Il Generale Ratko Mladić, ora 75enne, è stato condannato la settimana scorsa al carcere a vita dal tribunale illegale della NATO, noto come Tribunale Penale Internazionale per l’Ex-Jugoslavia (ICTY). Vale la pena ricordare qui che, proprio come il Presidente Serbo-Bosniaco Radovan Karadžić e il Presidente serbo Slobodan Milošević, Mladić è stato arrestato e consegnato ai suoi tormentatori della NATO dalle autorità serbe. Questo ci dice tutto ciò di cui abbiamo bisogno per conoscere l’attuale status coloniale della Serbia e la natura compradora del regime al potere a Belgrado.
Per l’Impero Anglo-Sionista, si tratta solo di umiliare la nazione che ha osato sfidarla. Perché, non fatevi ingannare, questo è il vero peccato imperdonabile di cui i serbi sono veramente colpevoli e per il quale ora vengono umiliati: hanno osato sfidare l’Impero Anglo-Sionista e lo hanno fatto da soli, senza alcun sostegno significativo dalla Russia. Di fatto, solo i serbi di Bosnia hanno osato sfidare gli Stati Uniti, l’UE e la NATO non solo senza il sostegno della Russia, ma anche senza il sostegno delle autorità jugoslave di Belgrado (Slobodan Milošević ha imposto sanzioni ai suoi fratelli serbi in Bosnia!). In tal modo i serbi di Bosnia hanno mostrato al mondo un livello di coraggio che il tipico europeo moderno non può neppure iniziare ad immaginare, e mai comprendere. Allo stesso modo, la guerra in Bosnia è stata in gran parte fraintesa, e ora è quasi dimenticata. Tuttavia, direi che questa guerra ha avuto un ruolo assolutamente cruciale nel plasmare i decenni successivi. Quindi ricordiamo alcune cose che sono successe a quell’epoca.
Prima di tutto, questo è stato un caso di monumentale e strabiliante ipocrisia, tradimento e vigliaccheria. Ipocrisia perché ai serbi venne dato un unico Comandamento, “tu non secederai”, mentre agli sloveni, ai croati, ai Musulmani bosniaci e, in seguito, agli albanesi venne dato il comando esattamente opposto: “tu secederai”, trasformando i confini amministrativi in confini nazionali. Tradimento perché la Jugoslavia era membro fondatore del Movimento dei Paesi non Allineati, ma tutti i presunti non allineati si allinearono completamente con l’Impero e contro la Jugoslavia. E vigliaccheria perché nessuno, non un solo paese, ebbe il coraggio di dire la verità sulla storia del genocidio dei serbi durante la Seconda Guerra Mondiale in Croazia e Bosnia, producendo allo stesso tempo tsunami di lacrime di coccodrillo per la Cambogia, il Ruanda e, naturalmente, l’obbligatorio “Olocausto”. Tutti guardarono altrove, e quelli che ieri si erano impegnati in atti di indicibile atrocità (in particolare croati e tedeschi) dissero “generosamente” alle loro vittime serbe che il passato era il passato e che la storia non aveva importanza. E quando alla fine il diritto internazionale venne violato apertamente e brutalmente, con le “democrazie occidentali” che usarono la loro forza aerea per sostenere i terroristi e i teppisti dell’UÇK, non un solo avvocato o politico ebbe il cervello per rendersi conto che ciò che morì il giorno in cui cadde la prima bomba sulla Serbia fu l’intero ordine internazionale creato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per me è difficile immaginare un comportamento più vergognoso e disgustoso da parte di tutti i paesi europei, che non solo non difesero uno di loro, ma assistettero perfino con entusiasmo gli Anglo-Sionisti nella loro feroce e vergognosa guerra contro il popolo serbo.
Davvero, in quella guerra tutti i possibili sporchi trucchi vennero utilizzati contro i serbi: attacchi sotto falsa bandiera, finti genocidi, operazioni segrete illegali per armare gruppi terroristici, consegne segrete di armi ad entità ufficialmente sottoposte ad embargo, attacchi deliberati contro i civili, uso di armi illegali, uso di “zone demilitarizzate” per nascondere interi corpi d’armata (equipaggiati di tutto punto) – qualsiasi cosa: se era disgustosa, è stata usata contro il popolo serbo. Perfino gli attacchi deliberati contro l’altrimenti sacrosanta professione giornalistica erano considerati del tutto normali fin quando i giornalisti erano serbi. Per quanto riguarda i serbi, vennero, ovviamente, demonizzati. Milošević divenne il “Nuovo Hitler” (insieme a Saddam Hussein) e quei serbi che presero le armi per difendere la loro terra e le loro famiglie divennero Cetnici genocidi.
Uno dei peggiori aspetti della guerra fu il comportamento assolutamente vergognoso delle nazioni e delle comunità musulmane di tutto il mondo: tutti sostenevano i loro presunti “fratelli” in Bosnia, anche se questi ultimi erano: 1) utili idioti per l’Impero 2) per lo più laici e 3) quando religiosi erano del tipo “Wahhabita saudita” importato (proprio come in Cecenia, insomma). Invece di cercare di dare un senso a ciò che stava realmente accadendo, la stragrande maggioranza dei musulmani di tutto il mondo reagì in una maniera istintiva, che io chiamo “giusto o sbagliato – è la mia Umma!”, perfino gli iraniani caddero nella trappola Anglo-Sionista. I Musulmani di tutto il mondo vennero gabbati dall’Impero solo per trovarsi esattamente nella stessa situazione dei serbi solo un decennio dopo. Alcuni direbbero che questa è solo giustizia karmica, ma non mi rallegro di ciò, dato che i musulmani che finirono col subire le politiche dell’Impero furono in larga maggioranza vittime innocenti, diversamente da quei politici che si allearono con i moderni Crociati e gli ebrei contro i loro vicini ortodossi. Oggi il (finto) “genocidio” dei bosniaci musulmani da parte dei serbi e, in particolare, il mito di Srebrenica, vengono ancora utilizzati dall’Impero per cercare di dividere cristiani ortodossi e musulmani per dominarli meglio o, meglio ancora, lasciare che si combattano l’un l’altro.
