L’anno scorso, la decisione della maggioranza degli elettori britannici di uscire dall’Unione Europea, è stata più di una semplice votazione del popolo. La campagna a favore della Brexit è stata promossa e finanziata delle più influenti banche della City di Londra e della Casa Reale inglese. Lungi da essere la fine della Gran Bretagna, la Brexit è molto più probabilmente l’inizio della fine del disastroso esperimento dell’euro come moneta unica.

Dalla crisi finanziaria mondiale del 2008, ben poco di significativo è stato fatto da Bruxelles o dai Governi dei diciannove paesi membri dell’Eurozona per riportare le più grandi banche europee in una situazione di stabilità. Al contrario, anche le rinomate mega banche come la tedesca Deutsche Bank sono sull’orlo della bancarotta.

In Italia la più antica banca del mondo, il Monte dei Paschi di Siena, è appesa al filo del sostegno di Stato. Ma è la punta dell’iceberg dei debiti inesigibili delle banche italiane: oggi le banche italiane hanno un totale di 360 miliardi di euro di “sofferenza”, ovvero il 20% del PIL, il doppio rispetto a cinque anni fa.

E la situazione peggiora. L’Italia è la quarta economia dell’Unione Europea. La sua economia è in pessima forma, quindi i crediti inesigibili delle banche crescono.  Il debito dello Stato è quasi come quello della Grecia, cioè al 135% del PIL. Ora, dalla crisi bancaria di Cipro del 2013, l’Unione Europea ha approvato una nuova legge stringente sul “bail-in”, in gran parte su pressione della Germania. Stabilisce che in caso di una nuova crisi bancaria, non possono essere concessi prestiti  pubblici finché gli obbligazionisti e, se necessario come a Cipro, i suoi correntisti non facciano il bail-in [“salvataggio interno”] cioè si assumino le perdite. In Italia gran parte dei possessori di obbligazioni sono cittadini ordinari, per un valore di circa 200 miliardi, a cui era stato detto che le obbligazioni bancarie erano un investimento sicuro. Non più.

La medicina tedesca per l’austerità  uccide il paziente

Un problema grave è che le economie dell’Eurozona sono state forzate a somministrare la medicine sbagliate per gestire la crisi economica e finanziaria del 2008. La crisi dell’Eurozona è stata erroneamente considerata come conseguenza dell’elevata spesa pubblica e della crescita eccessiva del costo del lavoro. Così, ancora una volta sotto la pressione della Germania, i paesi in crisi dell’Eurozona (come la Grecia), sono stati forzati ad imporre un’austerità draconiana, tagli alle pensioni e ai salari. Il risultato è stato una recessione economica peggiore, crescita della disoccupazione e della sofferenza bancaria. Dal 2008 al 2015 il PIL della Grecia è diminuito di più del 26%, quello della Spagna di quasi il 6%, il Portogallo del 7% e l’Italia di quasi il 10%.

L’austerità non è mai una soluzione per una crisi economica statale. L’esempio della crisi economica che nel 1931 ha portato la Germania alla depressione, alla disoccupazione e alla crisi bancaria come conseguenza delle politiche di austerity del Cancelliere Heinrich Brüning, dovrebbe essere un esempio abbastanza evidente alle autorità tedesche, la cui memoria storica sembra però avere un’amnesia.

In tutta l’Eurozona più di 19 milioni di lavoratori sono senza lavoro. Grecia, Italia, Portogallo e Spagna hanno una disoccupazione mai vista di 11 milioni di disoccupati. In Francia e in Italia la disoccupazione è superiore al 13% della forza lavoro; in Spagna è il 20% e in Grecia ha un inquietante  tasso del 25%.
Questo è lo stato dell’economia più di 8 anni dopo la crisi del 2008. In sintesi: non c’è stata alcuna ripresa economica in Eurolandia. Dal 2009 la Banca Centrale Europea (BCE), la banca dell’euro, ha preso delle misure senza precedenti per tentare di stabilizzare la crisi bancaria. Ha solo rimandato  – non migliorato – la situazione.

