Il summit tra il leader nordcoreano Kim Jong-un e il presidente Vladimir Putin è stato significativo a vari livelli, e riafferma l’inizio di un mondo multipolare.

Conoscere i tuoi nemici e capire i tuoi amici è una massima da cui trarre spunto. Per gli attuali stati nazionali, in un momento storico in cui, secondo la formula di Gramsci “il vecchio sta morendo e il nuovo non può nascere” forse abusata ma non per questo illuminante, quella massima è più di una regola secondo cui vivere, un prerequisito di sopravvivenza.

La mancanza di comprensione dei loro nemici è stata determinante per la triste fine di Saddam Hussein, Muammar Gheddafi e i paesi che essi guidavano, Iraq e Libia.

Finora, i nordcoreani, guidati da Kim Jong-un, hanno dimostrato di non scivolare sulla stessa china.

Al contrario, la posizione rialzista dei nordcoreani di fronte all’arrogante tentativo di Washington di denuclearizzazione unilaterale della sola Corea del Nord, a differenza di quanto concordato nel famoso vertice di Singapore tra Kim e il presidente Trump nel 2018, conferma che Pyongyang è un luogo in cui la storia è vista come una guida al presente e al futuro, e non solo un riferimento al passato.

Quindi il disarmo nucleare unilaterale è semplicemente fuori questione per uno stato la cui esistenza, fin dalla sua fondazione nel 1948, ha fornito alla sua leadership e al suo popolo un apprezzamento senza pari della bruta realtà imperialista dell’egemonia statunitense. Inoltre, il disarmo nucleare unilaterale non è ciò su cui si è concordato a Singapore.

L’Accordo di Singapore [in inglese] sulla denuclearizzazione si riferisce specificamente alla penisola coreana. Da allora ad oggi, la politica estera di Trump è passata sotto l’influenza maligna dei neoconservatori John Bolton e Mike Pompeo, di conseguenza l’idea di denuclearizzare la penisola coreana concordata a Singapore si è trasformata invece nella denuclearizzazione unilaterale della DPRK.

In questo cinico gioco di prestigio, gli Stati Uniti si sono guardati bene dal mettere in gioco il proprio “ombrello nucleare” che rimane in essere sulla penisola con lo scopo “dichiarato” di garantire la sicurezza della Corea del Sud e del Giappone, i principali satelliti regionali statunitensi (alleati, se preferite). Lo scopo cruciale e, ovviamente non dichiarato, è quello di mantenere l’egemonia regionale con particolare enfasi sul contenimento della Cina.

La sensazione di fine della distensione, visto il perdurare dello stallo dopo il vertice di Hanoi di febbraio, che non ha prodotto alcun compromesso fra denuclearizzazione e la revoca delle sanzioni, è stata acuita dalla recente testimonianza di Mike Pompeo in un’audizione della sottocommissione negli Stati Uniti durante la quale, in risposta ad una domanda, ha fatto riferimento al leader nordcoreano Kim Jong-un come un “tiranno”.

Pyongyang, in risposta, ha chiesto che Pompeo non sia ulteriormente coinvolto in negoziati o colloqui. Il portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, Kwon Jong-gun, ha accusato il Segretario di Stato degli Stati Uniti di mancanza di maturità, essendo “sconsiderato”, ed ha affermato che se Pompeo parteciperà a futuri negoziati, “il tavolo sarà scadente e i colloqui si areneranno”.

Tornando al vertice di Vladivostok, la prima visita in assoluto di Kim in Russia ha un doppio significato: da una parte il ripristino dei legami fraterni di vecchia data che esistono tra Mosca e Pyongyang, risalenti all’era sovietica, dall’altra il ripristino del prestigio della Russia come contrappeso geopolitico e diplomatico a Washington nel presente.

La spinta anti-egemonica della politica estera russa, dimostrata specialmente nel suo vincente intervento militare e diplomatico nel conflitto in Siria, dà agli stati come la RPDC, che da tempo sono nel mirino dell’imperialismo occidentale guidato dagli Stati Uniti, una ragione sufficiente per riporre fiducia nelle capacità di Mosca. Senza dimenticare come la Russia (almeno fino a questo punto) ha cavalcato bene la crisi politica senza precedenti di Washington, che non mostra alcun segno di diminuzione – in cui la russofobia, dilagante e folle, ha trasformato l’establishment politico e mediatico degli Stati Uniti.

