi, così come 90 tra le organizzazioni internazionali principali.

La Belt & Road Initiative (BRI) ha già cambiato radicalmente il mondo. Precedentemente in balìa delle potenze imperialiste occidentali, dei loro eserciti, degli apparati di propaganda e delle brutali istituzioni finanziarie, l’Africa, il Medio Oriente, l’Asia Centrale e Sud-Orientale hanno improvvisamente scoperto di avere alternative e scelte. Per varie parti del mondo, decenni e secoli di stagnazione e umiliazione sotto regimi colonialisti e post-colonialisti stanno per concludersi. Intere nazioni si sono liberate, realizzando il loro grande potenziale nascosto.

Tutto questo per merito della BRI, della Cina e del suo stretto alleato, la Russia.

Intere enormi opere ferroviarie nell’Africa Orientale come nel devastato Laos (devastato dalle insanabili e brutali campagne di bombardamenti a tappeto occidentali, che vengono ancora chiamate “guerra segreta”) stanno ora interconnettendo i continenti. Con lo svilupparsi delle grandi linee ferroviarie, le scuole stanno crescendo, così come le strutture mediche, i centri di apprendimento delle comunità e le istituzioni culturali.

BRI. Una delle nuove autostrade costruite dalla Cina

La BRI (Belt & Road Initiative) non riguarda solo l’economia, non solo le infrastrutture e lo sviluppo, ma anche il benessere delle persone, la cultura, la salute e la conoscenza. Ha lo scopo di connettere persone di razze diverse, filosofie di vita e credenze religiose.

E i governanti in Occidente sono atterriti. Nulla li oltraggia più della prospettiva di perdere il controllo assoluto sul mondo. Per loro, non è (e mai lo è stato) questione di migliorare la vita di centinaia di milioni di persone povere. Hanno goduto di secoli di potere assoluto sul pianeta, e tutto ciò che facevano era arricchirsi, uccidere, rapinare e rubare in tutti gli angoli del globo. Per loro, si tratta di “vincere o perdere”, di mantenere le proprie colonie e gli stati “clienti”, con qualunque mezzo, anche quelli più brutali.

Per la Cina, (attraverso la BRI), si tratta di diffondere ricchezza ovunque. La ferma convinzione di Pechino era ed è: se il mondo sta andando bene, anche la Cina prospererà.

E così, a Washington e a Londra, e in tanti altri centri di potere occidentale, migliaia di “professionisti” sono ora impegnati a diffamare la Cina ed i suoi progetti internazionali (e internazionalisti) più ambiziosi. Diffamare e diffondere il nichilismo è un lavoro estremamente ben retribuito e, dal momento che la Cina è in costante sviluppo e l’Occidente in declino, sembra essere un’attività permanente. Non c’è deficit che tenga quando si tratta di finanziare tutti quei “rapporti accademici” anti-cinesi, false analisi e articoli. Più se ne parla male, meglio è, più ottengono di ridicolizzare, meglio saranno remunerati.

Prendi questo, ad esempio: “Valutazione della Belt & Road Cinese”.

Con tutte quelle note e “riferimenti”, sembra professionale e accademico. Può impressionare milioni di persone che odiano la Cina in Europa e Nord America. Soffrendo di complessi di superiorità e di “mentalità del Pericolo Giallo”, stanno cercando, e dando il benvenuto a, tutti gli attacchi maligni verso Pechino e le sue iniziative.

Guardate più da vicino, e scoprirete che si tratta di ‘rapporti’ come questo, chiaramente nient’altro che lavori di propaganda sottilmente camuffati, ordinati da coloro che mirano a screditare la Cina e i suoi sforzi internazionalisti.

Nel suo sommario, il rapporto afferma:

Dal suo lancio nel 2013, quella che la Cina chiama “ One Belt, One Road “ è emersa come la pietra angolare della politica economica di Pechino. Sotto l’ombrello di Belt & Road, Pechino cerca di promuovere un mondo più connesso, unito da una rete di infrastrutture fisiche e digitali finanziate dalla Cina. Le esigenze infrastrutturali in Asia ed altri continenti sono significative, ma Belt & Road è più di una semplice iniziativa economica; è uno strumento centrale per far avanzare le ambizioni geopolitiche della Cina. Attraverso le attività economiche raggruppate sotto la Cintura e la Strada, Pechino persegue una visione del XXI° secolo definita da grandi sfere di influenza, da interazioni economiche dirette dallo Stato e da un autoritarismo strisciante.