Sì, tutte le guerre anti-musulmane contro il terrore dopo l’11 settembre hanno le loro radici metodologiche in Croazia, Bosnia e Kosovo. Verrà un giorno in cui i musulmani arriveranno a comprendere questo fatto e rivaluteranno poi ciò che pensavano di sapere sulle guerre in Bosnia e in Kosovo.
Oggi gli stessi ipocriti occidentali che piagnucolano dell’“occupazione russa della Crimea” dimenticano che lì è stato organizzato un referendum in cui il 96,77% della popolazione ha votato per unirsi alla Russia. O, quando lo menzionano, dicono che era illegale perché la gente doveva votare “col fucile puntato”. Ma ciò che non viene mai menzionato è che in Kosovo non si è mai tenuto alcun referendum, nemmeno dopo la completa pulizia etnica del Kosovo (il più grande bugiardo di tutti, Obama, ha perfino detto [in inglese] che il Kosovo ha lasciato la Serbia solo dopo un referendum!).
[Nota a margine: mi rendo conto che nei paragrafi precedenti ho usato parole che non vengono normalmente utilizzate nelle analisi politiche. Parole come “ipocrisia”, “tradimento”, “vigliaccheria”, “vergognoso”, “disgustoso” o “scandaloso” di solito vengono viste come troppo di parte, troppo emotive e non oggettive o neutrali. Bene, proclamerò *orgogliosamente* la mia posizione totalmente non neutrale su questa guerra assolutamente disgustosa e immorale contro la nazione serba. Come possiamo sperare di apportare un cambiamento al disgustoso mondo in cui viviamo se non usiamo categorie morali e se rifiutiamo di mostrare indignazione quando l’indignazione è giustificata? Proprio come Kennedy dichiarò di essere un berlinese, e decine di migliaia di droni telespettatori vittime di lavaggio del cervello dichiararono di “essere Charlie”, con la presente mi dichiaro un orgoglioso e impenitente serbo di Bosnia Cetnico! Sulla questione della nazione serba non ho e non voglio nessuna “neutralità”, punto!]
C’è un altro evento che è stato in gran parte dimenticato da allora, ma che ora viene visto come uno spartiacque: il 24 marzo 1999 il primo ministro russo Evgenij Primakov era in viaggio per Washington D.C. quando seppe che gli Stati Uniti e la NATO avevano attaccato la Jugoslavia. Primakov quindi ordinò al suo pilota di fare un’inversione ad U sull’Oceano Atlantico e tornare in Russia. Primakov, scomparso nel 2015, era uno statista e un diplomatico molto rispettato, e lo è ancora oggi. La sua inversione a U sull’Atlantico passerà alla storia come il primo segnale della resistenza russa all’Impero. Si potrebbe dire che l’inversione di marcia di Primakov segnò la fine di un’epoca in cui la Russia nutriva ancora delle ingenue speranze che i suoi partner occidentali non fossero gangster e teppisti. Un’altra cosa: Primakov era *esattamente* il tipo di attore dello Stato Profondo russo che avrebbe potuto svolgere un ruolo chiave nel processo di successione a Eltsin. Un giorno potremmo scoprire che il linciaggio della nazione serba da parte dell’Occidente ha giocato un ruolo cruciale nel portare Vladimir Putin al potere. Anche quella sarebbe giustizia karmica.
Infine, l’aggressione USA/NATO contro la Jugoslavia mostrò i limiti degli attacchi aerei e con missili da crociera contro un avversario ben trincerato: 78 giorni di missili e bombardamenti ferirono, mutilarono e uccisero molti civili, ma il corpo d’armata serbo in Kosovo rimase sostanzialmente intatto. Questo è il motivo per cui i bombardamenti aerei dovettero essere “allargati” a tutta la Jugoslavia per terrorizzare i civili, proprio come fecero gli inglesi nella Seconda Guerra Mondiale contro la Germania, o come fecero gli israeliani contro il Libano nel 2006. Ma ciò che decise il risultato non fu l’uso della forza aerea della NATO, ma un semplice e cinico accordo fatto tra Milošević e l’Impero: se avesse accettato di consegnare il Kosovo gli sarebbe stato permesso di rimanere al potere. Milošević accettò solo per poi ritrovarsi assassinato a L’Aia. Ecco cosa ottieni ad affidare il tuo futuro all’Impero…
Guardando indietro, si verrebbe perdonati per aver supposto che il popolo serbo sia stato totalmente umiliato e che il loro spirito di resistenza sia stato spezzato. E, in una certa misura, questo è senza dubbio vero oggi, da cui l’esistenza di movimenti politici filo-europei e filo-atlantisti in Serbia. Ma questi esistono solo perché l’Impero li sta finanziando e mantenendo (per esempio, i media serbi sono totalmente controllati dall’Impero). Ma lasciatemi suggerire il seguente esperimento mentale.
Immaginate per un minuto che per qualche ragione l’Impero sia crollato. Niente più NATO e probabilmente niente più UE. O forse solo un po’ di NATO e solo un po’ di Unione Europea, nonostante tutto. Ma, soprattutto, niente Camp Bondsteel [in inglese]. Cosa pensate che succederebbe?
Probabilmente non vale la pena combattere per i serbi di Croazia, vittime di pulizia etnica. Se tu fossi serbo, vorresti che i croati fossero i tuoi vicini? Sarebbe saggio rischiare la vita e la famiglia vivendo in alcune piccole enclavi fondamentalmente indifendibili, circondate da persone che hanno dimostrato più e più volte che, se ne avessero la possibilità, proverebbero a convertire 1/3 di voi, espellere un altro 1/3 e uccidere il restante 1/3? [in inglese] Naturalmente molti croati sono persone meravigliose e gentili che non vogliono avere niente a che fare con quel tipo di politica degli Ustascia, ma questi croati buoni non hanno fatto alcuna differenza, non nella Seconda Guerra Mondiale e non nell’ultima guerra Anglo-Sionista contro la nazione serba. Se fossi un serbo non penseresti mai di tornare nella Krajina: il rischio è semplicemente troppo grande.