A dire il vero, Mosca ha legittimi interessi propri rispetto alla traiettoria degli eventi nella penisola coreana. Il fatto è che la Russia condivide una frontiera terrestre con la Corea del Nord, anche se piccola, e ciò rende la denuclearizzazione di vitale importanza anche per il Cremlino.

In definitiva, e comprensibilmente, nei due giorni di riunioni il motivo dominante è stata la crescente disperazione di Pyongyang per la mancata revoca delle sanzioni dopo il Summit di Hanoi [in inglese], tenutosi tra febbraio e ottobre fra Kim e Trump e conclusosi con un fallimento.

Dobbiamo qui ricordare la distinzione tra sanzioni ONU e sanzioni unilaterali statunitensi. Le prime sono state approvate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e introdotte per la prima volta nel 2006, come sanzioni al programma nucleare della RPDC. Le seconde, invece, sono un esercizio di asfissia economica, progettato per mettere il paese in ginocchio, attraverso l’impoverimento del suo popolo.

Allo stato attuale, le sanzioni hanno indubbiamente causato danni significativi all’economia della RDPC. Nel luglio 2018, la Banca di Corea, la banca centrale di Seoul, ha pubblicato un rapporto [in inglese] sull’impatto che stavano avendo, stimando che il vero prodotto interno lordo annuale di Pyongyang ha subito un calo del 3,5% nel 2017, mentre le esportazioni sono diminuite di un massiccio 37,2%.

Detto questo, non ci sono prove di carestia o di fame di massa nel paese, secondo il controspionaggio della Corea del Sud e vari altri servizi segreti impegnati nella questione. Questo è dovuto senza dubbio in parte agli sforzi di elusione delle sanzioni da parte della Corea del Nord, ma anche per il diligente uso da parte del governo delle riserve in valuta estera del paese per stabilizzare i prezzi interni attraverso le importazioni dal suo principale partner commerciale, la Cina.

Indipendentemente da ciò, l’impatto sulle riserve di valuta estera relativamente deboli del paese impone l’urgenza dell’alleggerimento delle sanzioni, e quella degli aiuti umanitari, in particolare l’aiuto alimentare, per alleviare la crisi e le difficoltà sofferte da un’ampia parte della popolazione, in particolare nelle aree rurali.

La posizione della Russia in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove in collaborazione con la Cina ha già discusso sull’alleggerimento delle sanzioni sulla Corea del Nord, ha reso chiaro a tutti che il primo summit tra i due paesi, dall’ascesa al potere di Kim Jong-un nel 2011, non potesse arrivare in un momento più cruciale. Una valutazione serena della questione nega la possibilità di compiere progressi reali quando a Washington si è verificata una sorta di rinascita neocon, segnata dal ritorno in carica di Bolton.

Forse sarà il caso di aspettare e sperare che un’amministrazione più malleabile si installi alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali statunitensi del 2020. Ma, detto questo, ci sarà ancora molto da fare visto che, al momento, sulla politica estera, con l’eccezione notevole e nobile di Tulsi Gabbard, regna un consenso cieco a proposito dei nemici della Repubblica ufficialmente designati.

I principi della realpolitik stabiliscono che solo i forti possono scendere a compromessi, e solo gli eguali possono raggiungere un accordo. La Repubblica Democratica Popolare di Corea non è nella posizione di fare il primo, e non può permettersi di perdere i mezzi con cui mantenere una parvenza di quest’ultimo. Il disagio che la sua gente sta vivendo è il prezzo dell’indipendenza e il rifiuto di piegarsi all’Impero.

Russia e Cina rappresentano la speranza di un futuro libero da imperi. Il ginepraio della RPDC è solo una delle ragioni per cui questo particolare futuro non può arrivare così presto.

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 Articolo di John Wight apparso su RT il  26 aprile 2019
Traduzione in italiano di Hajduk per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

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