Caspita! Infine, almeno, il Regno Unito sta formalmente lasciando l’Unione Europea il 31 gennaio. Qui, a Parigi, i sostenitori dell’uscita della Francia dalla UE stanno celebrando. Vedono la Brexit come foriera di una futura “Frexit”, il distacco della Francia da un governo non democratico, e l’inizio della fine di un progetto fallimentare volto a unificare l’Europa attorno le richieste del capitalismo neoliberale.
Ma il paradosso è che i sostenitori dell’unificazione europea potrebbero celebrare ancor di più, se non fosse troppo tardi. Perché anni di partecipazione britannica hanno già dato una mano a scuotere il sogno originale di una Europa unita, sia mediante le aspirazioni all’unità politica dei federalisti, sia con il progetto di una confederazione europea di stati indipendenti vagheggiato da Charles De Gaulle circa sessant’anni fa.
A quel tempo, quando De Gaulle si incontrò con Konrad Adenauer, l’anziano Cancelliere tedesco occidentale, per promuovere la riconciliazione franco-tedesca, i due anziani statisti la pensavano nei termini di un graduale lavoro verso una collaborazione fra il nucleo degli stati europei che avrebbe preservato la loro sovranità all’interno di una confederazione volta ad assicurare pace e cooperazione.

Il presidente francese Charles de Gaulle, a sinistra, e il cancelliere della Germania occidentale Konrad Adenauer nel 1961. (Bundesarchiv, CC-BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)
Fin dall’inizio la questione della partecipazione britannica apparve come una spina nell’unità europea. Inizialmente, Londra si oppose al Mercato Comune. Nel 1958, il Primo Ministro Harold MacMillian lo assalì come un “Blocco Continentale” (alludendo alla politica verso l’Europa di Napoleone del 1806) e disse che l’Inghilterra non lo avrebbe difeso. Ma, come il progetto sembrò prendere forma, Londra cercò un accordo.
De Gaulle avvertì fin dall’inizio che la Gran Bretagna non apparteneva ad una Europa unificata, geograficamente, economicamente e, soprattutto, psicologicamente.
Una osservazione è diventata famosa: si dice che nel 1944, alla vigilia dell’invasione della Normandia, in una accesa discussione Churchill disse a De Gaulle che se la Gran Bretagna dovesse scegliere, avrebbe sempre scelto il “mare aperto” piuttosto che in continente europeo.
Naturalmente, la Gran Bretagna ha perso da tanto tempo sia Churchill che il suo Impero. Nonostante ciò, gli inglesi rimangono psicologicamente sposati al loro status di isola, origine della loro schiacciante supremazia marittima sulla quale l’impero fu costruito e che ha lasciato le sue tracce, in tutto il mondo, nelle nazioni di lingua inglese e nelle relazioni commerciali privilegiate con esse. Gli inglesi non si sentono normalmente parte del “continente”, e la tradizionale linea politica dei loro governanti è stata tradizionalmente quella di mantenere il continente diviso e debole. Questa politica è stata trasmessa ai loro pupilli a Washington, di cui si trova un’eco nello scopo della NATO descritto, scherzosamente ma con un fondo di verità, come quello di “tenere fuori i russi, tirare dentro gli americani e soggiogare i tedeschi”.
Sessant’anni fa, De Gaulle, che immaginava la confederazione europea come un modo per raggiungere l’indipendenza dai liberatori americani (arrivati per rimanere), vide molto chiaramente che il Regno Unito sarebbe stato il cavallo di Troia americano nella comunità europea. Questa è ciò che si chiama la visione, la qualità di uno statista, un qualcosa che sembra essere morto in Occidente. Egli si oppose alla partecipazione britannica più che poté, ma l’influenza americana era troppo grande. E, curiosamente, gli ardenti federalisti europei si unirono nel promuovere la partecipazione britannica non coscienti che essa era totalmente incompatibile con quella unità politica da essi desiderata.
I leader inglesi, attaccati fermamente al loro Parlamento, ai loro regnanti, al loro sistema di classe e al loro ruolo unico al mondo (oggi trasferito in larga parte ai loro eredi a Washington), non avrebbero mai considerato una genuina unione politica col continente. Ma, guidando una nazione commerciale, essi volevano esser parte di un’Europa che favoriva il libero commercio. Punto.
La prima richiesta d’ingresso nel Mercato Comune fu fatta dal Regno Unito nel 1961, all’epoca in cui comprendeva il nucleo centrale di nazioni, cioè la Francia, la Germania, il Benelux e l’Italia. Ma finché De Gaulle fu Presidente della Francia, non fu possibile approvarla, nonostante il sostegno statunitense (gli Stati Uniti hanno sempre caldeggiato gli allargamenti, in particolare quello verso la Turchia, ora considerato fuori questione). Il Regno Unito si unì alla Comunità Economica Europea solo il 1° gennaio del 1973, portando con essa sia l’Irlanda che la Danimarca, altri sostenitori del libero commercio.
L’entrata della Gran Bretagna fu un passo decisivo nel rendere l’Europa unita un vasto libero mercato, un passo verso la globalizzazione. Era questo, invero, il programma di Jean Monnet, un uomo d’affari francese totalmente americanizzato che disegnò il percorso verso l’unità europea mediante le sole misure economiche, indifferente ai problemi politici. Ma ci volle il peso britannico per spingere decisamente l’Europa in quella direzione, lontana dall’idea originaria di Mercato Comune (quella della rimozione delle sole barriere commerciali fra gli stati membri), verso un mercato aperto, con barriere commerciali minime ed estendendo i benefici della sua dottrina della “libera concorrenza” a giganti come gli Stati Uniti e la Cina.