Mentre Pechino si prepara ad ospitare il secondo Belt & Road Forum a fine aprile 2019, i paesi che una volta hanno accolto gli investimenti cinesi sono diventati sempre più chiari sui loro aspetti negativi. Questo rapporto intende servire a governi, società, giornalisti e gruppi della società civile che stanno ora rivalutando costi e benefici dei progetti Belt & Road …

In breve, è propaganda, propaganda anti-cinese, anticomunista (o chiamiamola “propaganda di anti-pianificazione centrale”).

È anche uno strumento per tutti coloro che sono pronti a criticare la Cina, definendo i suoi meravigliosi sforzi come una “trappola del debito”, tra gli altri vari termini dispregiativi.

Un importante accademico presso l’Università delle Filippine (U.P.), Roland G. Simbulan, ha accettato di analizzare l’origine del rapporto CNAS per questo saggio:

Il rapporto dell’aprile 2019 “Grading China’s Belt & Road” del Center for a New American Security (CNAS) sembra essere uno dei più recenti risultati e studi dei gruppi di esperti conservatori americani che sono in realtà volti a screditare le spinte economiche cinesi attraverso le infrastrutture finanziate dai cinesi, trasporti terrestri e marittimi, investimenti, ecc. Queste sono la risposta della Cina all’armamento militare globale degli Stati Uniti e alla politica di accerchiamento della sua superpotenza rivale che è in rapida ascesa. La Cina sta cercando di evitare gli errori delle potenze occidentali, compresi gli Stati Uniti e l’ex Unione Sovietica, non impegnandosi in una corsa agli armamenti. Invece, sta rispondendo con la sua Belt & Road Initiative e altre iniziative economiche e di mercato volte a rafforzare i punti di forza della Cina, evitando un attacco diretto a dove gli Stati Uniti sono più forti e hanno più vantaggio: le forze militari globali statunitensi.

È evidente dalla formazione dei membri del CNAS, gli autori del rapporto, che sono tutti collegati al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e al Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. L’American Enterprise Institute è un gruppo di esperti quasi-governativo del governo federale composto da funzionari riciclati del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e dal  Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. È altrettanto ovvio che hanno consolidati rapporti economici e politici con tutta la comunità di intelligence degli Stati Uniti, che è coordinata dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti.

E ovviamente, il CNAS non nasconde dove si trova ideologicamente. Cita quei guerrafondai di destra, come il presidente francese Emmanuel Macron, l’amministratore delegato del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, il Ministro dell’Energia nel defunto e screditato governo equadoriano, Carlos Perez, e altre figure disgustose.

Roland G. Simbulan continua:

Mentre il Rapporto CNAS potrebbe effettivamente aver identificato alcune delle vulnerabilità della Cina nella gestione dei progetti da lei finanziati (i quali possono facilmente meritare critiche, cioè l’erosione delle sovranità, gli oneri finanziari opachi e non sostenibili,  lo scollegamento dal contesto locale, i rischi geopolitici, gli impatti ambientali), ricordiamo che la BRI cinese è stata lanciata solo nel 2013. Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, incluse le istituzioni multilaterali che hanno creato per assicurare il controllo neoliberale americano sulle economie nazionali, fin dal 1945 si sono impegnati a praticare quelle stesse “sfide” e pericoli che accusano la Cina di avviare attraverso i progetti BRI “per le ambizioni geopolitiche della Cina” .

Queste possono essere critiche valide, come nel caso dei 10 casi esemplari studiati nel rapporto CNAS. Ma è troppo presto per trarre conclusioni in un così ristretto lasso di tempo, dal 2013 al 2018. In questo senso lo sono anche le  pratiche a lungo inflitte dall’impero statunitense e dai suoi alleati, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, per assicurarsi l’egemonia economica, politica e militare. Non intenzionalmente, le sette (7) sfide o pericoli delle BRI cinesi identificate dal CNAS sono davvero sfide che vengono continuamente inflitte dall’impero statunitense e dai suoi alleati occidentali a tutti i paesi più deboli e più piccoli. Precisamente, molti paesi in Asia, in Africa e in America Latina si stanno rivolgendo ad istituzioni internazionali alternative come l’ALBA in America Latina e la BRI, a causa dell’attacco che hanno da lungo tempo subito con la PAX AMERICANA, vale a dire gli Stati Uniti e i loro alleati.

