L’avvocato Lawrence Ma sostiene che gli Stati Uniti hanno appoggiato le proteste attraverso gruppi quali il NED.
Lawrence YK Ma è presidente della Hong Kong Legal Exchange Foundation e direttore della China Law Society, della Chinese Judicial Studies Association e della Hong Kong Legal Exchange Foundation, ma trova anche il tempo per insegnare legge alla Nankai University a Tianjin.
Lawrence Ma è l’esperto a cui rivolgersi sulla questione senza dubbio più delicata a Hong Kong. Infatti egli rintraccia attentamente quelle che vengono percepite come interferenze straniere [in inglese] nella Regione Amministrativa Speciale (RAS).
Nelle stesse circostanze, in Occidente, Ma sarebbe una stella mediatica.
Con una smorfia, mi ha detto che i giornalisti del posto, di lingua sia inglese che cinese, per non dire di quelli esteri, solo raramente gli fanno visita.
Lawrence Ma mi ha ricevuto nel suo ufficio a Wanchai lo scorso sabato mattina, dopo una “giornata nera” di disordini, come li ha descritti il governo della RAS, ed ha subito richiamato la mia attenzione su una petizione per una “indagine delle Nazioni Unite sul coinvolgimento degli Stati Uniti nelle rivolte di Hong Kong”. Mi ha mostrato una copia del documento, che riporta la Repubblica Popolare Cinese come ricorrente, gli Stati Uniti come chiamati in causa e la Hong Kong Legal Exchange Foundation come parte interessata. La petizione è stata presentata il 16 agosto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU a Ginevra, ed è indirizzata al Segretario Generale Antonio Guterres.
Il documento, nella Sezione II, tratta di “finanziamenti, sponsorizzazioni e forniture in favore di organizzazioni e gruppi, società, partiti politici o persone” e di “manifestanti appositamente addestrati e di prima linea, studenti e dissidenti”.
Prevedibilmente, il documento cita il National Endowment for Democracy (NED) degli USA, il cui grosso dei finanziamenti del 2018 è stato diretto in primo luogo verso Cina e, poco dietro, alla Russia.
Il NED è stato istituito nel 1983 dopo lo smascheramento di diverse operazioni segrete della CIA nel Terzo Mondo. Nel 1986 il presidente del NED Carl Gershman dichiarò [in inglese] al New York Times: “Per i gruppi democratici di tutto il mondo è stato deleterio essere identificati con la CIA per via dei finanziamenti da essa ricevuti. Di questo ce ne rendevamo conto già negli anni ’60, perciò poi questo tipo di sussidi sono stati sospesi”. Come l’articolo del Times ha spiegato a proposito del NED:
Per alcuni aspetti il programma ricorda gli aiuti forniti dalla CIA negli anni ’50, ’60 e ’70 per sostenere gruppi politici di orientamento pro-americano. Ma quegli aiuti erano segreti. Inoltre indagini del Congresso scoprirono che nei giornali venivano piazzati ad arte appositi articoli e che venivano realizzate anche altre forme di disinformazione internazionale. Oggi questi finanziamenti sono in prevalenza pubblici, a parte i casi di beneficiari che preferiscono mantenere le attività coperte, e vengono assegnati con l’obiettivo di favorire il pluralismo politico, che è un obiettivo più ampio di quello della CIA di sostenere puramente posizioni pro-americane.
‘Forza morbida’ in azione
Quindi, per il Sud Globale non è un segreto che sotto la benevola copertura di un ombrello che promuove la democrazia ed i diritti umani, il NED opera come un agente di soft-power [in inglese] interferendo attivamente nella politica e nelle società. Esempi recenti includono l’Ucraina, il Venezuela ed il Nicaragua. In molti casi ciò ha portato a cambi di regime.
Del consiglio di amministrazione del NED fanno parte Elliott Abrams, già attivo nel finanziamento e armamento dei Contras in Nicaragua, e Victoria Nuland, che è stata a capo del finanziamento e dell’armamento delle milizie in Ucraina, quelle che molti esperti hanno descritto [in inglese] come neo-fasciste.
Il NED offre finanziamenti attraverso varie sezioni. Una di queste è il National Democratic Institute, che è attivo a Hong Kong dal trasferimento di sovranità nel 1997. Qui [in inglese] sono riportati alcuni dei finanziamenti offerti dal NED a Hong Kong nel 2018.
C’è almeno una pubblicazione di Hong Kong [in inglese] che si è presa la briga di studiare le connessioni del NED a livello locale, e che ha anche pubblicato un grafico della struttura delle proteste anti-estradizione. Ma nessuna prova presentata può essere considerata definitiva. Il massimo che la pubblicazione in questione ha potuto affermare è che “se si analizza il coinvolgimento storico del NED in Occupy Central e la sequenza degli eventi a partire da marzo 2019 è molto probabile, anche se non possiamo esserne assolutamente certi, che ci sia un potenziale coinvolgimento americano negli attuali disordini per mezzo del NED”.
La Sezione III della petizione inviata alle Nazioni Unite tratta di “operazioni sul campo, coordinate, dirette e segretamente dirette; in connivenza con media locali ed americani, favorevoli e compatibili, in modo da presentare una nuova copertura mediatica di parte”.
Per quanto riguarda il “coordinamento” il principale agente politico è stato identificato in Julie Eadeh, di stanza al Consolato americano, dopo un precedente incarico nel Medio Oriente. Eadeh ha suscitato scalpore in Cina dopo essere stata fotografata ad incontri, nello stesso giorno, con Anson Chan e Martin Lee, stretti alleati del fondatore dell’Apple Daily Jimmy Lai, che sostiene le proteste, e con i loro leader Joshua Wang e Nathan Law, nell’ingresso del Marriott.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha reagito definendo “teppista” il governo cinese per avere diffuso le fotografie ed informazioni personali su Eadeh.