La Bosnia è una storia molto diversa. I poveri bosniaci musulmani sono stati usati come strumento e con il tempo inevitabilmente si renderanno conto che in quella guerra si sono schierati con la parte sbagliata. Quindi c’è ancora speranza per la Bosnia, nonostante tutto. Inoltre, i serbi di Bosnia sono ancora i vincitori in questa guerra. Sì, hanno dovuto accettare un cattivo accordo perché stavano fondamentalmente combattendo l’intero pianeta da soli, ma si potrebbe anche dire che il loro coraggio ha costretto gli Anglo-Sionisti ad accettare l’esistenza di una Repubblica Serba in Bosnia, qualcosa che non volevano. Ho incontrato un numero sufficiente di serbi di Bosnia, e posso dire che si tratta di persone estremamente forti e coraggiose, e che non appena la NATO collasserà, cosa che avverrà, saranno facilmente in grado di stabilire i termini della loro futura convivenza con i bosniaci musulmani e i croati. Quando ciò accadrà, spero che la Russia promuoverà attivamente il suo “esempio ceceno” e metterà abbastanza pressione sui serbi di Bosnia perché agiscano con decenza e moderazione contro i loro ex nemici. Considerando che c’è, purtroppo, un innegabile nucleo di verità nell’accusa che i serbi di Bosnia commisero atrocità contro i civili durante la guerra, anche se non nei numeri rivendicati dalla propaganda Anglo-Sionista, la mia sensazione è che i serbi di Bosnia agiranno con moderazione e in modo onorevole.
Ma il Kosovo? Il luogo in cui centinaia di chiese e monasteri Ortodossi sono stati distrutti, e migliaia di serbi assassinati (mentre la NATO guardava e non faceva assolutamente *nulla* per fermare queste atrocità!)?

Mappa dei monasteri e delle chiese Ortodosse presenti in Kosovo. Si noti l’ampia prevalenza dei simboli bicolori, che stanno ad indicare un edificio sacro Cristiano distrutto o in rovina.
Diciamo che se oggi avessi un amico albanese che vive in Kosovo, lo esorterei fortemente ad andarsene, finché ancora in grado di farlo. Il Kosovo sarà il primo posto in Europa dove il pendolo della storia invertirà il suo corso attuale. Semplicemente, i serbi non accetteranno mai il furto della loro terra ancestrale e culla spirituale da parte di una combinazione di gangster albanesi e aeronautiche occidentali. Né dovrebbero. Un Kosovo occupato dagli albanesi (alias “indipendente”), è una finzione che può essere mantenuta solo dall’Impero Anglo-Sionista – non appena i suoi carri armati se ne andranno, il Kosovo verrà liberato.

Il Kosovo Ortodosso oggi.
In questo momento la nazione serba è stata fatta a pezzi, e lo slogan “solo l’unità può salvare il popolo serbo” [in inglese] si è dimostrato vero. In questo momento il popolo serbo sopravvive a malapena, e la sua unità è a brandelli. Persino la Chiesa ufficiale serba è controllata da vescovi ecumenisti filo-occidentali che si affidano alle autorità civili per perseguitare illegalmente quei vescovi che rifiutano di inchinarsi al Nuovo Ordine Mondiale, come il Vescovo Artemio di Ras e Prizren [in inglese].
Nella loro lunga e spesso tragica storia i serbi sono sopravvissuti a molto peggio, e non credo neanche per un secondo che l’attuale incubo estinguerà l’identità nazionale serba. In effetti credo che il popolo serbo si riunirà (il Montenegro o la Bosnia sono per la Serbia quello che più o meno l’Ucraina o la Bielorussia sarebbero per la Russia) e quando ciò accadrà tutti quelli che hanno partecipato al linciaggio Anglo-Sionista contro la Serbia si vergogneranno troppo di sé stessi per guardare negli occhi il popolo serbo.
Oggi l’Impero celebra l’apparente vittoria del tribunale illegale dell’Aia. Ma dimentica che la moderna identità nazionale serba è nata da una sconfitta molto più grande, subita, a proposito, poche miglia a nordovest della cosiddetta “capitale” del Kosovo “indipendente”, Pristina, nel luogo chiamato Piana dei Merli [Kosovo Polje]. Sì, la Serbia moderna è nata da un’enorme sconfitta! Quelli che oggi si rallegrano della loro vittoria contro i serbi dovrebbero meditare su questo fatto.
Nel frattempo l’Impero è ancora nel business dell’umiliazione, la sua ultima vittima è il Comitato Olimpico Russo e, cosa più rilevante, tutti gli atleti russi e, ancor più rilevante, tutti i russi. Questo fa parte del gioco, e sarebbe ingenuo aspettarsi qualcos’altro dal tipo di ordine mondiale internazionale che è nato nel giorno in cui l’Impero ha attaccato la Serbia. Nel futuro prossimo l’ipocrisia, il tradimento e la codardia rimarranno all’ordine del giorno, anche se simili anti-valori non possono costruire nulla. L’ipocrisia, il tradimento e la vigliaccheria sono anche infinitamente poco stimolanti, quindi portano con sé i semi della loro stessa fine. Quindi, la liberazione del Kosovo non sarà solo politica, ma soprattutto morale e spirituale. In un mondo dominato e perfino modellato dall’ipocrisia, dal tradimento, dalla vigliaccheria e, soprattutto, dalle menzogne, il Kosovo non può essere liberato. Direi che noi, tutti noi, non dovremmo *meritarci* un Kosovo libero fin quando permetteremo al male di governare il mondo come fa oggi. Ma so anche che le menzogne, o persino la morte, non possono sconfiggere la Verità e che il Kosovo sarà liberato.

Lo striscione recita, in serbo, “Russi e serbi, fratelli da secoli!”
AGGIORNAMENTO DEL SAKER:
Oh, ragazzi, ci sono già degli albanesi e dei croati che si lamentano perché io non saprei di cosa sto parlando, perché sono uno straniero, o perché non sono neutrale. Ho risposto a due di loro, e basta così. Non sprecherò più il mio tempo e le mie energie con loro. Se volete sapere qual è il “loro” punto di vista vi basterà leggere il 99.999999999999999999999999999% di quello che è stato scritto su questo argomento nei decenni passati dalla macchina propagandistica Anglo-Sionista. Questo è il “loro” punto di vista.