Può il CNAS dimostrare che i suoi sponsor e clienti stanno facendo meglio o possono fare meglio? Il modo migliore per gli Stati Uniti di contrastare la Belt & Road Initiative (BRI) è mostrare E dimostrare che possono offrire un accordo migliore con i paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di assistenza per le loro infrastrutture e progetti di sviluppo.

Il signor Sidqy LP Suyitno, un alto funzionario del governo indonesiano ed ex direttore delle finanze statali e dell’analisi monetaria del Ministero della Pianificazione Nazionale dello Sviluppo, è perplesso anche da alcune delle parole del rapporto. Alla domanda sul progetto BRI di costruire il treno ad alta velocità dalla capitale indonesiana Jakarta alla città di Bandung, ha contraddetto la relazione:

Geopoliticamente rischioso? Sembra che non lo sia. Sembra più che lo siano certe relazioni bilaterali con il Giappone. I giapponesi godono sempre dei benefici quando si tratta delle relazioni con l’Indonesia, fin dalla dittatura di Suharto: l’industria automobilistica è più simile a un oligopolio per le auto giapponesi in Indonesia. E come potremmo tornare indietro? Non abbiamo ancora la nostra industria automobilistica, la nostra auto nazionale o la nostra produzione nazionale di motocicli. Anche se abbiamo un “mercato vincolato” molto grande: nel 2018, 1,1 milioni di automobili e 6,5 milioni di motocicli sono stati venduti in Indonesia.

Apparentemente, quello a cui si riferisce è che mentre l’industria automobilistica giapponese inondava l’Indonesia con le sue auto e gli scooter altamente inquinanti, non c’erano benefici per lo Stato o per la popolazione dell’Indonesia. Posso andare molto oltre, e sottolineare che secondo le mie indagini, l’industria automobilistica giapponese ha corrotto i funzionari governativi nella maggior parte dei paesi del Sudest asiatico, “convincendoli” a non costruire trasporti pubblici, e al contempo soffocando le città e la campagna con modelli obsoleti di veicoli a motore privati, e di conseguenza mandando in rovina i cittadini.

In breve: il Giappone è riuscito a rovinare le città del Sudest asiatico, impedendo loro di sviluppare i trasporti pubblici. E ora dovrebbe godere di fiducia in luoghi come l’Indonesia per sviluppare un sistema ferroviario ad alta velocità? Indonesia, Laos e Thailandia non pensano di doversi fidare troppo del Giappone. Si fidano molto di più della Cina. E lo stesso vale per le Filippine. Il primo ministro malese, Mahathir Mohamad, quando è stato rieletto lo scorso anno, prima ha fermato diversi progetti di alto profilo con la Cina, ma ora sembra che stia scoprendo l’appetito per la cooperazione con Pechino.

Laos – Progetto BRI. La Cina sta costruendo linee ferroviarie per treni ad alta velocità

Ma il rapporto parla (usando un linguaggio non accademico, improvvisamente) di come la Cina abbia strappato ai giapponesi il progetto del treno ad alta velocità.

La professoressa Mira Lubis, della Tanjungpura University di Pontianak, West Kalimantan, Indonesia, ha dichiarato per questo saggio, di avere la speranza che la BRI possa migliorare la vita e l’ambiente sulla sua isola devastata:

Da quello che so della BRI, credo che i suoi sforzi sarebbero reciprocamente vantaggiosi sia per l’Indonesia che per la Repubblica Popolare Cinese. Nel sud-est asiatico, l’obiettivo della BRI sarà quello che potrebbe essere descritto come la Via Marittima della Seta. L’Indonesia è un arcipelago con oltre 17.000 isole. Dal 2014, il nostro governo punta a trasformare l’Indonesia in quello che chiama “Asse Marittimo Globale”. Che significa, lo sviluppo di porti e rotte di navigazione in mezzo ad altri progetti vitali. Ciò sarebbe in sinergia con la BRI e potrebbe rafforzare l’Indonesia come potenza marittima.

