Sono trascorsi sei anni, ma il ricordo della morte del grande generale e del suo funerale sono ancora vivi nella mia mente.
Mentre migliaia e migliaia di vietnamiti, sotto un sole autunnale ancora forte, aspettavano pazientemente di salutare il loro eroe nazionale, il Generale Vo Nguyen Giap, che giaceva nella Sala dei Funerali di Hanoi, sono rimasto in piedi accanto alla sua bara drappeggiata nella bandiera vietnamita. È stato un po’ strano che io, come americano degli Stati Uniti, amico del Vietnam e unico non-veterano tra i membri della nostra piccola delegazione statunitense, abbia potuto rendergli omaggio.
Mentre aspettavo di entrare con i miei amici, notammo una occidentale appollaiata su una panchina di pietra, con una macchina da presa al collo, che osservava la scena. Ho sbirciato il nome sulla sua credenziale di stampa: Catherine Karnow [in inglese], National Geographic.
Grazie alle conoscenze di suo padre, il defunto Stanley Karnow, giornalista e storico, fu l’unica fotografa straniera ammessa ad accompagnare il generale nel viaggio commemorativo del maggio 1994 a Dien Bien Phu, dove Giap aveva sconfitto i francesi 40 anni prima. Catherine aveva prenotato un volo last minute per Hanoi per raccontare la storia di una vita, e per rendere omaggio a questo eroe. Per lei era sia lavoro che una questione personale.
Quando è arrivato il momento, siamo stati introdotti nella camera ardente, dove ho chinato la testa, detto una preghiera silenziosa, espresso le mie condoglianze ad alcuni membri della famiglia del generale e scritto alcuni dei miei pensieri nel libro ufficiale degli ospiti. È stata per me un’esperienza profondamente commovente. Io non ho uno schema culturale col quale filtrare la pervasiva tristezza ed il senso di perdita, perché non c’è stato nessuno come il Generale Giap negli annali della storia degli Stati Uniti, o perlomeno non nella mia vita. Sicuramente anche per i miei amici, che una volta avevano combattuto in una guerra che li aveva traumatizzati e trasformati emotivamente e spiritualmente, e che ora chiamano il Vietnam casa, è stato un momento molto speciale.
Mentre il Generale Giap era ancora in vita, passavo spesso in auto vicino alla sua casa in Hoang Dieu Street 30, ed ero consapevole di essere al cospetto di una leggenda vivente, un uomo che cambiò il corso della storia e che rese il Vietnam e il mondo migliori. Finché è vissuto il Generale Giap, lucido ed attivo ben addentro ai suoi novant’anni, ha esortato il governo a riconsiderare i suoi piani per una grande miniera di bauxite finanziata dalla Cina negli altopiani centrali del Vietnam, a causa dei rischi ambientali e di sicurezza, esortando sempre il paese alla vigilanza contro la corruzione ed intervenendo su ogni altro problema di attualità.
Come Ho Chi Minh, anche il Generale Giap era molto interessato all’istruzione, ed espresse il suo sostegno ad un aumento degli scambi educativi tra Vietnam e Stati Uniti e per inviare altri vietnamiti a studiare lì, come evidenziato da un cablogramma di Wikileaks che ha rivelato il contenuto di una conversazione del 25 aprile 2008 tra il generale e l’ambasciatore Michael Michalak.
Il Generale Giap amava il suo paese e, come i buoni patrioti, voleva che fosse migliore di quello che era, ed era cosciente che questo fosse possibile. Dopo aver trascorso decenni a lottare per l’indipendenza e sovranità del Vietnam, ha avuto anche il tempo di gioire per ciò che il suo Paese è stato in grado di raggiungere in tempo di pace. La sua è stata una vita di sacrificio, consapevolezza e semplicità – una vita ben vissuta. A tale proposito, è un modello per tutti noi, indipendentemente dal passaporto che abbiamo.
Essendo uno dei più istruiti della generazione rivoluzionaria del Vietnam, il Generale Giap avrebbe potuto essere un professore di storia, un giornalista o un avvocato, se non fosse stato per i francesi e, dopo di loro, per gli americani. Invece, come molti della sua generazione, fu costretto a studiare e praticare l’arte e la scienza della guerra, sopportò sofferenze personali inimmaginabili (ad esempio, suo padre morì in prigione e la sua prima moglie, Nguyen Thi Quang Thai, la sorella minore del rivoluzionario Nguyen Thi Minh Khai, da cui molte strade prendono il nome in Vietnam, morì in prigione dopo essere stata torturata) e fu testimone della sofferenza collettiva del suo paese. Ha imparato bene, ha perseverato e, alla fine, ha prevalso, come il Vietnam stesso.
La mattina seguente ci svegliammo con la processione funebre che si snodava attraverso le strade alberate e gremite di persone di Hanoi, diretta verso l’aeroporto per l’ultimo volo di ritorno del generale e la sepoltura pomeridiana in un appezzamento di famiglia, a picco sul mare nella sua città natale in provincia di Quang Binh, nel Vietnam centrale. Io mi sentivo triste, ma ispirato.
Catherine Karnow è stata successivamente intervistata sulla sua amicizia con il generale, la sua famiglia e le sue relazioni speciali con il Vietnam in una trasmissione televisiva nazionale trasmessa il 7 maggio 2014, il 60° anniversario della vittoria a Dien Bien Phu; in quell’occasione ha detto a proposito dei funerali:
Che momento esaltante, che vortice di emozioni!
Migliaia e migliaia di persone si sono radunate per l’estremo saluto al generale, sia ad Hanoi che nella provincia di Quang Binh: non ho mai visto niente del genere. Tutti erano sbalorditi, compresa la famiglia. Un nipote del Generale Giap mi disse: “Sono sfinito, ma molto orgoglioso. La gente amava mio nonno così tanto”.
Il Vietnam e il mondo hanno bisogno di più uomini e donne con la leadership, il carisma, il senso dei contatti umani e la devozione al bene comune del Generale Vo Nguyen Giap. La sua morte ha riunito vietnamiti di tutte le età e di ogni ceto sociale. Per una settimana, il Vietnam è stato unificato nel cuore, nella mente e nello spirito. Per una settimana, alcuni di noi hanno intravisto ciò che potrebbe diventare.
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Articolo di Mark Ashwill pubblicato su CounterPunch l’11 ottobre 2019
Traduzione in italiano di Hadjuk per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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