Il 19 Settembre 2019 è stata approvata una risoluzione del Parlamento Europeo che parifica il Nazismo al Comunismo tra le dittature del XX secolo e stabilisce l’Unione Sovietica come paese corresponsabile dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale in quanto firmataria del patto Molotov-Ribbentrop, che avrebbe provocato il conflitto.
Può sembrare che una deliberazione di questo genere sia una semplice riflessione accademica o l’inutile perdita di tempo di un’istituzione senza niente di meglio da fare che occuparsi di storia; ma non è così, la risoluzione ha importanti implicazioni nella geopolitica attuale e contribuisce a facilitare uno scontro con gravi conseguenze nell’Europa di oggi.
Per capire la pericolosità intrinseca del testo, occorre innanzitutto analizzare la prima delle due affermazioni, ossia che nazismo e comunismo fossero la stessa cosa, o anche soltanto affini tra loro. In comune ebbero sicuramente l’impostazione dittatoriale e monopartitica. La prima delle due caratteristiche non le rende affatto imparentate tra loro, non foss’altro perché la stragrande maggioranza delle civiltà del passato furono rette da sistemi politici non democratici, dove la libertà di espressione era inesistente: se si ragionasse così, anche i faraoni d’Egitto o i re Sumeri potrebbero essere considerati ispiratori di regimi affini a quelli del ‘900, e sarebbe necessaria una condanna del Parlamento Europeo per ciascuna di queste civiltà. La presenza di un sistema istituzionale autoritario in cui il potere è detenuto da un partito unico rappresenta invece un carattere di similitudine tra i regimi fascisti e quelli comunisti. Ma, rilevato questo, ossia la presenza di un singolo partito, le parentele finiscono qui.
Negli ambienti più colti di orientamento liberale si fa risalire l’origine comune delle due ideologie al filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Rappresentante della corrente degli idealisti tedeschi, viene oggi additato come il “padre nobile” dei totalitarismi del XX secolo. Precisamente questa osservazione contiene una grossolana falsità: non tutte le ideologie in questione ebbero una teorizzazione hegeliana come base filosofica. Per il marxismo non ci sono dubbi, Marx si ispirava ad Hegel e faceva parte della corrente della “sinistra hegeliana”. Ma per quanto riguarda il nazismo non è così: l’ideologia del Partito Nazionalsocialista di Hitler era basata sul libro scritto dal futuro Fürher nel 1925, “Mein Kampf”, nel quale i riferimenti al pensiero e alle opere di Hegel sono totalmente assenti (anche per un motivo molto semplice: Hitler era troppo ignorante per aver letto Hegel). Potrebbe essere vero nel caso del fascismo italiano, perché ebbe Giovanni Gentile come ideologo, il quale era appunto un pensatore hegeliano. Ma attenzione: non fu Gentile a inventare e realizzare il Partito Fascista Nazionale, in cui confluì solo dopo l’affermazione del regime; inizialmente Gentile faceva parte dell’Associazione Nazionalista che aderì al PFN solo una volta consolidatosi il potere di quest’ultimo. Un’aggiunta ideologica posticcia, si potrebbe dire. E non è tutto: alla corrente degli idealisti italiani appartenevano anche filosofi liberali quali Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis e Benedetto Croce. È quello che basta e avanza per squalificare la tesi che in Hegel risieda una comune “radice totalitaria”, giacché il suo pensiero non si ritrova alla base del nazismo tedesco, si trova solo a posteriori nel fascismo e ricompare più volte nel liberalismo.
Lasciando da parte le impostazioni teoriche, c’è una differenza enorme tra i sistemi economico-sociali dei regimi in Europa nel XX secolo. Al giorno d’oggi si tende a dimenticare molto facilmente che negli stati comunisti veniva abolita la proprietà privata. Nei paesi fascisti no. E non è esattamente una differenza da poco. Non è un mistero (anche se oggi lo si tende a minimizzare) che la borghesia tedesca e in particolar modo il ceto industriale sostenne massicciamente il Partito Nazista di Hitler a fini di anticomunismo, giacché dopo la rivolta degli Spartachisti e la proclamazione della Repubblica Bavarese dei Consigli lo spettro di una rivoluzione socialista sul modello sovietico era stato ad un soffio dal concretizzarsi. Hilter ricevette sostegno economico anche da parte di industriali di paesi stranieri, che condividevano il medesimo timore. La narrazione liberale di oggi tende a enfatizzare la presenza della parola “socialismo” nel nome del partito di Hitler, che rappresentava anche il motivo per cui la bandiera del NSDAP era su campo rosso. In realtà il “socialismo” nella Germania del 1933-1945 non fu mai realizzato, e anzi la fazione del partito che ancora si batteva per realizzare i punti socialisti del programma del partito, ossia le Sturm Abteilungen (SA) di Ernst Röhm, fu liquidata fisicamente durante la “Notte dei Lunghi Coltelli” del 30 Giugno 1934. Pertanto la Germania hitleriana rimase sempre un paese ad economia assolutamente capitalista di mercato, e da questo punto di vista conservò più affinità con Francia e Gran Bretagna che con l’URSS comunista. A proposito: Stalin una volta giunto al potere cancellò il piano di Nuova Politica Economica (NEP) di Lenin, che prevedeva una parziale reintroduzione della proprietà privata, virò verso un’economia strettamente pianificata e statalizzata, aumentando ulteriormente il proprio divario strutturale con le dittature di estrema destra.
