Parte 2

Parte 3

Apocalisse nel Vecchio Mondo: l’Europa sopraffatta da orde di migranti voraci

Darya Aslamova, la corrispondente speciale di “Komsomolskaya Pravda”, ha visitato numerosi paesi europei, in cui arrivano giornalmente decine di migliaia di persone dall’Africa e dal Medio Oriente. Ma questi non sono i classici rifugiati. Questi si sentono a casa in un posto nuovo e disprezzano la gente locale che li aiuta, chiedendo ancor più benefici.

Kanizha, al confine serbo-ungherese

Kanizha, al confine serbo-ungherese

La cittadina di Kanizha è sul confine serbo-ungherese. Ogni mattina alle sei, le campane della chiesa di Pietro e Paolo iniziano la loro canzone triste. Suonano disperatamente fino alle sette del mattino cosicché è impossibile dormire. Io vado alla finestra e apro le tende. La piazza di fronte all’albergo è vuota. LORO sono partiti. Sono rimaste solo le “guardie” — alcuni giovani dalla pelle scura che dormono sull’erba sotto gli alberi.

Ma ecco che il primo pullman interurbano arriva alla fermata Centrale e rilascia una fresca infornata di rifugiati. Fondamentalmente si tratta di uomini sotto i trent’anni, in jeans e maglietta. Ma ci sono anche donne in hijab, con figli piccoli. Nonostante il caldo debilitante, le donne sono avvolte in vesti di lana scura. Alcune indossano perfino dei guanti neri. Tutta questa gente è molto sicura di sé ed è completamente indifferente al fascino della storica cittadina cristiana. Alle nove precise, apre all’angolo il caffè “Venezia” in cui i rifugiati vanno a caricare i loro nuovi iPhone e palmari, usare i bagni e perfino lavarsi i capelli nel lavandino.

Il campo degli immigrati nella piazza centrale di Kanizha

Il campo degli immigrati nella piazza centrale di Kanizha

 

A sera, il centro di Kanizha è pieno come un uovo. Centinaia di persone si sono temporaneamente accampate nelle due piazze centrali. Secondo stime prudenti, ci sono circa duemila persone. Siedono sull’erba, mangiano, bevono, e guardano con disprezzo gli spazzini che devono raccogliere i resti del loro passaggio, sacchetti di plastica, bottiglie, mozziconi di sigaretta, incarti dei cibi.

 

 

 

Il gruppo dei rifugiati si prepara ad attraversare illegalmente il confine ungherese attraverso il bosco

Il gruppo dei rifugiati si prepara ad attraversare illegalmente il confine ungherese attraverso il bosco

Scende la notte. L’oscurità è il segnale. La gente si divide in gruppi di 30-50 persone. In ognuno di essi, c’è il proprio capo. Per le undici di sera, i gruppi si incamminano a piedi verso il confine serbo-ungherese. Silenziosamente dalle finestre, i residenti guardano muoversi le ombre nere degli immigrati attraverso la cittadina quieta, quasi morta.

“Essi camminano a piedi fuori dalla città, e poi sono caricati su pulmini dagli zingari mafiosi” dice il tassista Victor “A noi non è consentito di trasportare i clandestini. La polizia ha già fermato cinque auto della nostra flotta di taxi. Ma gli zingari fanno quel che vogliono. Per i rifugiati, loro sono le guide principali lungo la rotta balcanica. Gli zingari portano i rifugiati fin quasi al confine e poi li guidano in Ungheria attraverso sentieri nel bosco, conosciuti solo da loro. Il tutto è partito a gennaio. Sono cominciate ad arrivare persone organizzate, ogni giorno. Ed il flusso cresce e cresce. Sinceramente, siamo preoccupati. Che ne sarà di noi?”

La grande migrazione delle persone.

Nel 2015, l’Europa esplose. Quello che iniziò come un rivolo sottile di immigrazione, improvvisamente si trasformò in una potente ondata umana pronta a travolgere l’accogliente, pulita Europa. Alle due vie esistenti, attraverso la Spagna via Gibilterra e ed il Mar Mediterraneo via Lampedusa, è stata aggiunta la nuova, conveniente e sicura rotta dei Balcani. Parte dalla turca Smirne, va verso le isole greche (la prima vittima è stata la famosa isola di Lesbo. I greci mi hanno detto che i turchi stanno aiutando gli immigrati. La voce è che i turchi stiano finanziando i rifugiati e li stiano letteralmente spingendo in acque internazionali). Poi Atene, Macedonia, Serbia, Ungheria dove il flusso si divide in due parti, verso l’Austria e Germania o verso la Slovacchia e Repubblica Ceca. Perfino l’Inghilterra, che con quel tale senso di superiorità ha bombardato la Libia, trova adesso che essere una isola non la salva dall’invasione. Il tunnel sotto La Manica è preso d’assalto dai rifugiati esacerbati. Ed in Germania, le autorità son dovute ricorrere all’aiuto dell’esercito, che ha fornito agli immigrati tende e protezione dalla arrabbiata gente locale.

Da gennaio a luglio, solo attraverso la rotta balcanica, sono passate centinaia di migliaia di persone. I sociologi prevedono che per la fine dell’anno il loro numero sarà salito a 250 mila. Ed il prossimo anno promette disastri.

