Parte 1

Parte 3

Come diventare un rifugiato

La mattina presto, dalla foresta ungherese presso la cittadina di Ashotthalom, un gruppo di persone scure di pelle esce lungo la strada con gli zaini sulle spalle. Tutti quanti hanno attraversato illegalmente il confine la notte scorsa e ora non hanno nulla da temere.Vengono guidati dai GPS dei loro cellulari. Il loro scopo principale è quello di trovare il primo poliziotto che capita e dargli un biglietto con scritto in inglese “Asylum”, se non c’è nessuno nel gruppo che parla inglese. Nel linguaggio ufficiale questo è chiamato “esprimere l’intenzione di richiedere asilo”.

Da questo momento in poi hanno il diritto di rimanere nella nazione per 72 ore. Non solo. Il diritto ad un letto nel centro per i rifugiati, tre pasti gratis al giorno, scarpe e vestiti di seconda mano e biglietti ferroviari gratuiti per viaggiare attraverso l’intero Stato.

Zoltan, un tipo alto e muscoloso in tuta mimetica mi accompagna ad uno degli accampamenti dei profughi. Zoltan appartiene ad un gruppo di volontari ungheresi di orientamento nazionalista (o patriottico) che pattugliano il confine, cercando di prevenire le infiltrazioni dei rifugiati. Ma non è un poliziotto e, di fatto, non ha nessun potere. Ma non invidio i rifugiati che cadono nelle mani della sua organizzazione, nel migliore dei casi vengono rimandati indietro dall’altra parte del confine.

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Profughi provenienti da diverse nazioni si sono opportunamente sistemati in una radura della foresta, sotto la protezione della polizia. Uno di loro, il giovane afgano Ammanula, mi racconta che ha viaggiato per due mesi e mezzo con i suoi amici da Kunduz, attraverso l’Iran e la Turchia, nella speranza di potersi sistemare in Germania. Mi fa vedere delle vesciche ai piedi assai convincenti.

Lì vicino c’è un gruppo di giovani siriani che sembrano dei perfetti europei. Biondi, occhi chiari, inglese perfetto. Con loro c’è una baldanzosa giovane rossa di capelli che fuma una sigaretta dietro l’altra. Come i suoi compagni è una sunnita siriana, ma se ne sta orgogliosa in mezzo alle donne velate. Tutti quanti hanno l’obbiettivo di arrivare in Svezia. Testarossa è preoccupata dal fatto che a tutti loro siano state prese le impronte digitali. “Ho sentito dire che possono riportarci in Ungheria anche se riusciamo a raggiungere la Svezia. Questo è un nuovo accordo fra le nazioni dell’area di Schengen. Devi stare dove ti hanno preso le impronte”. (Ha perfettamente ragione, ma la tranquillizzo dicendo che questo accordo esiste solo sulla carta).

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Un abbronzato sunnita con due bambini proveniente da Idlib, di nome Jamil, mi chiede quando verranno fatti salire sull’autobus e portati ad un centro di accoglienza. E’ estremamente contrariato da questa “disorganizzazione”. E’ difficile credere che quest’uomo abbia attraversato illegalmente il confine la notte scorsa. Si comporta come un passeggero alla fermata delle corriere, contrariato dal fatto che gli autobus non sono in orario. Mi chiede di parlare con i poliziotti. E questi ultimi sono letteralmente sfiniti dal flusso dei rifugiati: “Non abbiamo abbastanza mezzi di trasporto per portarli tutti alla stazione ferroviaria di Szeged. Questa mattina sono partiti sei autobus pieni. Aspettiamo che ritornino per caricare gli altri.”

Benvenuti

Città ungherese di Szeged, stazione ferroviaria. Casetta di legno, dove tutto è pronto per l’accoglienza dei rifugiati da parte dei volontari delle organizzazioni caritatevoli. Acqua, frutta, panini e “Halal chorba” (zuppa di carne). “Perché l’Halal?- chiedo ad una signora bonaria e ben piantata che pulisce il marciapiede di fronte alla casa – I rifugiati, non dovrebbero abituarsi alla vita europea?” “Naturalmente no! – esclama – Potrebbe offendere la loro sensibilità religiosa. Sono così vulnerabili”. Con attenzione scopro che la donna non è sposata, come la maggior parte dei “volontari”, ma trova gioia e ispirazione nel “servire la povera gente”. VIDEO

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Istruzioni per i rifugiati alla stazione ferroviaria di Szeged, Ungheria

Gabinetti da campeggio, docce, ventilatori per rinfrescare, Internet gratis e istruzioni dettagliate su come comportarsi con le autorità, tutto preparato per i rifugiati. Ogni cosa è pulita e scintillante, c’è un vassoio con le mele e i volti dei volontari brillano per il piacere dell’imminente incontro con le “vittime”.

Quello che succede dopo mi offende profondamente. Diversi autobus, pieni zeppi di ragazzi giovani, si fermano alla stazione. Appena scesi cominciano immediatamente a parlare al telefono e a connettersi ad Internet con gli ultimi gadgets tecnologici. Con noncuranza, senza prestare attenzione alle “volontarie”, eccitati e rossi in viso, arraffano bottiglie d’acqua, panini, piatti di minestra. Non dicono neanche “Grazie”! VIDEO

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Volontaria distribuisce bottiglie d’acqua ai rifugiati

“Vecchie pazze. -mi confessa Junet, dal Pakistan – Perché i loro figli o i loro nipoti non le controllano? Perché le lasciano andare liberamente per la strada? Dappertutto, dovunque arriviamo siamo accolti da queste pazze.” Mi sto strozzando dalla rabbia e grido: “Lo fanno per generosità! Per aiutarvi!” Junet sembra un po’ confuso. “Sì, non discuto che siano gentili. Ma dove sono i loro mariti? Ed è dignitoso per delle vecchie stare per la strada alla sera e parlare con uomini giovani? Abbiamo attraversato tutta l’Europa e la gente qui è strana. Abbiamo anche visto ragazze giovani che ci hanno dato i panini. Erano quasi nude e non avevano più di vent’anni. In Pakistan non le sposerebbe nessuno a quell’età. Ma perché tu sei sola? Dov’è tuo marito?”

“A due passi da te, – dico in modo vendicativo,- è il fotografo”.

Junet getta uno sguardo alla imponente figura di mio marito, giornalista croato, e immediatamente cambia tono.

“Così va bene, -approva – Le donne non dovrebbero essere lasciate da sole”. Ma poi protesta: “Solo non fotografarmi, te lo proibisco. Devo attraversare troppi confini. Voglio andare a Londra perché là ci sono un sacco di pakistani. Quando sarò in Inghilterra inviterò le mie due sorelle, non permetterò loro di uscire non accompagnate. Per la più giovane (ha quasi quattordici anni) hanno già trovato in Inghilterra un marito onesto. Sarà  una seconda moglie, ma con un uomo rispettabile”. “Ma in Inghilterra nessuno registrerà questo matrimonio!” – dico risentita. “Non ce n’è bisogno. La cosa più importante per noi è la benedizione di Allah alla moschea. E poi è vantaggioso. Appena arriveranno i figli, per gli inglesi lei sarà una ragazza-madre minorenne. Non hai idea quanti soldi potrà ottenere! E medicine, trasporti, cibo, educazione, tutto gratis. Gli inglesi erano i nostri colonizzatori. Pagheranno per tutto. Inshallah!”

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Articolo di Darya Aslamova pubblicato su FortRuss l’8 settembre 2015
Traduzione in italiano a cura di Mario per Sakeritalia.it

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