Il presidente russo Vladimir Putin viene insultato come nemico dell’Occidente in generale, e dell’Unione Europea in particolare, eppure il Primo Ministro ungherese Orbán continua a condurre “affari come al solito” con il Cremlino.
Il “salon des refusés” dei dissidenti politici nell’UE sta aumentando di giorno in giorno. Meno di una settimana dopo che il suo governo è stato condannato da un voto al Parlamento Europeo, Orbán è a Mosca per parlare di energia con Putin. La sua visita in Russia è l’equivalente politico del mostrare all’UE il dito medio dopo l’umiliazione della settimana scorsa.
Orbán non è solo. Nella sua battaglia con l’UE sull’immigrazione e lo stato di diritto, è sostenuto dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca. La Polonia, che sta affrontando una procedura ai sensi dell’Articolo 7 da parte della Commissione Europea, ha promesso di proteggere l’Ungheria, proprio come l’Ungheria ha promesso di proteggere la Polonia. Quindi non c’è modo che entrambi i paesi possano perdere il diritto di voto, dal momento che il voto finale per farlo richiede l’unanimità. Inoltre Orbán ha ricevuto di recente il sostegno del Primo Ministro ceco Andrej Babiš e del ministro dell’interno italiano, Matteo Salvini.
Questi politici hanno espresso sostegno per la posizione di Orbán contro l’immigrazione. Ma sostengono anche il suo approccio pragmatico con la Russia. Salvini è un noto critico delle sanzioni alla Russia, e l’Italia ha detto che dovrebbero finire. Alcune parti del governo austriaco sono d’accordo, il ministro degli Esteri austriaco Karin Kneissl ha recentemente avuto Putin come ospite d’onore al suo matrimonio, mentre il Vice-Cancelliere Heinz-Christian Strache, è ben noto per le sue vedute filo-russe e a favore di Putin. D’altra parte, il Cancelliere Sebastian Kurz ha rassicurato i critici sul fatto che l’Austria è radicata nell’UE e condivide [in inglese] la sua posizione nei confronti della Russia.
La cosa che colpisce di Orbán e dei suoi alleati dell’Europa centrale (che includono guardacaso il presidente ceco Miloš Zeman), è che provengono da paesi che, come dice Orbán, hanno sofferto [in inglese] molto “a causa della Russia” in passato. Si riferisce all’adesione dei paesi al Patto di Varsavia e alla loro sottomissione al dominio Comunista, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel caso dell’Ungheria, la sofferenza fu particolarmente violenta a causa della repressione della rivoluzione del 1956 a Budapest da parte delle truppe sovietiche. Eppure sono proprio questi paesi che oggi difendono una relazione pragmatica con la Russia, mentre paesi come la Gran Bretagna e persino la Germania considerano la Russia come se fosse ancora una dittatura comunista con la Guerra Fredda in pieno svolgimento.
L’ironia è ancora più grande perché Orbán ha svolto personalmente un ruolo chiave – ma spesso dimenticato dagli storici – nel porre fine al dominio sovietico nell’Europa centrale. Il suo discorso in Piazza degli Eroi a Budapest il 16 giugno 1989 in occasione della ri-sepoltura del capo della rivolta del 1956, Imre Nagy, fu la prima volta in cui qualcuno nel Patto di Varsavia chiese pubblicamente il ritiro delle truppe sovietiche. La semplice ideazione di questo discorso mostrò che i vecchi tabù – e, con essi, il potere della dittatura comunista – erano crollati. Questo accadeva due mesi prima che il governo ungherese aprisse il confine con l’Austria, permettendo a decine di migliaia di tedeschi dell’est di andare in Germania Ovest e cinque mesi prima che il Muro di Berlino crollasse. Il contributo di Orbán alla reazione a catena che portò a questi eventi è stato quindi decisivo.
C’è solo una spiegazione per questo apparente paradosso, che vede alcuni ex leader anticomunisti dell’Europa centrale essere ora filo-russi. A differenza dei loro colleghi occidentali, che non sono mai stati direttamente colpiti dal dominio comunista, gli stati dell’ex Patto di Varsavia comprendono non solo che la Russia non è più la vecchia Unione Sovietica, dato che ha abbandonato il comunismo, ma anche che l’identità nazionale e l’orgoglio dell’identità nazionale erano la chiave per disfare il dominio comunista in Europa centrale e poi nella stessa Russia. Il discorso di Orbán del 1989 era un appello patriottico agli ungheresi: faceva risalire la loro battaglia per la libertà nazionale fino al 1848. La libertà e l’orgoglio nazionale andavano di pari passo.