Io ho lavorato tanto in “punti caldi” ed in questo tempo ho visto un gran numero di rifugiati. Donne piangenti in vesti casalinghe e pantofole ai piedi nudi, bimbi malati vestiti di stracci, uomini con facce di pietra, furiosi dalla propria impotenza. Essi erano grati per la bottiglia di acqua, per il pezzo di pane, per il piccolo aiuto in denaro. QUESTI rifugiati mi hanno stupito per il loro benessere esteriore e la loro abilità di stabilire rapidamente le proprie regole.

Rifugiati a Belgrado

Rifugiati a Belgrado

 

Il parco di Belgrado vicino alla stazione dei pullman assomiglia ai tanti parchi di molte città in Europa. Uomini si stanno lavando nelle fontane, intere famiglie dormono sull’erba. Non appena entro nel parco, un gruppo di ragazzi corre verso di me. “Tu non puoi filmare qui” dice uno di loro in un inglese decente, indicando la mia videocamera. “Ah, davvero?” esclamo io opponendo resistenza “Il parco è un posto pubblico, io sono una giornalista e sto facendo il mio lavoro”. “Le nostre donne sono qui!”. “E allora? Le vostre donne sono in hijab e sono coperte dalla testa ai piedi. Se a loro non piacciono gli usi locali, possono tornare indietro. Sapete che Belgrado è la capitale di uno stato Cristiano Ortodosso? E che qui le donne passeggiano con i volti scoperti? Da quante ore siete a Belgrado?”. “Tre giorni” risponde il mio sconcertato oppositore. “E volete già imporre le vostre regole? Questa non è la vostra terra”.

Qui, entrambi abbassiamo i toni e facciamo una tregua. Il nome del mio nuovo amico è Khalid, viene da Damasco ed ha 21 anni. “Io sono un vero siriano” dice orgogliosamente “non come tutti questi altri…” e fa gesti di disprezzo verso la gente che occupa la piazza. “E perché questo è così importante?” io sono sorpresa. “Qui ognuno mente dicendo che viene dalla Siria. Giusto perché ora la Siria va di moda, è su tutti i giornali. A nessuno interessano i rifugiati dall’Iraq, dall’Afganistan, dalla Libia e dalla Tunisia. Ora anche gli afgani si chiamano siriani”.

 

Darya Aslamova con gli immigrati. Questi giovani siriani sognano di arrivar in Germania, perché là tutto è “gratis”

Darya Aslamova con gli immigrati. Questi giovani siriani sognano di arrivar in Germania, perché là tutto è “gratis”

 

Khalid ed i suoi compagni sono scappati dalla Siria per non essere arruolati nell’esercito.

“Perché avrei voluto combattere per Assad? Meglio che vada in Germania”. “Perché non hai chiesto asilo in Grecia, Macedonia o almeno qui in Serbia?”. “Sono tutte nazioni povere e sporche” fa sprezzantemente Khalid con un sorrisetto “Io neanche sapevo che l’Europa fosse così povera. Noi eravamo molto più ricchi in Siria prima della guerra. Solo per arrivare a Belgrado io ho pagato 3.000 dollari ai trasportatori ed alle guide. E per arrivare in Germania ne dovrò sborsare 1.500 di dollari. Io ho i soldi. Potrei pagare un albergo a cinque stelle a Belgrado, ma non ne ho il permesso perché le autorità locali ci danno solo 72 ore di soggiorno nel paese. E la mia registrazione scade oggi. Perfino qui nel parco, io pago per una doccia ed i gabinetti. Ma poi in Germania tutto sarà gratis: educazione, sussidi, case per gli immigrati. È forte! Io voglio iscrivermi alla scuola di Economia. Non appena mi sarò sistemato, porterò là tutta la mia famiglia: due fratelli, il padre, la madre, la nonna e tre sorelle”.

 

Ragazze rifugiate a Belgrado

Ragazze rifugiate a Belgrado

 

Cinque giovani donne carine in hijab si siedono su una panchina nell’ombra sotto un albero esteso, guardate da due uomini feroci. “Salam alaikum” le saluto. “Salve” mi rispondono insieme. Una di loro, chiamata Aisha, assume il ruolo di interprete. Con parole inglese scelte con difficoltà, mi spiega che loro sono siriani di Aleppo e stanno andando in Germania con l’intera famiglia. Sono sulla strada da dieci giorni. In Germania non conoscono nessuno, ma hanno sentito dire che là accettano tutti. Loro hanno il denaro. Il viaggio costerà alla famiglia la bella sommetta di oltre 20.000 dollari. La loro mamma ha il diabete, ma credono che i tedeschi siano obbligati a curarla gratis. Betul, la sposata, mi mostra le croste sulle sue gambe. “Due notti fa abbiano attraversato il confine della Macedonia attraverso i boschi” mi spiega “Te sei bella perché hai la pelle bianca. Io ero bella, prima che il sole mi bruciasse. Qui, guarda.” Betul si arrotola la manica e mostra la linea fra la pelle abbronzata e quella bianca. “Vivrò in Europa e sarò ancora una volta bianca. Al nord c’è meno sole”.

Nei parchi di Belgrado

Nei parchi di Belgrado

 

I rifugiati di Belgrado non assomigliano ai rifugiati siriani, quelli che ho visto in Libano. C’erano storie tragiche, persone che avevano perso tutto e stavano morendo lentamente sotto un sole crudele, in campi affollati, di cui a nessuno importava niente. Quelli che sono arrivati in Europa sono la élite. Con soldi e progetti.

 

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Articolo di Darya Aslamova apparso su FortRuss il 7 settembre 2015

Traduzione in inglese dal russo di Kristina Rus

Traduzione in italiano di Fabio_San per SakerItalia.it

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