Ignorare il 75° anniversario della liberazione di Varsavia è solo l’ultima discutibile decisione delle autorità polacche, desiderose di riscrivere la storia della Seconda Guerra Mondiale per adattarla meglio ai moderni imperativi politici. Ma non è patriottismo.
Unità dell’Armata Rossa e della 1a Armata Polacca entrarono a Varsavia il 17 gennaio 1945, ponendo fine a più di cinque anni di occupazione tedesca. Settantacinque anni dopo il fatto, Varsavia sceglie di non onorare i suoi liberatori.
Anzi, al contrario: le moderne autorità polacche insistono sul fatto che il loro paese sia stato una vittima assolutamente innocente sia della Germania Nazista che dell’Unione Sovietica, affermando la loro equivalenza morale.
Questo tipo di revisionismo storico è chiaramente motivato politicamente. Mentre la Repubblica Popolare di Polonia (1947-1989) fu partner dell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, la Terza Repubblica Polacca si è affrettata a diventare un vassallo degli Stati Uniti alla sua conclusione, aderendo alla NATO nel 1999 e all’UE nel 2004.
In vista dell’invasione dell’Iraq del 2003, il Segretario alla Difesa USA Donald Rumsfeld indicò senza mezzi termini il sostegno da parte dei paesi della “Nuova Europa” come la Polonia come un modo per respingere le obiezioni di Francia o Germania. Anche se Varsavia può crogiolarsi in questa adulazione di Washington, le sue relazioni con l’UE e la Russia sono diventate di conseguenza più tese.
La revisione della storia della Seconda Guerra Mondiale è particolarmente preoccupante per Mosca. La Russia moderna ha smantellato gran parte del retaggio dell’Unione Sovietica, ma si rifiuta – con buona ragione – di disonorare i quasi 27 milioni di morti nella guerra per sconfiggere Hitler.
Immaginate se la Francia scegliesse di disseppellire le tombe delle truppe statunitensi che sbarcarono in Normandia nel D-Day a causa di un conflitto politico con Washington, e capirete perché i russi sono furiosi a causa del revisionismo polacco e della rimozione dei monumenti ai liberatori sovietici.
Proprio il mese scorso, Mosca e Varsavia si sono scambiate iniziative diplomatiche dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha descritto il diplomatico polacco interbellico Józef Lipski come un antisemita e un simpatizzante di Hitler. Tuttavia, non si può negare che Lipski fosse entrambi; o che la Polonia fu il primo paese a firmare un patto di non aggressione con la Germania nazista nel 1934; o che Varsavia partecipò con entusiasmo alla divisione della Cecoslovacchia del 1938 a Monaco.
“Questa donna protesta un po’ troppo, secondo me”, direbbe Shakespeare.
Tenete presente che Russia e Polonia hanno una storia di rivalità reciproca che risale a secoli fa. La Russia celebra la vittoria del 1612 sugli invasori polacchi come festa nazionale, mentre le forze armate polacche festeggiano l’anniversario della loro vittoria del 1920 sulla cavalleria sovietica alle porte di Varsavia.
Eppure c’è molto di più che semplici rancori storici. Anche se pure Prussia e Impero Austriaco parteciparono alla divisione della Polonia e alla sua cancellazione dalle mappe entro il 1795, il moderno nazionalismo polacco è quasi esclusivamente russofobo. Anche se in Polonia si parla in modo romantico delle “Kresy” (frontiere) perdute a favore dei sovietici dopo la Seconda Guerra Mondiale, nessuno a Varsavia suggerirebbe alla Germania, alleato della NATO, di restituire la Prussia orientale, la Pomerania, il Brandeburgo orientale o la Slesia, o di reclamare Wilno (Vilnius) da un altro alleato della NATO, la Lituania – e tanto meno di pretendere l’attuale Ucraina occidentale.
Peggio ancora, i polacchi che protestano contro questo tipo di revisionismo, o osano dire una parola gentile su qualsiasi cosa coinvolga i liberatori sovietici o la Repubblica Popolare, sembrano essere costretti al silenzio dall’establishment, determinato ad imporre la propria versione della storia.
Varsavia è arrivata al punto di invitare la cancelliera tedesca Angela Merkel alla commemorazione di settembre dell’invasione nazista del 1939, ma si è rifiutata di invitare Putin all’anniversario della liberazione di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche. Onorare la Germania in questo modo appare assurdo, considerando che i piani Nazisti per un “Reich millenario” ad est prevedevano lo sterminio dei polacchi allo stesso modo degli Ebrei.
I critici russi hanno dipinto gli sforzi polacchi come tentativi di riabilitare il “Fascismo”. Anche se non si può negare che oggigiorno molti paesi della NATO e dell’UE coltivano apertamente tendenze nazionalistiche – mi vengono in mente la Croazia e gli Stati baltici – e che la stessa Germania ha “riciclato” molta della sua stessa eredità della Seconda Guerra Mondiale attraverso le operazioni della NATO nei Balcani e altrove, in fin dei conti sono rispettosamente in disaccordo. Per questo storico, il comportamento delle autorità polacche assomiglia più ad un vergognoso servilismo nei confronti dei loro nuovi padroni.
Considerate il fatto che il governo polacco ha gestito una campagna per far sì che gli Stati Uniti installassero una base permanente sul suo territorio, proponendo anche di chiamarla “Fort Trump” nel tentativo di lusingare l’ego del presidente in carica degli Stati Uniti.
Nel frattempo, demolendo i monumenti agli “occupanti” sovietici, hanno sputato anche sulla memoria di decine di migliaia di polacchi che hanno combattuto e sono morti insieme all’Armata Rossa per liberare la loro patria dalla Germania Nazista.
C’è il nazionalismo, e poi c’è il patriottismo, ma questo non è chiaramente nessuno dei due.
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Articolo di Nebojsa Malic pubblicato su Russia Today il 17 gennaio 2020
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.
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Ahahaha, apparentemente l’autore vorrebbe sostituire la conveniente narrazione storica propagandata oggi dall’establishment polacco con una narrazione altrettanto tendenziosa, ma russofila, secondo la quale i russi avrebbero “liberato” la Polonia per spirito di solidarietà contro il solito “male assoluto”. Beata ingenuità o pelosa retorica?
Pirla. Se ignori la storia.. cz campi a fare . Non si deve mischiare la liberazione dal nazifascismo prima, con ciò che avvenne dopo. Sennò si fa un tutt’uno senza differenza