Il mio obiettivo era dirvi la verità come l’ho vista e come la ricordavo. Le dispute con i protetti di Camp Bondsteel o con i simpatizzanti degli Ustascia semplicemente non fanno parte del mio programma. Che Dio e la storia siano i loro giudici!
Cordiali saluti,
Il Saker
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Pubblicato su The Saker.is l’8 dicembre 2017.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
che uno spiraglio di luce penetri nelle menti dei succubi della propaganda nazisionista è molto difficile, ma noi non disperiamo!
bravo,bravo , bravo aver,finalmente nominato “il male della serbia”: l’ecumenismo!!!!!
e di aver dato “giustizia” al vescovo Artemie!
GIUSTIZIA PER I SERBI E PER LA JUGOSLAVIA!
Con la Jugoslavia abbiamo un debito di triplice natura. Morale, per averne permesso l’aggressione. Materiale, per le devastazioni che questa ha provocato. Politico, perché la sua resistenza ci costringe a interrogarci sul nostro futuro.
Il conflitto in Jugoslavia dura da più di dieci anni, è il più lungo tra quelli vissuti dai suoi popoli nel secolo attuale, più ancora della Seconda Guerra Mondiale, e il più devastante. Già prima dei raid della NATO ne aveva causato la disgregazione, e insieme la distruzione del tessuto sociale ed economico, con un alto numero di morti e feriti, centinaia di migliaia di rifugiati e la presenza di truppe straniere sul territorio.
Tutto questo tra l’indifferenza dell’opinione pubblica, grazie anche agli intellettuali, ai giornalisti e agli esponenti del mondo politico. Con rare e coraggiose eccezioni infatti, in questi anni hanno tutti condiviso, approvato o ripetuto una serie di luoghi comuni talvolta falsi, ingannevoli o fuorvianti, facendo accettare al pubblico una spiegazione tanto semplificata da essere al limite del caricaturale e del grottesco per una delle situazioni più complesse, ma nello stesso tempo meglio studiate, della storia. La Jugoslavia ha potuto così essere isolata, dimezzata e strangolata, poi attaccata per il colpo di grazia, e chi ha tentato di preservarla è stato caricato della responsabilità della sua rovina.
Dopo i raid della Nato la natura dell’intervento è divenuta più chiara, e indifendibile. Proprio l’enormità delle dimensioni dell’aggressione, e la sua gratuita ferocia, hanno reso evidenti alcune realtà che non si possono più ignorare. Prima di tutto, l’attacco portato per più di 70 giorni contro la Jugoslavia non può essere definito guerra, nel significato da sempre attribuito a questo termine. Si è trattato di una mostruosa operazione di polizia coloniale condotta con gli strumenti messi a punto dall’Occidente in vista del conflitto nucleare contro la superpotenza sovietica, un avversario in grado per lo meno di difendersi. In questo caso invece l’enorme apparato aereo, satellitare, navale e terrestre allestito per il conflitto nucleare è stato usato per scaricare una potenza di fuoco sproporzionata contro un paese di piccole dimensioni e dotato di una struttura militare destinata a una resistenza sul proprio territorio di tipo partigiano, e che non ha mai avuto la possibilità di contrattaccare su questo piano, né lontanamente di difendersi.
Ciò conferma la scelta americana di applicare sistematicamente la “filosofia del bombardamento” elaborata alla fine del secondo conflitto mondiale e che conobbe l’apoteosi coi bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki. Questi costituirono un monito verso i popoli colonizzati, nel momento in cui a scala mondiale si avviava il processo di decolonizzazione.
Ripresa nel 1986 contro la Libia, tale concezione è stata sperimentata nel 1989 contro Panama, con una totale assenza di reazioni, quindi portata alle estreme conseguenze contro l’Irak, il cui territorio è stato poi posto “sotto tutela”. Mentre l’Occidente si proclamava vincitore della Guerra Fredda, anche questa seconda Hiroshima ha costituito un messaggio terroristico e intimidatorio esteso ben al di là dei confini del paese colpito.
Forse nel 1991 qualcuno è stato sorpreso dalla natura dell’attacco contro l’Irak. Oggi proprio il precedente irakeno avrebbe dovuto mettere in guardia. Nessuno poteva più ignorare la ferocia che gli Stati Uniti avrebbero impiegato, e il rifiuto della copertura formale del pur docile strumento dell’ONU denunciava l’intenzione di agire con una libertà ancora più ampia di quella usata per incenerire l’Irak.
Un’azione militare compiuta in queste condizioni corrisponde all’esecuzione di una sentenza capitale collettiva, o a una punizione collettiva estesa alla popolazione civile di un territorio ribelle, in altre parole al concetto di responsabilità collettiva e di rappresaglia estesa a un intero paese.
È stato già dimostrato che lo scatenamento di questa guerra ha violato lo Statuto dell’ONU e della NATO e la Costituzione di molti paesi aggressori, tra cui certamente quella italiana. Per superare questa contraddizione qualche commentatore ha teorizzato l’esistenza di una élite di paesi che, in virtù delle loro doti democratiche, avrebbero la prerogativa di radere al suolo i perturbatori dell’ordine mondiale.
Ma non si può chiedere ai figli delle democrazie di morire per i valori a cui sostengono di ispirarsi, quindi è necessario impiegare mezzi bellici che permettano di sterminare i popoli recalcitranti senza farsi male! Di qui la scelta della guerra “celeste” (con eventuale uso di ascari, contras, o picciotti, sul terreno), per conseguire la vittoria attraverso la sola potenza aerea, in cui gli “errori di bersaglio” sono conseguenze fatali. Col passare dei giorni la mancanza di un obiettivo militare definito ha reso palese come lo scopo ricercato fosse proprio portare alla disperazione e alla rivolta la popolazione civile. Quindi, la popolazione civile era il vero obiettivo. Non abbiamo preso parte cioè a una guerra “classica”, durante la quale possono avvenire episodi definibili crimini di guerra. Proprio per la sua natura e per il fatto che questa è discesa da scelte consapevoli dei vertici politici, questa nuova guerra, nel suo insieme, ha costituito un unico crimine contro l’umanità.
