L’interferenza occidentale in tutto ciò che è bosniaco fa a malapena notizia. Non oggi, non ieri, non 26 anni fa, quando l’allora ambasciatore USA in Jugoslavia, Warren Zimmerman, incoraggiò il leader fondamentalista Musulmano bosniaco Alija Izetbegović a respingere un piano di pace [in inglese] – accettato, per inciso, dagli stessi leader serbo-bosniaci che presto sarebbero stati demonizzati dall’Occidente unipolare come “aggressori” della propria terra – che aveva buone possibilità di prevenire lo scoppio della sanguinosa guerra civile durata tre anni e mezzo, che produsse circa 100.000 morti e molti altri feriti e senzatetto in questa ex repubblica federale dell’ex Jugoslavia.
Ma fa notizia quando un’accusa di questo tipo viene fuori dalla bocca del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, che, sebbene desideroso di mantenere e sviluppare buoni rapporti con Russia e Cina, nel corso degli anni si è trasformato in un politico essenzialmente filo-occidentale, la cui ambizione principale è quella di integrare il suo paese e il resto dei Balcani nell’Unione Europea, a discapito di tutto e tutti. Perciò, l’annuncio [in inglese] di Vučić che, non appena le elezioni generali del 7 ottobre in Bosnia saranno concluse, presenterà “prove sbalorditive della più brutale interferenza di certe potenze occidentali nelle elezioni in Repubblica Srpska” (una delle due entità in Bosnia ed Erzegovina , con una popolazione in maggioranza serba Ortodossa, che occupa il 49% del paese, l’altra è la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, dominata da Musulmani e Cattolici croati), è un segno abbastanza affidabile che l’Occidente ha veramente superato se stesso, anche i propri standard di “esportazione della democrazia”, andando così lontano, secondo Vučić [in serbo], che alcuni ambasciatori occidentali chiamavano i candidati dell’opposizione e li minacciavano di non cambiare fedeltà, altrimenti avrebbero “risposto sia di crimini reali che immaginari”.
Le prime accuse di ingerenza degli Stati Uniti nelle imminenti elezioni generali bosniache si erano già sentite a maggio [in inglese], quando il governo serbo-bosniaco presentò al Segretario Generale dell’ONU prove riguardanti il finanziamento mediatico di oltre 12 milioni di dollari ad opera del Dipartimento di Stato USA e dell’USAID progettato per influenzare le elezioni. Poi, a giugno, il presidente della Repubblica Srpska Milorad Dodik ha accusato il governo britannico [in inglese], riferendosi alla sua decisione di mandare 40 specialisti dell’intelligence per, come ha affermato il segretario alla difesa britannico Gavin Williamson (famoso per aver detto ai russi “andatevene e state zitti” [in inglese]), contrastare “l’influenza esterna maligna” – ovvero “intromettersi negli affari interni” e “un atto che confina con l’intrusione in questo paese”. In agosto, Dodik ha puntato ancora il dito contro gli americani, accusandoli [in inglese] di interferire nelle prossime elezioni incanalando fondi “anticorruzione” verso le ONG locali anti-governative. E poi nei primi giorni di settembre, Dodik ha rimproverato [in inglese] l’ambasciatrice statunitense in Bosnia uscente, Maureen Cormack per – indovinate – “flagrante ingerenza nei processi politici e nelle elezioni in Bosnia”, dopo che essa aveva fatto pressioni per sanzioni statunitensi contro il vicepresidente del partito di Dodik, Nikola Špirić e la sua famiglia, per presunta corruzione – durante la campagna elettorale del 2014 (!). Secondo Špirić, la Cormack “ha fatto una mossa disperata 28 giorni prima delle elezioni generali per aiutare i suoi burattini di Sarajevo – l’Alleanza per il Cambiamento”.
Dodik andò ancora oltre, affermando che la Cormack era, in realtà, l’ambasciatrice di George Soros, e che la vera ragione dietro le sanzioni [entrambi i link in serbo] contro Špirić era il suo “rifiuto di sostenere l’agenda anti-serba dell’Agenzia di Intelligence e Sicurezza della Bosnia ed Erzegovina… e di partecipare in una commissione che avrebbe dovuto legalizzare le intercettazioni” dell’attuale premier della Repubblica Serba Željka Cvijanović, del presidente serbo Vučić e altri funzionari della Serbia e della Repubblica Serba. All’inizio del mese, prima che fossero annunciate le sanzioni contro Špirić, Željka Cvijanović aveva già accusato pubblicamente [in serbo] l’Agenzia di Intelligence e Sicurezza della Bosnia ed Erzegovina di aver spiato illegalmente “circa 70” funzionari serbi e della Repubblica Serba.
Così è stato preparato il palcoscenico per le elezioni più prive di eventi nell’(ex) protettorato modello democratico e multietnico del mondo unipolare, la Bosnia ed Erzegovina, ancora “supervisionato” da un viceré de facto nella forma di un “Alto Rappresentante”, con una “corte costituzionale” nella quale tre dei nove giudici sono stranieri, e istituzioni ingombranti e paralizzate [tutti e tre i link in inglese] che stanno producendo un “cinismo fatalistico” tra la sua popolazione. Cioè, se almeno si svolgessero anche elezioni regolari. Infatti, aumentano i timori che ci sia uno scenario (naturalmente) occidentale per impedire o rendere nulle le elezioni nella Repubblica Serba al fine di bloccare la vittoria di Dodik e della sua coalizione di governo. Secondo fonti citate dall’edizione serba di Sputnik, sono in gioco due scenari: secondo il primo, le elezioni verranno sabotate in anticipo se Dodik verrà giudicato troppo forte, mentre, secondo il secondo, i risultati elettorali non verranno riconosciuti se il partito di Dodik otterrà la maggioranza dei voti. In entrambi i casi verranno indette dimostrazioni di massa, con il ruolo guida che verrà preso dagli inglesi, per via dell’“indebolimento” della politica balcanica americana sotto Donald Trump.
Lo scenario delle dimostrazioni di massa non è irrealistico. Manifestanti in numero variabile hanno occupato per mesi la piazza principale di Banja Luka, la capitale della Repubblica Srpska, accusando il governo di complicità nella morte del ventunenne David Dragičević, anche se devono ancora venire allo scoperto prove concrete per le loro affermazioni (non vi sembra familiare?). Il padre della vittima ha persino minacciato [in inglese] che non ci sarebbe stata “nessuna elezione in Repubblica Serba fino a quando l’omicidio di David e di altri bambini non sarà risolto”. Le manifestazioni sono ovviamente ben finanziate, e sono sostenute e occasionalmente frequentate da membri dell’opposizione filo-occidentale. E considerando che alla vigilia delle elezioni Dodik ha in programma di visitare la Russia e incontrare il suo presidente [in inglese], Vladimir Putin (la Russia ha saldamente difeso l’integrità della Bosnia ed Erzegovina, come previsto dagli accordi di pace di Dayton del 1995, e l’assoluta uguaglianza dei suoi tre popoli costituenti, cosa reiterata durante la recente [in inglese] visita di Sergej Lavrov nel paese), sarà davvero estremamente difficile per l’Occidente alla fine della storia astenersi dal cercare di “insegnare” ai deplorevoli balcanici almeno un’altra lezione di “democrazia”. D’altronde tutti i precedenti, là e altrove – saltano subito alla mente Siria, Libia, Iraq – hanno prodotto risultati così meravigliosi…
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Articolo di Aleksandar Pavic pubblicato su Global Research il 28 settembre 2018.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
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