La scorsa settimana le autorità del Kosovo non riconosciuto hanno vietato l’uso di targhe serbe sul loro territorio, e unità delle forze speciali albanesi le stanno rimuovendo con la forza dalle auto che appartengono ai serbi locali.
Queste azioni hanno immediatamente provocato tensioni nelle relazioni, a lungo tese, tra Pristina e Belgrado, al punto che gli esperti hanno iniziato a parlare della minaccia di nuovi scontri militari con destabilizzazione dell’intera regione balcanica.
È importante capire la logica della situazione: le autorità kosovare hanno deliberatamente voluto quest’aggravamento, comprendendo perfettamente le inevitabili conseguenze pratiche del loro passo. La maggior parte della popolazione serba di questo stato fantoccio non riconosciuto, utilizza targhe serbe. Le abbiamo viste anche in enclave tagliate fuori dal territorio serbo, come la comunità di Gracanica e a nord del fiume Ibar, nella parte serba della città divisa di Kosovska Mitrovica: letteralmente tutti guidano con le targhe della Repubblica di Serbia.
L’unico modo per sbarazzarsi delle targhe serbe è con la forza, e le autorità albanesi hanno portato veicoli blindati con forze speciali pesantemente armate nei quartieri serbi a ridosso dei valichi di frontiera. Le proteste di massa sono scoppiate immediatamente a Mitrovica.
Abbiamo già assistito a tali azioni nella primavera del 2008, quando un soldato ucraino delle forze di pace è stato ucciso in questa città, e ora qualcosa di simile sta accadendo nel nord del Kosovo. I serbi stanno costruendo barricate sulle strade principali, bloccando i posti di blocco; e gli albanesi, ben armati, conducono qualcosa come un atto d’intimidazione, picchiando i conducenti che si trovano a portata di mano.
Gli ufficiali delle forze speciali violano senza troppe cerimonie i diritti civili dei residenti locali, e Belgrado ha subito reagito a questo stato di cose, chiamando ciò che stava accadendo con la sintomatica parola “scontro”. Questa volta le autorità serbe non si sono limitati a dichiarazioni di circostanza, e hanno inviato le forze di sicurezza al confine, vicino ai posti di blocco, e velivoli dell’aeronautica serba sono stati visti in cielo: elicotteri d’attacco, caccia multiruolo MiG-29, così come i cacciabombardieri Soko J-22 “Eagle” armati di missili aria-terra.
Tutto ciò ha causato una reazione nervosa tra la leadership dell’Unione Europea. Gli studiosi di storia ricordano la reputazione storica dei Balcani, che una volta erano chiamati la “polveriera dell’Europa”. Josep Borrell, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, ha invitato ritualmente le parti a ridurre la tensione, rivolgendosi principalmente ai serbi. E il presidente serbo Aleksandar Vucic ha chiesto che l’Occidente risponda al conflitto nel suo protettorato balcanico. Egli accusa l’Unione Europea di doppi standard, insiste sul ritiro delle forze speciali del Kosovo, e promette persino di proteggere i serbi del Kosovo dal Kosovo stesso.
“La completa occupazione del nord del Kosovo e Metohija con equipaggiamenti militari, che è eseguita da Pristina, sta continuando da sette giorni. E tutti nella comunità internazionale sono rumorosamente silenziosi. È vero, a volte tutti sono preoccupati quando vedono elicotteri e aerei serbi sul territorio della Serbia centrale, poiché, a quanto pare, non dovrebbero esistere o non dovrebbero decollare senza l’approvazione del primo ministro kosovaro Kurti e della comunità internazionale.
Aspetteremo per 24 ore prima di reagire nei confronti della NATO. E solo se continuerà il pogrom contro la nostra popolazione, la Serbia reagirà e non permetterà quello che è successo negli anni novanta”, ha scritto in un discorso al Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.