I popoli della Terra non hanno mai affidato ad alcuna autorità mondiale il potere di applicare senza processo sentenze capitali collettive colpendo a caso individui privi di difesa, ovvero rappresaglie su intere nazioni. Solo un condizionamento delle menti senza precedenti può far accettare l’ipotesi dell’attribuzione di un tale potere divino a qualsiasi entità sovranazionale, gruppo di Stati o di individui o singolo Stato. Che un simile potere di legislatore, gendarme, giudice e boia in nome della difesa dei “diritti umani” sia stato assunto dal paese più potente della Terra che in questo campo vanta impunemente una “fedina penale” senza paragoni come spessore e gravità, prima ancora che inaccettabile appare quasi incredibile.
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Se resistere a questa concezione del mondo difendendo la propria sovranità corrisponde all’accusa di “nazionalismo”, si spiega l’accanimento contro Serbi e Jugoslavi. Qual è infatti la colpa che si contesta a questi popoli, e al loro paese? Questo è il nocciolo della questione. Bisogna avere il coraggio di mettere in discussione la costruzione di falsità e luoghi comuni che ha permesso di nascondere la realtà del conflitto balcanico. Secondo uno dei più radicati tra questi luoghi comuni, le guerre jugoslave sarebbero state il frutto di dinamiche interne. I Serbi in particolare, per motivi anacronistici e poco chiari, ma che dimostrano la loro inferiorità culturale, avrebbero riattizzato antichi odi legati a vicende mitiche. L’Occidente avrebbe avuto una sola colpa: non essere intervenuto prima a separare queste orde di selvaggi, per educarle al superiore ordine democratico. Questo ritardo sarebbe dipeso dal fatto, ci è stato ripetuto, che i Balcani non presentano alcun interesse strategico, né per quel che concerne materie prime o risorse. Fino a che la crisi balcanica ha mantenuto il carattere di conflitto di bassa intensità, queste spiegazioni sono bastate.
Naturalmente erano false. Quando sono cominciati i raid, tutto è cambiato: chiamati a giustificare la sproporzione dei mezzi bellici impiegati, da un giorno all’altro portavoce governativi e giornalisti hanno spiegato con una chiarezza più simile al cinismo le reali poste in gioco legate al controllo della regione balcanica, per il suo notorio valore strategico divenuto essenziale con la crisi dell’URSS e per l’accesso alle risorse energetiche del Caucaso. Il fatto che in quel punto del mondo si stia giocando una delle più fondamentali partite politiche militari e strategiche viene di colpo illustrato con abbondanza di dettagli dagli stessi che hanno ripetuto senza problemi l’esatto opposto.
Anche il ruolo attivo giocato fin dal primo momento dai paesi occidentali, insieme o in contrasto tra loro, è ora ammesso esplicitamente. Ma i commentatori non sembrano turbati dal fatto che questo modo di illustrare le cose sia in radicale contraddizione con le precedenti spiegazioni, e soprattutto con le attribuzioni di responsabilità che ne conseguono.
Si assiste invece a una sorta di doppio salto mortale logico: tutti ora citano le cause politiche, militari e geostrategiche della contesa, ma nello stesso tempo continuano a bollare come responsabili di tutto i Serbi e gli Jugoslavi, usando nei loro confronti gli stessi epiteti e stereotipi. Nonostante le nuove raffinate spiegazioni strategiche e geopolitiche, l’origine di tutto continua a essere il “nazionalismo espansionista” serbo volto alla creazione della “Grande Serbia”, e un oscuro burocrate montenegrino, Slobodan Milosevic, l’astuto artefice di questo piano.
Quello che gli esperti non spiegano però è perché i dirigenti serbi avrebbero dovuto distruggere la Jugoslavia per fare la Grande Serbia, perseverando nel loro machiavellico piano nonostante questo abbia portato gradatamente non alla Grande Serbia ma alla piccola Jugoslavia, quasi priva di sbocco al mare, dimezzata nel territorio, con metà della popolazione profuga, colpita da blocchi ed embarghi economici, e ora semidistrutta!
In realtà nel corso della loro storia i Serbi hanno avuto per due volte l’occasione di realizzare la cosiddetta “Grande Serbia”, ma vi hanno rinunciato. La prima volta nel 1918, al termine della Prima Guerra Mondiale. Col crollo degli imperi zarista austro-ungarico e ottomano si pose il problema dei confini dei nuovi Stati indipendenti, che si presentava straordinariamente intricato proprio nei Balcani, e in particolare nello spazio jugoslavo, dove i popoli, allora come oggi, vivevano mescolati e frammentati come in un mosaico sul territorio, privi della possibilità materiale di creare entità politiche distinte. Fin da allora l’ipotesi di Stati nazionali su base “etnica” era impraticabile. Invece, la soluzione dell’unione di tutti gli Jugoslavi, o Slavi del Sud – tra i quali non esisteva il preteso “odio secolare”, e che avevano in comune origine e cultura – cioè la soluzione jugoslava, che si iscriveva nella tradizione di “nazione” derivante dalla Rivoluzione Francese, era un’ipotesi assolutamente logica. E data la storia dei Serbi, maggioranza della popolazione sparpagliata sul territorio e non concentrata in un’area distinta e separabile, “questione serba” e “questione jugoslava” finivano col coincidere
Anche nel 1945 i Serbi ebbero l’occasione di costruire un’entità statale serba separata, e non avrebbero potuto esserne esclusi i territori storicamente serbi di Croazia e di Bosnia. Ma una nuova Jugoslavia apparve ancora la soluzione più ragionevole. Durante la tremenda tragedia rappresentata qui dalla Seconda Guerra Mondiale era stata l’unione tra le diverse componenti, perseguita dai partigiani di sinistra, a permettere di sconfiggere l’aggressione esterna, e solo la collaborazione tra i popoli aveva potuto garantire l’indipendenza di ciascuno. La vittoria della Resistenza di sinistra portò ancora alla scelta di uno Stato che riunisse tutti gli Slavi del Sud, escogitando una serie di bilanciamenti, in modo che nessuna componente predominasse. Essendo i Serbi la maggioranza della popolazione, alcune di queste scelte penalizzavano proprio loro, ma dopo le tragedie vissute nelle guerre mondiali, in cambio di questo quadro territoriale che garantiva i diritti di tutti la componente serba accettò più di un compromesso. Per esempio le frontiere attribuire alle repubbliche costitutive della Federazione non furono disegnate seguendo criteri demografici o storici. Lasciavano i Serbi divisi tra 5 repubbliche, e non sarebbero certo state accettate se fosse esistita l’ipotesi che divenissero confini di Stati distinti. Ma si trattava di delimitazioni interne, e nell’ambito della Federazione i Serbi si sentivano forti della garanzia rappresentata per tutti dalla sua Costituzione.