La mia isola, il Borneo, è ecologicamente danneggiata. Spero che possa beneficiare direttamente della cooperazione con la Cina e la sua BRI. La Cina è in prima linea nella lotta per la civilizzazione ecologica e io credo nella sua saggezza. Sono ottimista sul fatto che le BRI potrebbero aiutare a promuovere lo sviluppo sostenibile del Borneo.

Il rapporto CNAS si spande “dappertutto”, attaccando selettivamente la BRI e la Cina per il suo coinvolgimento in Africa, Asia Meridionale e Sud-Orientale, Medio Oriente e Pacifico meridionale (Oceania [in inglese] ).

Nel suo saggio “La strada della Cina verso una vittoria anticipata sul forum BRI” pubblicato da Asia Times, il noto analista brasiliano Pepe Escobar ha scritto:

Resoconti continui secondo cui le New Silk Roads, o la Belt & Road Initiative (BRI), sono una perfida trappola del debito neo-imperiale creata dal Pericolo Giallo 2.0, sono enormemente esagerati.         Pechino ha concluso una straordinaria pioggia di accordi BRI con 17 nazioni arabe, tra cui Egitto, Libano e Oman. Non per caso, il forum quest’anno è stato chiamato “Costruisci la Cintura e la Strada, Condividi lo Sviluppo e la Prosperità”. Fino al 2018, 21 nazioni arabe avevano firmato il memorandum d’intesa BRI. Queste nazioni non sono solo partner BRI, ma 12 di esse hanno collaborato  anche strategicamente con la Cina…

Non c’è da stupirsi sul perché!

Citate la Cina o la BRI in Africa, pronunciando solamente questi nomi e la maggior parte delle persone mostrerà grande entusiasmo. Tutti, persino i sondaggi occidentali, indicano chiaramente che in tutto il continente la gente nutre sentimenti estremamente positivi verso la Cina.

In Kenya (dove vivevo), ho sentito ripetutamente coloro che stavano lavorando su innumerevoli progetti cinesi, ripetere:

Questa è la prima volta che veniamo trattati dagli stranieri come esseri umani.

Kenya – BRI. Nuovi edifici governativi a Nairobi

Le persone in Europa e in Nord America amano adottare “discorsi politicamente corretti”, ma le parole in qualche modo non si traducono in fatti. I lavoratori cinesi possono a volte essere rudi, ma trattano gli africani come fratelli e sorelle. Cercano anche di compensarli come se fossero dei loro.

Ma il rapporto CNAS avanza solo critiche sul coinvolgimento della Cina in Africa, mentre le voci africane raramente sono ascoltate sui dogmatici media ufficiali occidentali.

Un influente analista e personaggio dell’opposizione ugandese, Arthur Tewungwa, ha scritto per questo saggio:

L’assunto di base sugli africani è che sono i più stupidi e ignoranti della storia, della politica e della struttura finanziaria globale del mondo. L’allarmismo sul dominio globale cinese non attacca davvero su un continente che è ancora sotto l’attacco prolungato dalle stesse forze che ci hanno portato alla schiavitù, al colonialismo e alla sua manifestazione moderna, il neo-colonialismo. Usano le critiche dell’opposizione ugandese contro il governo (un fedele alleato degli Stati Uniti e dei suoi sceriffi regionali) sull’uso improprio e il furto di aiuti cinesi, ignorando il fatto che lo stesso è andato avanti negli ultimi 30 anni con i fondi del FMI e della Banca mondiale, andazzo criticato dall’opposizione, il che conferma questo assunto di base.

Gli ugandesi non considerano la Cina un egemone pericoloso, sono ancora troppo impegnati a cercare di uscire dalla relazione attuale con l’egemone, di cui ha avuto gli stivali sul collo durante gli ultimi 300 anni. Le critiche dell’opposizione erano dirette principalmente alla condotta dell’America, non alle intenzioni mal descritte della Cina. Il FMI e la Banca Mondiale non si sono coperti di gloria in Africa, e ignorare questo fatto gioca a favore della Cina.

Nel Sud Pacifico (Oceania), dove ho trascorso diversi anni della mia vita (scrivendo un libro sulla triste situazione della Melanesia, della Polinesia e della Micronesia), il CNAS critica disonestamente il progetto BRI a Vanuatu.

Permettetemi di essere brutalmente franco su questa faccenda: l’Occidente ha quasi rovinato l’intera Oceania con il suo consumo sfrenato, con le sue politiche neocolonialiste, dalle Isole Salomone alle Isole Marshall. Il riscaldamento globale ha causato la quasi scomparsa di paesi meravigliosi come Kiribati, le Isole Marshall e Tuvalu.