Nel 1989, Margaret Thatcher nominò Leon Brittan come Commissario Europeo alla Concorrenza, posto che tenne fino al 1999, incaricato del commercio e degli affari esteri. A Bruxelles la sua fu la più potente influenza nel rafforzare il ruolo dell’Unione Europea come capo gendarme delle politiche neoliberali. Allo stesso tempo, la Thatcher chiese “indietro i suoi soldi” e rafforzò la libertà del Regno Unito dai vincoli delle istituzioni europee.
Il Regno Unito non ha mai firmato l’accordo di Schengen, e ha declinato l’abbandono della sterlina a favore dell’euro, senza dubbio una mossa giusta. Ma anche una mossa sintomatica dell’essenziale incapacità inglese di unirsi completamente al continente.
Allo stesso tempo, la presenza di Londra ha certamente contribuito alla totale incapacità da parte dell’Unione Europea di sviluppare una politica estera che devii da quella di Washington. La Gran Bretagna ha sostenuto quell’allargamento ad est che ha reso l’Unione Europea più politicamente divisa che mai, ed è stata la più forte sostenitrice di quella paranoica russofobia di Polonia e degli Stati Baltici che spinge altri paesi europei in un conflitto con la Russia che è contrario ai loro propri interessi.
Non è che la Gran Bretagna sia responsabile di tutto ciò che è sbagliato nell’Unione Europea odierna. Uno dei più grossi errori l’ha fatto il Presidente della Francia François Mitterrand negli anni ’80, quando insistette su una “comune valuta europea”, illudendosi che questa avrebbe aiutato la Francia a contenere la Germania: è risultato non solo il contrario, ma ha anche rovinato la Grecia e causato razzie in Portogallo, Spagna e Italia.
E ci sono un sacco di altri sbagli che sono stati fatti, come quello di Angela Merkel quando invitò a venire in Europa, apparentemente rivolto ai rifugiati di guerra siriani, ma inteso come rivolto a loro stessi da milioni di sfortunati in Medio Oriente e in Africa.
E, sicuramente, c’era e c’è una minoranza di uomini e donne inglesi che si identificano sinceramente con l’Europa e vogliono sentirsi parte di essa. Ma essi sono una minoranza. L’Inghilterra ha amato e celebrato per troppi secoli la sua unicità per lasciarsela cancellare da complesse ed impersonali istituzioni.
Mentre l’Inghilterra ritorna alle incertezze del mare aperto, si lascia dietro un’Unione Europea governata burocraticamente per servire gli interessi del capitale finanziario. Gli stati membri, come la Francia di Macron, sono governati seguendo i decreti europei contrariamente al volere del loro popolo. La partecipazione britannica ha contribuito a questo diniego della democrazia ma, paradossalmente, gli stessi britannici sono i primi a rifiutare l’Unione Europea e a chiedere il ritorno alla piena sovranità nazionale.
Perfino i più ardenti tifosi dell’unità europea insistono sempre più di volere una “Europa diversa”, riconoscendo che il progetto ha fallito nel produrre le meraviglie promesse. Ma cambiare questo particolare tipo di Europa richiederebbe l’unanimità fra i rimanenti, e sempre più litigiosi, 27 stati membri.
È per questo che sta crescendo l’idea che forse è il momento di abbandonare questa Unione Europea fallimentare e ripartire daccapo, cercando l’accordo politico fra democrazie sovrane su ogni singolo problema al posto di una unità economica disfunzionale come decretata dalla burocrazia transnazionale capitalista.
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Articolo di Diana Johnstone pubblicato su ConsortiumNews il 30 gennaio 2020
Traduzione in italiano di Fabio_san per SakerItalia
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gli ardenti federalisti europei
sono sempre stati anche “ardentemente atlantici” ( per usare un eufemismo)
Cerchiamo quindi di dare ad ognuno il suo vero ruolo perché:
1) ” l’ europa dei popoli ” invocata da de gaulle non sarebbe mai stata permessa ne dagli americani ne da l’ INNATO spirito egemonico degli stessi francesi . ” storia non facit saltus”
2) la Tacher ha imposto il suo liberismo in perfetta sintonia con gli americani, ed è stata l’ unica “intellettualmente onesta” , lei non ha mai creduto ne Leuropa.
3) “leuropa del capitale” non è mai dispiaciuta ai tedeschi perché gli permetteva , come poi si è visto , di egemonizzarla senza alcun impegno politico semplicemente offrendone uno strapuntino ai soliti boriosi francesi.
Quindi nessuna illusione che ” Leuropa” si rafforzi con la Brexit, gli inglesi per tradizione hanno sempre un maggior istinto dei continentali nel saltar fuori da una barca che affonda.
Per l’Italia e la Grecia entrare nella ue, é stato come partecipare al gioco delle tre carte con relatvi compari che fingevano di puntare con il danaro del banco, ovviamente il banco vince sempre e i compari ricevono la loro quota di partecipazione, dagli sprovveduti partecipanti estranei alla cricca, all’inizio può andare anche bene, ma nel momento che ti accorgi che gioco é, sarebbe saggio seguire la scia della G.B costi quel che costi, prima che il banco e i compari decidano di cambiare le regole per non far allontanare i malcapitati finanziatori, facendo così fallire banco e Co.