La Jugoslavia socialista ha costituito un laboratorio singolare, che ha sperimentato soluzioni originali per problemi storici, sociali e politici complessi, come la struttura federale, l’autogestione, la difesa totale, il non- allineamento. Nessuno può sostenere che la Federazione non fosse garantista riguardo a diritti e autonomie delle sue componenti, nazionali, linguistiche e religiose (c’è chi ha giudicato eccessiva la preoccupazione per questi equilibri, che coi tanti matrimoni cosiddetti “misti”, l’evoluzione culturale comune e il normale rimescolamento della popolazione all’interno di un paese poco esteso e aperto al mondo rischiavano di perpetuare differenze più teoriche che reali).
Uno dei problemi attorno a cui ha ruotato la storia della seconda Jugoslavia è stato la ricerca continua
Pag.2 dell’equilibrio tra le autonomie crescenti attribuite alle componenti e ai territori e la sopravvivenza e il funzionamento della struttura federale. Ciò ha comportato una serie di rettifiche, ora in un senso ora nell’altro, della Costituzione, legittime da parte di un paese sovrano, introdotte nel rispetto del suo ordinamento, e non imposte da un singolo
dirigente, fosse questo Tito o Milosevic.
In questa vicenda le menzogne hanno costituito una vera arma di guerra, e la più tragica è quella che indica i
Serbi come iniziatori del conflitto per separare il paese su base etnica. In realtà questo è ciò a cui i Serbi si sono opposti, per convinzione e per convenienza, mentre è stato l’obiettivo dichiarato, e realizzato con la benedizione dell’Europa, dai dirigenti Sloveni e Croati fautori delle secessioni che hanno fatto esplodere il paese. In realtà queste sono state secessioni “economiche”, apparse convenienti quando si è profilato il miraggio del nuovo mercato europeo. Ciò ha comportato insieme una scelta di campo politica, nel momento in cui, col crollo del blocco dell’Est, tutto ciò che era legato a concezioni socialiste appariva destinato a soccombere.
Non c’è lo spazio per impostare qui un dibattito sulla natura socialista della Jugoslavia. Tra le esperienze, difficilmente paragonabili, dei paesi che in questo secolo si sono dati l’obiettivo di creare una società socialista, quella jugoslava è stata atipica e senza dubbio autonoma e autentica. Nei meccanismi stessi dell’autogestione combinata con le accentuate autonomie si nascondeva probabilmente il pericolo del consolidarsi di interessi locali e particolarismi. Questa stessa concezione ha reso però più difficile anche un passaggio in blocco della proprietà dalle mani collettive a quelle private, e ha facilitato una resistenza da parte delle masse popolari delle regioni meno ricche, in difesa delle loro conquiste sociali e del loro livello di vita. Per quanto “annacquato” però, evidentemente il socialismo jugoslavo era inaccettabile per l’Occidente ansioso di inglobare i Balcani nell’ambito della propria economia, e per le repubbliche più ricche.
Furono appunto i dirigenti sloveni e croati a presentare una volontà di secessione economica della parte più prospera del paese come un problema di “autodeterminazione dei popoli” giovani e democratici oppressi dal dominio centralista serbo, nazionalista e comunista. Lo spettro della lacerazione si ripresentò così agli Jugoslavi, con le repubbliche privilegiate del nord che si gettarono con slancio in direzione del ricco mercato europeo nascente. Non c’era solo la volontà di smarcarsi dalle componenti meno inclini a un’adesione al mercato, ma anche quella di presentarsi all’Europa senza il peso costituito delle regioni più arretrate, come il Kossovo. Le repubbliche meridionali meno ricche, in particolare la Serbia, non erano invece sensibili al miraggio del nuovo impero mitteleuropeo a guida tedesca.
Si materializzarono così le conseguenze che la lacerazione avrebbe comportato. La questione serba, risolta da pochi decenni all’interno della Jugoslavia, sarebbe fatalmente riesplosa. La maggioranza serba costituiva una sorta di “collante” per l’unità del paese, e per tradizione politica e condizione materiale era la più favorevole al mantenimento dello statu quo. Nella sua particolare forma di socialismo autogestito il paese aveva compiuto aperture all’economia di mercato già da qualche anno, misurando anche le ripercussioni negative della maggiore esposizione ai contraccolpi delle crisi economiche occidentali. Nel momento in cui gli altri paesi socialisti europei, seguendo il destino dell’URSS si convertivano al mercato con una fulmineità sconcertante, la Federazione Jugoslava non si accodò.
È possibile che se tutto il paese fosse passato subito in blocco nell’ambito del mercato gli si sarebbe concesso di restare unito. Ma data la resistenza di una parte della popolazione, la divisione del paese diveniva una soluzione. Non furono le antiche divisioni a causare la disgregazione, ma chi fomentò la disgregazione mirò alle loro cicatrici. Dividendo il paese, il peso politico dell’opposizione serba sarebbe stato disperso e annullato. Era chiaro che dopo le secessioni di Slovenia e Croazia, come per una reazione a catena sarebbe riesploso il problema della Bosnia, e che il distacco successivo delle singole repubbliche (che in nessun caso coincidevano coi popoli!) avrebbe di volta in volta modificato i rapporti di forze tra le componenti nella parte residua della Federazione, destabilizzandone tutti gli equilibri. Ma le secessioni avrebbero creato anche altri problemi: le comunicazioni, lo sbocco al mare, le coste, la pesca, il turismo, le risorse, le fabbriche separate dalle miniere che le alimentavano, la suddivisione del debito, per citarne solo alcuni. Dietro il paravento dell’autodeterminazione dei popoli, sono state avallate secessioni economiche di territori, in cui i “popoli” erano invece mescolati e divisi.