La disamina sulle enormi differenze tra nazismo e comunismo è necessaria per capire come mai sia improponibile la tesi secondo cui l’URSS fu responsabile dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. L’atmosfera politica degli anni ’30 fu quello di un’odio insanabile tra i regimi di stampo fascista e il comunismo sovietico. Al di là del fatto che in Italia e in Germania i partiti comunisti furono brutalmente repressi, così come in tutti i coevi regimi di destra (Ungheria, Romania, ecc.), nel 1936 a Berlino venne firmato il Patto Anticomintern, un trattato di alleanza politica finalizzato a combattere il comunismo sia nell’URSS sia nel resto del mondo: i primi aderenti furono Germania e Giappone, ma si aggiunsero successivamente l’Italia (1937), l’Ungheria, il Manciukuò, la Spagna (1939) e molti altri paesi durante la guerra mondiale. Se nazismo e comunismo fossero stati amici o anche avessero avuto qualche affinità, a nessuno sarebbe venuto in mente di accomunare, in un’alleanza, regimi totalitari “desiderosi di cooperare nella difesa contro le attività sovversive comuniste” [citazione da uno stralcio del trattato].
L’esistenza del Patto Anticomintern nei testi scolastici italiani di oggi viene il più delle volte omesso, nei pochi altri casi minimizzato. All’esatto contrario, viene data enorme enfasi al già citato patto Moltov-Ribbentrop, presentato al pubblico e agli studenti come una vera e propria alleanza militare attraverso la quale Germania e URSS si spartirono la Polonia. In realtà il trattato non fu un’alleanza, ma un patto di non-aggressione, che è una cosa molto diversa. Tra il 1939 (anno del patto) e il 1941 l’Unione Sovietica non si trovò mai in stato di guerra con Gran Bretagna e Francia, men che meno con tutti gli altri paesi di volta in volta invasi dalla Wehrmacht, rispetto ai quali Stalin mantenne un atteggiamento di assoluta neutralità. Per quel che riguarda la “spartizione della Polonia” va ricordato che i territori inglobati nell’URSS erano stati parte dell’Impero Russo prima della rivoluzione del 1917 ed erano abitati in maggioranza da Bielorussi ed Ucraini; tant’è vero che quelle regioni stesse a tutt’oggi fanno parte di Bielorussia e Ucraina rispettivamente, e la Polonia non ha mai neanche accennato a rivendicarli: in città quali Leopoli, Brest e Grodno i Polacchi erano allora e sono ancora oggi una minoranza etnica. Inoltre il patto Moltov – Ribbentrop fu la conseguenza del Trattato di Monaco, con cui Gran Bretagna e Francia avevano acconsentito all’espansione territoriale tedesca verso est (la risoluzione del Parlamento Europeo si è ben guardata da accennare le gravissime complicità degli occidentali coi nazisti a Monaco), nei confronti della quale l’URSS doveva prendere provvedimenti se non voleva essere aggredita a sua volta, cosa che comunque accadde. Episodi come il massacro di Katyn, che sicuramente furono gravi crimini contro l’umanità e di cui è più che corretto mantenere viva la memoria, non sono di per sé sufficienti per stabilire la parternità dello scoppio del conflitto ai sovietici.
Se si legge attentamente il testo della risoluzione del Parlamento Europeo, i punti più preoccupanti sono il 15 e il 16, perché includono un’esplicita condanna della Federazione Russa per il suo atteggiamento nei confronti dei fatti storici descritti. Il punto 15 recita “il suo sviluppo in uno Stato democratico continuerà a essere ostacolato fintantoché il governo, l’élite politica e la propaganda politica continueranno a insabbiare i crimini del regime comunista e ad esaltare il regime totalitario sovietico”.