Oggi, come conseguenza dell’acquisto di obbligazioni ipotecarie, obbligazioni societarie e titoli garantiti, il bilancio della BCE è superiore a 1.5 trilioni di euro. La Banca Centrale Europea, il cui Presidente è l’italiano Mario Draghi, ha tenuto i tassi di interesse ad un tasso negativo mai visto di circa il -0.4% da giugno 2014. La BCE ha chiarito che l’interesse negativo della banca centrale rimarrà tale “per un po’ di tempo”. Tutto questo sta portando qualcuno a tentare di convincere gli elettori ad andare verso una società “senza contante”, come l’India ha fatto l’anno scorso con conseguenze catastrofiche, e come la Svezia, che non è un paese euro, ha fatto largamente. Se le banche cominciano a far pagare i loro clienti per usare i depositi dei clienti stessi, molte persone penseranno semplicemente “prendi i soldi e scappa” per comprare oro o altri beni rifugio, o tenersi il contante.

Il tasso di interesse negativo della Banca Centrale Europea è segno di disperazione, per usare un eufemismo. Con tassi di interesse sui bond così bassi in tutta l’Eurozona, molte compagnie assicurative stanno avendo gravi problemi di liquidità nell’onorare le obbligazione future, a meno che i tassi di interesse dell’Eurozona non tornino a livelli più normali. Ma se la BCE interrompesse la sua politica di tassi di interesse negativi e il cosiddetto “quantitative easing[in italiano], la crisi del debito di molte banche esploderebbe dalla Grecia all’Italia, alla Francia e anche alla Germania.

Una prossima guerra monetaria?

Quindi, per dirla delicatamente, il debito dell’Eurozona è una bomba ad orologeria, pronta a scoppiare al minimo nuovo shock o crisi. Potremo vedere bene quello shock nei prossimi due anni, cioè appena la Gran Bretagna avrà completato la sua uscita dall’Unione Europea.
La nuova amministrazione di Donald Trump a Washington ha già segnalato un potenziale inizio di una guerra monetaria contro l’Euro. Il 31 gennaio lo zar del Consiglio per lo Sviluppo economico, Peter Navarro, ha accusato la Germania di utilizzare una “esagerata svalutazione dell’euro per sfruttare” gli Stati Uniti e i partner europei della Germania. Navarro ha aggiunto che la Germania, il fulcro delle economie dell’Eurozona, de facto fa speculazione valutaria. Navarro ha affermato che “mentre l’euro fluttua liberamente sui mercati valutari internazionali, questo sistema fa abbassare la moneta tedesca del valore che avrebbe se il marco esistesse ancora”.

La Gran Bretagna, con le ampie risorse finanziarie della City di Londra, una volta libera dalle catene dell’Unione Europea, potrebbe benissimo allearsi con Washington per una guerra monetaria segreta e su larga scala per svalutare l’euro, cosa che potrebbe avere conseguenze devastanti per le economie dell’Eurozona. La sterlina inglese è la terza valuta di pagamento più utilizzata al mondo, dopo il dollaro e l’euro.
Se la Gran Bretagna, libera dai vincoli della UE, può abbassare il valore dell’euro, la sterlina potrebbe diventare la maggiore beneficiaria di una guerra valutaria, con Londra e Washington dalla stessa parte contro la fragile Eurozona, con i vari problemi dell’Italia, della Grecia e della Spagna.
La premier inglese Theresa May sta già dialogando con l’amministrazione Trump per un possibile accordo commerciale bilaterale tra Stati Uniti e Regno Unito, e alcuni circoli influenti inglesi stanno dicendo di invitare gli Stati Uniti a diventare un membro associato del Commonwealth.
Per il dollaro americano e le banche di Wall Street danneggiare il rivale del dollaro come valuta di riserva della banca centrale, è una grande tentazione. Ora con la Gran Bretagna e la City di Londra presto libere dai vincoli europei,  la tentazione potrebbe diventare una realtà.

Tutto questo a causa della natura disfunzionale dell’intero progetto dell’Eurozona, una valuta sovranazionale senza alcun organo di controllo eletto democraticamente per controllare gli abusi. La dimezzata sovranità nazionale introdotta dal Trattato di Maastricht con il Sistema Monetario Europeo degli anni ’90, ha lasciato l’Unione Europea nella peggiore congiuntura in caso di crisi futura.

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Articolo di F. William Engdahl pubblicato da New Eastern Outlook il 20 aprile 2017.
Traduzione in Italiano a cura di Elvia per SakerItalia.it

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