La posizione di chi resisteva alle secessioni era ineccepibile anche dal punto di vista legale. La Costituzione jugoslava riconosceva il diritto di secessione alle repubbliche, subordinandolo però all’assenso unanime delle altre, per tenere conto dei problemi materiali che la secessione di un territorio crea a quelli circostanti. Doveva quindi iniziare un dibattito politico sui problemi concreti, dopo di che, eventualmente, le repubbliche separatiste avrebbero dovuto sottostare alle procedure previste.
Rispetto al diritto internazionale le frontiere della Jugoslavia erano ovviamente inviolabili, come la sua integrità territoriale, e le crisi erano problemi interni. Per evitare che la situazione si trasformasse in una tragedia non erano quindi necessarie ingerenze esterne. L’unica cosa da evitare era quella di intromettersi nei meccanismi costituzionali. Accadde invece il contrario. Con una precipitazione mai mostrata prima, dopo averle favorite con pressioni di varia natura le potenze occidentali riconobbero secessioni proclamate in flagrante violazione di qualsiasi principio del diritto internazionale e delle prerogative costituzionali jugoslave, oltre che foriere di conseguenze drammatiche. I riconoscimenti “affrettati”, come ipocritamente si definiscono oggi, hanno impedito l’applicazione della Costituzione, con una serie di conseguenze decisive, tra cui quella di trasformare, anche se abusivamente, un problema
Pag.3 interno in un conflitto tra Stati, con la delegittimazione delle strutture politiche e militari interne e la possibilità di
sanzioni, ingerenze e interventi militari da parte degli organismi internazionali.
Il paese che aveva tenuto testa ai nazisti e ai fascisti, che aveva fatto una scelta socialista autonoma e originale
anche rispetto all’URSS, il fondatore del movimento dei “Non Allineati”, che difendeva insieme alla sovranità proprio la sua natura di federazione multietnica e il diritto a scegliere il proprio sistema economico, non ottenne attenzione né solidarietà, e fu invece isolato, messo al bando dagli organismi internazionali, mentre il suo esercito veniva trattato come invasore sul suo stesso territorio. Nell’ubriacatura generale della vittoria dell’Occidente e nella demonizzazione di qualsiasi cosa odorasse di socialismo, a questi valori si contrapponeva lo slogan dell’autodeterminazione dei popoli, che si presentava come indiscutibile e quasi sacrale. I Serbi, identificati con coloro che volevano mantenere unita la Jugoslavia, furono tacciati quindi di centralismo e di volontà egemonica. Quando poi, prendendo atto delle pressioni internazionali, elevarono la richiesta che si discutesse il tracciato delle nuove frontiere e trattassero le condizioni della divisione, furono tacciati di espansionismo, o addirittura di separatismo e di aggressione contro l’integrità dei giovani “Stati sovrani riconosciuti dall’ONU”. Avallando le secessioni, l’Occidente ha violato il principio dell’intangibilità delle frontiere della Jugoslavia. E dopo aver elevato a dignità di confini tra Stati quelle che non erano che delimitazioni interne di uno Stato federale, che non erano state tracciate in vista di una divisione del paese, e non erano mai state approvate dai popoli della Jugoslavia da questo punto di vista, ne ha dichiarato l’intangibilità.
Contemporaneamente però, al popolo Serbo, che era pur sempre la maggioranza della popolazione, veniva negata qualsiasi ipotesi di “autodeterminazione”, sia quando nel suo insieme chiedeva che la Jugoslavia restasse unita (e questo era anche l’unico modo perché esistesse una Serbia unita, da ciò l’accusa di volere una “Grande Serbia”), sia quando le componenti serbe divenute minoranze nelle nuove repubbliche secessioniste e “democratiche” chiedevano di fare a loro volta secessione, in modo che i loro territori restassero parte della Jugoslavia. E sposando la concezione di nazione di tipo germanico, l’esistenza del popolo jugoslavo non fu neanche presa in considerazione.
Come i dirigenti jugoslavi e serbi avevano previsto, si innescò la reazione a catena delle guerre civili. Ma quello che forse non avevano previsto fu la mancanza di reazione da parte della sinistra mondiale, che non si spiega con la successiva demonizzazione dei Serbi. Nel momento in cui venivano tacciati “semplicemente” di centralismo, o nazionalismo espansionista, la campagna denigratoria che nel giro di poco tempo li avrebbe trasformati in un popolo maledetto non era ancora cominciata. Chiunque si prenda la briga di rianalizzare il modo in cui i mezzi di comunicazione hanno raccontato la vicenda si renderà conto che nei molti mesi tra l’inizio della crisi e le prime accuse di atrocità l’atteggiamento antiserbo era già presente: le loro posizioni e richieste venivano presentate costantemente come pretese indebite anche se in linea con la Costituzione, e il linguaggio usato nei loro confronti era pesante e tinto di disprezzo. Veniva compiuta poi una confusione sistematica tra “serbo” e “jugoslavo”, il che non era per nulla innocente. Presentare un intervento militare dell’armata federale come opera di un “esercito serbo”, per esempio, trasformava agli occhi del lettore inesperto un’azione legittima nell’aggressione di una parte.