Il NED ed Eadeh sono anche stati oggetto di altre accuse nella Sezione IV della petizione (“indagine su istituzioni varie”).
Tutto nella Legge Fondamentale
Lawrence Ma è autore di un libro approfondito e ricco di riferimenti: “Hong Kong Basic Law: Principles and Controversies”, edito da Hong Kong Legal Exchange Foundation. Maria Tam, membro della Hong Kong SAR Basic Law Committee, e dell’Assemblea Nazionale del Popolo cinese, ne ha lodato l’analisi dell’interpretazione della Legge Fondamentale, questione estremamente delicata, ed ha affermato che “il sistema di common law è intonso e l’indipendenza del potere giudiziario rimane la migliore in Asia”, con Hong Kong stabilmente – almeno per ora – “terzo luogo preferito per gli arbitrati internazionali”.
Il libro analizza in maniera esaustiva i punti salienti della politica di contenimento della Cina, ma tratta anche di cultura, come ad esempio l’esame dei lavori di Liang Shuming (1893-1988) sulla compatibilità filosofica del Confucianesimo tradizionale cinese con la tecnologia occidentale. Liang asseriva che la scelta della Cina era essenzialmente limitata tra la totale occidentalizzazione ed il completo rifiuto dell’Occidente.
Quando esamina il ruolo e la posizione unici di Hong Kong quale vettore della politica di contenimento della Cina, Ma tocca un nervo scoperto, essendo ciò facilitato da un prevalente sentimento anticomunista e dall’assenza di una legge sulla sicurezza nazionale. E’ una cosa che non può essere compresa se si ignora la successione delle ondate migratorie a Hong Kong. La prima ha avuto luogo durante la guerra civile tra comunisti e nazionalisti (1927-1950) e durante la guerra tra la Cina ed il Giappone (1937-1945); la seconda durante la Rivoluzione Culturale (1966-1977).
Significativamente, Ma cita un sondaggio del 1982 secondo il quale il 95% degli interpellati avrebbe preferito mantenere il dominio britannico. Chi ha seguito il trasferimento della sovranità di Hong Kong del 1997 ricorderà la paura dell’arrivo alla mezzanotte dei carri armati cinesi a Kwoloon.
In sostanza, secondo Ma, per Washington ciò che conta è “far sì che Hong Kong sia il più possibile difficile da governare per Pechino”.
Integrarsi o perire
Chiunque sia interessato a studiare attentamente le complessità della Legge Fondamentale si renderà conto che Hong Kong è inscindibile dalla Cina. Centinaia di milioni di cinesi del continente hanno visto quello che la “democrazia” dei black block ha fatto riducendo in rovine Hong Kong e vandalizzandone la proprietà pubblica e privata. Non c’è dubbio in una prospettiva di lungo termine, e dopo un’inevitabile operazione di “pulizia” la crisi non potrà che rafforzare l’integrazione di Hong Kong con la Cina. Si tenga anche conto che la Cina, Macau, Singapore, la Malesia ed il Giappone, ciascuno per proprio conto, hanno chiesto alle autorità di Hong Kong un elenco dettagliato dei rivoltosi dei black block.
Nelle conversazioni che ho intrattenuto nei giorni scorsi con hongkonghesi informati – uomini e donne d’affari maturi che capiscono la Legge Fondamentale e le relazioni con la Cina – due temi sono emersi in modo ricorrente.
Uno riguarda la debolezza del governo di Carrie Lam ed il fatto che gli oppositori fossero del tutto consapevoli che le forze dell’odine, del tutto sottodimensionate, non avrebbero potuto garantire la sicurezza in tutta la città. Allo stesso tempo è stato fatto notare da più parti che Washington e Londra hanno reagito in modo sorprendentemente pacato alla legge sulle maschere antigas.
L’altro tema è la decolonizzazione. I miei interlocutori sostengono che la Cina non abbia “controllato” Hong Kong. Se l’avesse fatto le rivolte non si sarebbero verificate. A ciò si aggiunga che Lam può avere ricevuto istruzioni di astenersi da qualunque azione per evitare di infiammare ulteriormente una situazione già incandescente.
Adesso è, però, tutta un’altra storia. Pechino, anche se in maniera discreta, farà pressioni per purgare dall’amministrazione civile gli elementi che possono essere identificati con posizioni anti-Cina. Se Lam continuerà ad insistere sul tanto amato “dialogo” potrà essere rimpiazzata con uno dei più concreti CY Leung o Regina Ip.
In una situazione così buia uno spiraglio di luce potrebbe essere il progetto Greater Bay Area. I miei interlocutori ritengono che quando la tempesta si sarà placata, e dopo aver studiato la situazione in maniera attenta per qualche mese, Pechino elaborerà un nuovo piano per integrare Hong Kong ancor più strettamente all’economia del continente.
Il primo passo è stato far sapere ai magnati di Hong Kong che devono mettere la testa a posto ed assumersi più responsablità dal punto di vista sociale. Il secondo sarà convincere le imprese di Hong Kong a reinventarsi una buona volta, e a loro stesso vantaggio, quale parte integrante della Greater Bay Area e della Nuova Via della Seta.
Hong Kong sarà in grado di prosperare solo integrata, non sconnessa. Questa potrebbe essere l’argomentazione definitiva, oltre che redditizia, contro ogni forma estera di sabotaggio.
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su The Saker l’ 8 ottobre 2019
Traduzione in italiano di DS per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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