Come in Polonia, dove non solo l’identità nazionale ma anche la religione ha giocato un ruolo chiave nella caduta del Comunismo, gli ungheresi (e i cechi e molti altri) ora vedono con sgomento quella stessa identità nazionale che li ha liberati dal Comunismo sotto attacco dei nuovi commissari a Bruxelles. Questo perché l’approccio nell’Europa occidentale è esattamente l’opposto. L’orgoglio per la propria nazione è considerato arretrato e pericoloso, soprattutto perché l’orgoglio nazionale è stato irrimediabilmente danneggiato durante la guerra.
Il fatto è che tutti i primi stati membri dell’UE furono sconfitti nella guerra, sia dai tedeschi che dagli alleati. Durante il processo di sconfitta, l’orgoglio nazionale andò in rovina, o attraverso la barbarie del Nazismo e del Fascismo o attraverso varie forme di collaborazione nazionalista con essi. Tutto ciò macchia la storia di quelle nazioni. Solo in Gran Bretagna l’orgoglio nazionale fu la chiave della vittoria; per tutti gli altri fu la chiave per la sconfitta. (L’unica eccezione parziale a questa regola è la Francia, che mantenne un certo senso di orgoglio nazionale dopo la guerra, ma, nei decenni successivi, la memoria della resistenza gollista fu cancellata da un più forte ricordo della vergogna nazionale di Vichy).
A causa di ciò, gli stati dell’Europa occidentale hanno adottato l’ideologia dell’UE, secondo cui la storia europea prima della creazione dell’UE non era altro che guerre tra stati-nazione. In effetti, la rivalità nazionale era la chiave di queste guerre. Affinché ci sia la pace, si sostiene, gli stati-nazione europei devono essere dissolti in un’entità sovranazionale. La Germania ha portato a termine il compito di ripulire la sua storia nazionale in un modo più completo di qualsiasi altro stato europeo, ma gli altri paesi condividono parti, a volte grandi parti, di questo stesso modello storiografico e politico tedesco.
A dire il vero, gli stati dell’Europa centrale hanno scheletri nei loro armadi riguardanti la guerra. L’Ungheria fu un alleato della Germania nazista per tutta la sua durata. Ma il ricordo più recente della vittoria nazionale sul Comunismo ha riacceso l’orgoglio nazionale, mentre gli stati dell’Europa occidentale non hanno avuto alcuna vittoria comparabile, e quindi hanno messo tutta la loro fiducia nel progetto europeo post-nazionale e post-moderno. Inoltre, mentre il Comunismo è stato ampiamente respinto come ideologia dalle persone che vivono sotto di esso – compresa la Russia sovietica – l’ideologia del Liberalismo è penetrata molto profondamente nella coscienza dell’Europa occidentale, fino al punto di estinguere il sentimento nazionale. Il Liberalismo ha avuto più successo in questo senso di quanto lo abbia avuto il Comunismo, anche se perfino il Marxismo ortodosso chiedeva la fine dello stato-nazione.
Questa frattura est-ovest è una delle principali linee di divisione ideologica all’interno dell’Unione Europea. Il voto al Parlamento europeo della scorsa settimana, in cui oltre due terzi dei deputati europei si sono uniti contro uno stato membro in nome della loro parziale interpretazione dello “stato di diritto”, è stato un momento storico che ha portato alla luce la profondità di questo approccio radicalmente diverso alla politica e alla storia. Anche gli atteggiamenti opposti nei confronti della Russia fanno parte di questa divisione. Come ha detto Marx, la storia si ripete, prima come tragedia e poi come farsa, come abbiamo visto a Strasburgo la scorsa settimana: l’Unione Europea, come l’Unione Sovietica, a tempo debito scoprirà che l’identità nazionale è più forte persino della sua ideologia politica.
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Articolo di John Laughland pubblicato su Russia Today il 18 settembre 2018.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci su SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
Direi che e’ abbastanza semplice, l’Europa occidentale ( UE ) ha imbastito un sistema di potere identico alla Unione Sovietica, per questo i Paesi dell’est Europa sono cosi scettici, avendolo provato. ( gli occidentali quasi non hanno capito l’inganno )
Ottimo articolo ( come al solito😉) vero e’ che i burocrati europei lo capiranno tra qualche mese, e le prossime votazioni saranno un ennesimo brutto risveglio per l 4° Reich……
Cordialmente