Innanzitutto si parte dal presupposto che la Federazione Russa di oggi non sia democratica, e già questo è un assunto fasullo e strumentale. Inoltre non si capisce di quale insabbiamento si stia parlando, giacché gran parte degli archivi storici sull’epoca in oggetto furono aperti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, e sono ancora oggi a disposizione degli studiosi anche occidentali. Ma l’affermazione più fantasiosa è alla fine: l’esaltazione del totalitarismo comunista. I parlamentari europei fanno finta di non sapere che nella Russia di oggi il Partito Comunista è all’opposizione, che chi governa è politicamente anticomunista, che i dittatori sovietici del ‘900 vengono tutt’altro che esaltati (chiunque abbia visto un film russo contemporaneo sull’epoca sovietica lo sa; ma bisognerebbe averli visti, giacché di pellicole russe in Italia ne girano molto poche, chissà perché…) e che Stalin in primis viene descritto come un criminale ambizioso.
Ciò che viene fatto in Russia invece è esaltare il grande coraggio, l’abnegazione e gli immani sacrifici dei popoli sovietici che, a costo di 26 milioni di morti (contro 300 mila americani e 600 mila britannici, giusto per ricordare) respinsero l’invasione nazista del 1941 annientando il 75% delle forze armate del Terzo Reich. Cosa dovrebbero fare i Russi di oggi, festeggiare solo le vittorie degli Anglo-americani? Ignorare i loro nonni, seppellirne la memoria e fare finta che nulla sia accaduto? Il Parlamento Europeo pare che pretenda questo. Naturalmente lo stesso esercizio non è richiesto ad un paese candidato ad entrare nella UE, il cui eroe nazionale è un criminale nazista direttamente responsabile del massacro di centinaia di migliaia di Ebrei nell’ambito della Shoah – Stepan Bandera – e in cui oggi si verificano quotidianamente persecuzioni politiche e religiose: stiamo parlando dell’Ucraina contemporanea.
Leggere il punto 16 della risoluzione fa letteralmente gelare il sangue nelle vene: “considera tali sforzi [dei Russi] una componente pericolosa della guerra di informazione condotta contro l’Europa democratica allo scopo di dividere l’Europa”. Cioè non solo il Parlamento Europeo non accetta che la Federazione Russa commemori la sua vittoria durante la Seconda Guerra Mondiale perché questa sarebbe da lei stata provocata, ma addirittura sostiene che la Russia lo farebbe al fine di aggredire militarmente l’Unione Europea stessa e di inficiarne le istituzioni. D’altra parte, nello stesso documento al punto 14 troviamo che “alla luce della loro adesione all’UE e alla NATO, i paesi dell’Europa centrale e orientale […] sono tornati in seno alla famiglia europea di paesi democratici liberi”. Il riferimento all’Alleanza Atlantica, che non include tutti i paesi della UE e che annovera paesi extraeuropei e non precisamente democratici come la Turchia, è estremamente rivelatorio in merito alle intenzioni propagandistiche, ideologiche e ad uso militare della risoluzione 19/09/2019.
Questa risoluzione è finalizzata ad indottrinare i popoli dell’Unione Europea, convincendoli che l’URSS non solo sia stata responsabile della Seconda Guerra Mondiale, ma che sia tutt’oggi un paese aggressivo e militarista. E qualcuno cerca di fissare tali concetti, basati su falsi storici, nella coscienza delle giovani generazioni europee. Lo scopo di tale operazione è preparare culturalmente e psicologicamente i cittadini della UE ad uno scontro militare con la Russia, che la NATO sta predisponendo già da anni, e in merito al quale l’Alleanza Atlantica non esiterà ad addossare la colpa alla Russia tramite qualche bufala preparata ad arte: ci sarà sempre qualche fialetta di latte come quella di Colin Powell da esibire presso i media e l’opinione pubblica per additare i Russi come aggressori.
La risoluzione europea di cui s’è parlato pone i cittadini italiani di fronte ad una scelta ben precisa. Restare in un’organizzazione sovranazionale, la UE, la cui simbiosi politico-militare con la NATO è evidente e dichiarata, ci sottopone al rischio molto concreto di un futuro conflitto termonucleare con la Federazione Russa. Chi pensa che questo sia giusto o accettabile può lasciare le cose come stanno. Chi invece crede che sia pericoloso e criminale, e che non sia esattamente il nostro interesse, deve rendersi conto che restare nell’Unione Europea comporti accettare una politica ideologica e guerrafondaia. Restare “Europei” e cercare la pace con la Russia, dopo il documento 19/09/2019 è divenuto impossibile: si tratta pur sempre di una delibera ufficiale di un’istituzione comunitaria. E chi cerca di far coesistere le due scelte, sia chiaro, sta operando un esercizio di sfacciata e inconcludente ipocrisia.
*****
Articolo di Marco Trombino per Saker Italia
No comments!
There are no comments yet, but you can be first to comment this article.