Quando cominciarono a essere lanciate contro i Serbi le accuse di atrocità, il terreno era già pronto, e anche chi ignorava tutto della storia e della realtà balcanica era predisposto ad accettare con facilità la loro demonizzazione. Riguardo alle tante atrocità di questa guerra, e allo sforzo necessario per distinguere in un campo così delicato il vero dal falso, esistono già ricerche interessanti che smontano i meccanismi della macchina della propaganda e gettano seri dubbi su molti degli episodi più clamorosi. Attribuiti immediatamente e quasi immancabilmente alla parte serba, alcuni di questi episodi sono avvenuti alla vigilia di riunioni o scadenze importanti, e per l’emozione che hanno suscitato hanno contribuito in più di un’occasione a determinare un clima favorevole a svolte o decisioni gravi, sempre negative per i Serbi. Una ricostruzione del conflitto fatta tenendo conto delle smentite già disponibili ne darebbe già una visione differente.
Ma ciò che la sinistra non comprese fu la natura imperialista dell’attacco contro la Jugoslavia. Eppure i precedenti storici legati alle fasi di espansione tedesca alla vigilia dei due conflitti mondiali colpiscono per le analogie. Il disorientamento vissuto in questi anni dalla sinistra, e l’abbandono dello strumento di analisi costituito dall’ideologia, le ha impedito di trarre dalla storia le lezioni più elementari.
Se fosse esistita una sinistra degna di questo nome in Europa, nel momento dell’ennesima aggressione imperialista contro la Jugoslavia si sarebbe dovuta riversare nelle piazze per scongiurare un’ingiustizia dalle prevedibili conseguenze tragiche, come fecero gli Jugoslavi, e i Serbi in particolare, quando nel marzo del 1941 si ribellarono, unici in Europa, contro il loro stesso governo che si era piegato ai diktat delle forze dell’Asse nazifascista trionfante.
Una simile presa di posizione non avrebbe comportato nel 1991 per la sinistra europea le conseguenze che allora gli Jugoslavi pagarono per il loro temerario e in qualche misura folle atto di sfida contro la potenza che stava conquistando il continente. I nazisti colsero l’occasione per scatenare contro il loro paese, che per i loro interessi geopolitici avevano sempre voluto diviso e debole, e contro la sua popolazione, nei cui confronti mostravano un rancore mescolato a disprezzo razzista, un’aggressione condotta con una ferocia senza precedenti. E in nome del “conto” aperto coi Serbi dalla Prima Guerra Mondiale, Hitler diede a questa campagna il nome in codice di «Operazione Castigo». Allora – come oggi – con la complicità della destra croata alleata di Tedeschi e Italiani la Jugoslavia fu smembrata e la sua popolazione sottoposta a prove di una durezza inaudita. Un giorno sapremo con quale nome in codice sia stata chiamata l’operazione che ha portato alla nuova distruzione della Jugoslavia sull’altare del mercato unico europeo e del “Nuovo Ordine Mondiale”, riservando sempre una durezza particolare alla componente serba.
Pag.4 Nel 1943, nei Balcani l’onore dell’Italia fu salvato dai militari che scelsero di rompere l’alleanza che ci aveva visto al fianco degli invasori, e si schierarono con la Resistenza. Oggi la guerra celeste ha attribuito al nostro territorio la mera funzione militare della portaerei, requisita senza specificare per quanto tempo, né per fare cosa, né con quali obiettivi. La prospettiva di trasformare definitivamente le nostre forze armate in un esercito di mestiere tende a eliminare l’eventualità che si producano sussulti di dignità analoghi in coloro che dovrebbero avere come unica missione quella di difendere la sovranità, l’indipendenza e la sicurezza di questo territorio, e come unico riferimento la
Costituzione.
Intanto la pratica distruzione della Jugoslavia fa presagire le intenzioni degli aggressori: fare non solo del
Kossovo, ma di tutto il paese, un protettorato. Già si levano voci che invocano una “conferenza internazionale” sul futuro dei Balcani, che dopo la devastazione saranno naturalmente aiutati con generosità nella ricostruzione e amorevolmente educati alla democrazia. Queste concezioni non sono nuove, e hanno un nome: colonialismo.
Questo il futuro che si prospetta, e le sfide politiche da affrontare. È necessario opporci almeno alla ricolonizzazione della Jugoslavia, cominciando col ristabilire la verità sulla contesa balcanica e sul suo significato, riprendendo l’analisi dalle cause e dalle responsabilità.
Renderemo almeno giustizia alla Jugoslavia, che è un paese sovrano, e che esiste, e il cui destino non può essere imposto dagli aggressori in una riedizione del Congresso di Berlino, ma può essere deciso solo dal suo popolo. Assieme alla sua storica capacità di resistenza, questo ha dato prova di una notevole perspicacia, dimostrata anche dalla scelta del simbolo del bersaglio, il “target”, ostentato dai belgradesi che difendevano come scudi umani ponti e fabbriche. Questo simbolo ha riscosso un tale successo, tanto che i manifestanti di tutto il mondo se ne sono impadroniti, perché rappresenta lucidamente il senso del messaggio terroristico rivolto a tutti gli abitanti del pianeta: ognuno di noi, senza eccezioni, dovunque si trovi, comunque la pensi, qualunque sia la sua storia, può diventare in qualsiasi momento un bersaglio indifeso, esposto all’arbitrio delle “democrazie” che si arrogano il diritto di gestire la vita e la morte di tutti, forti del possesso di mezzi tecnologici, per realizzare il loro nuovo colonialismo, che lasciano solo la scelta tra piegarsi o resistere.
Questo strapotere è tale che permette di conseguire gli obiettivi voluti senza impiegarlo, ma solo brandendone la minaccia, magari travestita da “accordo”, come si voleva fare a Rambouillet. Il rifiuto di piegarsi a questo meccanismo e la resistenza della Jugoslavia erano quindi senza speranza. Che senso ha avuto allora sopportare la distruzione del proprio paese senza ottenere apparentemente alcuna vittoria? La resistenza della Jugoslavia ha costretto però la NATO a usare tutta la sua potenza di fuoco mostrando il vero volto dell’Occidente, che è il nostro volto, e tutta la contraddizione tra la pretesa umanitaria dell’intervento e la sua realtà. Il debito politico di questa rivelazione va pagato.
1999 Maquis
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Grande, grande, grande! Hai perfino “azzeccato “ il vero problema nella Chiesa Serba, l’ecumenismo!!!! Grazie di aver reso giustizia a vescovo Artemie!