Cosa ha fatto l’Occidente per salvarle? Niente! Solo riversare cibo spazzatura su Samoa e Tonga, negli Stati Federati della Micronesia o sulle Isole Marshall (RMI).

La Cina, pazientemente e con sincerità, ha provato ad aiutare: piantando mangrovie, costruendo muri anti-tsunami, elevando su palafitte uffici governativi, scuole e postazioni mediche. Ha costruito stadi per migliorare la salute della popolazione locale disperatamente obesa (su alcune isole, circa il 90% della popolazione soffre di diabete).

E cosa ha fatto l’Occidente, dopo aver osservato il grande successo della Cina? È andato a Taiwan e, come mi spiegò l’ex ministro degli Esteri della RMI, Tony de Brum, ha iniziato ad “incoraggiare Taipei” a corrompere i governi locali, in modo che riconoscessero Taiwan come un paese indipendente, qualcosa che nemmeno l’Occidente ha fatto. Di conseguenza, prevedibilmente, Pechino è stata costretta a rompere le relazioni diplomatiche e a ritirare i propri aiuti. Il risultato: Taiwan non ha fatto nulla per l’Oceania. Ha fatto solo sì che le persone comuni del Sud Pacifico diventassero delle vittime.

Quei paesi del Sud Pacifico che “sono rimasti con la Cina” stanno andando incomparabilmente meglio. Perché non sentiamo parlare di tutto questo, nei rapporti sponsorizzati dall’Occidente? Perché leggiamo solo di sporcizia, oltre alle speculazioni nichiliste? Perché non dei fatti? Perché non la verità, quella per cui è l’Occidente che sta distruggendo il mondo, ed è stato sempre così, per decenni e secoli?

La BRI non è perfetta, ma su scala globale è il meglio che l’umanità possa avere adesso. E il tutto sta migliorando, mese dopo mese.

Gli ugandesi hanno vissuto 300 anni di orrori di “democrazia occidentale” e di “libertà”. I latinoamericani sono stati sconfitti e sottomessi per oltre 500 anni.

Kenia – BRI. Nuovo terminal ferroviario a Nairobi

A Washington, Londra e Parigi, amano e si compiacciono di dire: “siamo tutti uguali”. Tale ‘logica’ lava i loro crimini e le loro coscienze. Significa: “tutti sono avidi e brutali come e quanto lo siamo noi”. Ma no, non siamo uguali! Le culture sono diverse, in tutti gli angoli del globo. Alcuni paesi sono espansionisti, aggressivi e ossessionati dal sentirsi nel giusto e dai complessi di superiorità. Alcuni paesi non lo sono. La Cina non lo è, non lo è mai stata e mai lo sarà. Se attaccata o trattata da nemico, si difende; e se minacciata in futuro, si difenderà di nuovo ancora. Ma essa non costituisce la sua ricchezza sul saccheggio e sui cadaveri degli altri, come l’Occidente ha fatto lungamente per secoli.

La BRI è l’esatto contrario del colonialismo e dell’imperialismo occidentali. Lo dico non perché difendo alcune teorie su queste pagine, ma perché ho visto in azione la “Nuova Via della Seta” cinese, nei luoghi in cui ho vissuto e lavorato: Asia, Medio Oriente, Oceania, America Latina e Africa. In posti dove quasi nessuno osa o si preoccupa di andare, tranne per quei pochi individui tosti e “pazzi” come me e per gli internazionalisti cinesi! Conosco questi posti intimamente. Luoghi in cui la popolazione locale non ha quasi mai avuto l’opportunità di parlare, non compare mai sulle pagine dei mass media occidentali o sugli schermi televisivi o in rapporti come quello pubblicato dal CNAS.

Fino a poco tempo fa, le loro voci e le loro vite non contavano niente. Adesso contano. Ora hanno molta importanza.

Queste persone esistono; queste persone sono vive; vogliono respirare, vivere e sognare. Giuro che lo fanno. E per loro, specialmente per loro, ora esiste la BRI!

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Articolo di Andre Vltchek pubblicato su Global Research  il 25 aprile 2019
Traduzione in italiano di Pappagone per 
SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

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