I presupposti per l’aggravamento del conflitto sono stati posti in estate – dopo il fallimento dei negoziati tra il Kosovo e la Repubblica di Serbia, che hanno avuto inizio su richiesta degli Stati Uniti e si sono svolti sotto il patrocinio diretto di Bruxelles. Il Presidente Vucic e il Primo Ministro Albin Kurti hanno promesso di concordare un programma su vasta scala per normalizzare le relazioni, che avrebbero dovuto porre fine alle lotte etniche e persino aprire prospettive teoriche per l’adesione ufficiale all’Unione Europea.
Tuttavia, i nazionalisti albanesi hanno ostacolato un processo di negoziazione già difficile. Si sono opposti alla creazione dell’Associazione dei Comuni Serbi, una struttura speciale che conferisce ai serbi del Kosovo il diritto ad una vera autonomia all’interno delle loro comunità. Pristina ha chiesto a Belgrado di riconoscere incondizionatamente l’indipendenza del Kosovo, senza fare concessioni in cambio e rifiutando compromessi reciprocamente accettabili. E il Primo Ministro dello stato non riconosciuto ha parlato apertamente a favore dell’adesione alla vicina Albania – contrariamente a tutti gli accordi precedenti.
L’agenda politica del Kosovo è dettata dal partito della guerra, perché la politica locale è ancora dominata da ex militanti nazionalisti, situazione molto simile a quella con l’ultradestra dei battaglioni volontari in Ucraina. Inoltre, le élite kosovare sono tradizionalmente associate alle strutture del Partito Democratico degli Stati Uniti, che ha guidato l’America durante la guerra del 1999. Il cambio di potere nella metropoli è stato accolto a Pristina con notevole entusiasmo, a quanto pare contano sul sostegno incondizionato da parte dell’amministrazione di Joseph Biden, e stanno cercando di sondare i suoi confini con l’aiuto di un altra crisi sul confine serbo.
Albin Kurti difficilmente si affida alle sue forze speciali nel confronto con Belgrado, o anche all’esercito albanese amico, che non rappresenta una forza militare seria. Piuttosto, è in servizio sperando nella protezione del contingente americano, che ha creato la gigantesca base militare di Camp Bondsteel in Kosovo, unico vero garante dell’indipendenza del fantoccio kosovaro.
Tuttavia, la risposta degli Stati Uniti rimane imprevedibile e poco chiara. Non è il 1999, ma il 2021. E non ci sono garanzie che gli americani siano pronti ad iniziare una guerra in Europa per salvare l’odioso regime corrotto, soprattutto perché le élite albanesi sono contaminate dalla partecipazione a crimini di guerra, traffico di droga, commercio di schiavi e vendita di persone per il traffico di organi. E l’ex presidente del Kosovo, Hashim Thaci, è stato recentemente processato all’Aia, nonostante si sia più volte seduto allo stesso tavolo con i principali politici occidentali.
La dirigenza americana è appesantita dai suoi precedenti legami con i nazionalisti kosovari, e il disastro in Afghanistan mostra come sia improbabile che il Pentagono entri in un serio conflitto armato proprio ora. Il nome stesso Bondsteel è quello di un veterano della guerra nel Vietnam, e ora, alla luce del recente dramma di Kabul, ricorda solo una sconfitta militare.
D’altra parte, non vogliono combattere nemmeno in Serbia nonostante la formidabile retorica di Aleksandr Vucic, il quale si rivolge principalmente al pubblico domestico aspettandosi di aumentare il proprio gradimento. Pertanto, gli osservatori sperano in un compromesso pacifico, anche se è chiaro a tutti che la questione irrisolta delle relazioni serbo-kosovare minaccia costantemente una transizione verso le ostilità. Tutti presumono che il rumore diminuirà presto, com’è successo più di una volta nella storia recente di questa regione.
Ma alcune persone ricordano la frase della scrittrice americana Barbara Tuckman, che descrisse l’inizio del massacro mondiale che una volta scoppiò sul suolo balcanico: “Nessuno voleva la guerra. La guerra era inevitabile”.
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Articolo di Andrey Manchuk pubblicato su News Front il 28 settembre 2021
Traduzione in italiano di Pappagone per SakerItalia
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