Il 2 febbraio l’Estonia ha celebrato con un fasto senza precedenti il 100° anniversario del Trattato di Pace di Tartu con la Russia Sovietica. Il livello di queste celebrazioni è evidenziato da un elenco tutt’altro che completo di eventi dedicati all’anniversario: conferenze, lezioni online, concerti, messe, raduni. L’Estonia ha emesso una moneta da 2 € e una medaglia commemorativa in onore dell’anniversario, ha presentato sculture parlanti e un tappeto intessuto in onore del trattato, e ha persino messo in scena una sua rievocazione teatrale. Siamo d’accordo, pochi documenti internazionali hanno ricevuto tale onore.
Sicuramente nulla di tutto ciò sarebbe accaduto se il Trattato di Tartu del 1920 non avesse recentemente iniziato a stratificarsi con i moderni eventi politici, e le rivendicazioni territoriali contro la Russia che vengono sempre più espresse dai rappresentanti di alcune forze politiche estoni. Innanzitutto, il Partito Popolare Conservatore Estone (EKRE), che fa parte della coalizione al potere dallo scorso anno. È arrivato al punto che le rivendicazioni sono state avanzate anche nel discorso per il nuovo anno [in estone] dello Presidente del Parlamento, Henn Põlluaas, che rappresenta questo partito. Congratulandosi con il popolo estone per il nuovo anno 2020, ha affermato che il Trattato di Tartu è valido e che pertanto valgono anche i confini tra Estonia e Russia stabiliti da questo documento.
In linea di principio, e prima dell’ascesa dell’EKRE come “grande potenza” del firmamento politico, i riferimenti al patto del 1920 hanno creato ripetutamente problemi nei rapporti tra Russia ed Estonia. Vale la pena ricordare che è proprio a causa di questo documento che non abbiamo ancora un accordo sulle frontiere. Questo trattato, siglato da entrambe le parti già negli anni ‘90, alla fine non fu ratificato a causa del tentativo di Tallinn di imbrogliare palesemente, aggiungendo unilateralmente al preambolo all’ultimo momento un riferimento allo stesso Trattato di Tartu. Ci sono voluti anni per firmare nuovamente un trattato senza un preambolo provocatorio. Ma se la precedente composizione del Parlamento estone non ha rischiato di ratificarlo, quello attuale, con un simile presidente e con l’EKRE nella coalizione, non sarà in grado di fare questo passo.
Il problema è che nel 1920, quando firmarono il trattato nella città di Tartu, che in Russia era ancora chiamata Yuryev (motivo per cui la versione russa del documento include questo nome), i Bolscevichi fecero concessioni inaudite, accettando l’inclusione nell’Estonia di Ivangorod e di distretti abitati principalmente dalla popolazione russa. Inoltre, Mosca si impegnò a destinare a Tallinn una parte della riserva aurea dell’Impero russo (i moderni storici estoni affermano che furono consegnate 11 tonnellate di oro), cancellando allo stesso tempo parte dei debiti imperiali (in tutta onestà, si dovrebbe notare che gli stessi Bolscevichi non li avevano ancora saldati con nessuno). E non è tutto. In cambio della pace, l’Estonia ottenne una concessione per il disboscamento in Russia.
Nonostante delle condizioni francamente da furto, Lenin accolse il trattato con entusiasmo. Per diverse settimane nei suoi discorsi e articoli definì il documento “uno sfondamento del blocco”, “un atto di enorme importanza storica”, “una finestra sull’Europa” e così via. Il fatto è che questo fu il primo accordo inter-statale con uno stato europeo capitalista. Secondo gli standard attuali, verrebbe descritto come un patto tra due “repubbliche autoproclamate non riconosciute”. Ma Lenin sperava in questo modo di intaccare l’unità dell’Europa e rompere il blocco economico. “Abbiamo fatto pace con l’Estonia – una prima pace che verrà seguita da altre, aprendo la possibilità di scambi commerciali con l’Europa e l’America”, scrisse sul quotidiano “Pravda”.
Allo stesso tempo, il leader della Russia sovietica ammise di aver dato agli estoni territori puramente russi, che non avevano mai avuto a che fare con l’Estonia. Lo spiegò in modo semplice: “Non vogliamo versare il sangue dei lavoratori e dei soldati dell’Armata Rossa per un pezzo di terra, soprattutto perché questa concessione non è fatta per sempre: l’Estonia sta attraversando un periodo alla Kerenskij, i lavoratori <…> rovesceranno presto questo governo e creeranno l’Estonia sovietica, che firmerà un nuovo trattato con noi”.
Questo approccio alla definizione dei confini era tipico dei Bolscevichi fin dall’inizio. Le frontiere erano considerate una convenzione e una reliquia del passato. Dopotutto, la rivoluzione mondiale stava per scoppiare – e poi “tutte le repubbliche sovietiche si uniranno in un’unica federazione Socialista mondiale”.
Quindi, non c’era molta differenza a chi andava questo o quel distretto amministrativo. È su questa base, ad esempio, che il Donbass si è unito all’Ucraina, come ha ripetutamente sottolineato [in inglese] Vladimir Putin.
Ma nel 1940, quando l’Estonia venne annessa all’URSS, il Trattato di Tartu (Yuryev) perse forza, e i distretti a maggioranza russa furono trasferiti alla Russia, nelle regioni di Pskov e Leningrado. Sono queste regioni che i mega-patrioti dell’EKRE ora rivendicano, avanzando periodicamente rivendicazioni territoriali contro Mosca e ignorando il principio dell’inviolabilità dei confini postbellici.
I politici estoni che discutono di questo argomento non sembrano nemmeno capire quale Vaso di Pandora stanno cercando di aprire. Beh, allora, se vogliono far rivivere un documento perduto da secoli, perché non scavare più a fondo e avvicinarsi, diciamo, al Trattato di Nystad del 1721, per mezzo del quale la Russia, in effetti, ottenne il possesso legale dell’intero attuale territorio dell’Estonia e parte della Lettonia (Riga compresa). E per ottenere questo Pietro I pagò somme sostanziali per l’epoca. Nessuno degli attuali politici baltici solleva la questione del risarcimento per il trattato scaduto, e non chiede che sia incluso nel preambolo di nuovi documenti internazionali. Pompose celebrazioni d’anniversario in onore del 300° anniversario di questo trattato non sono ancora previste nei Paesi Baltici.
Se ricordiamo i confini creati dai conflitti del 1920, i lituani dovrebbero dare Vilnius ai polacchi, che dovrebbero ricevere anche Leopoli dagli ucraini. Se puntassimo ad ottenere i confini del dopoguerra, la Polonia occidentale dovrebbe trovarsi in Germania. Ma per qualche motivo nessuno di questi paesi, che si è precipitato a controllare gli eventi storici del 20° secolo, suggerisce questa soluzione.
D’altra parte, è diventato di moda per loro chiedere riparazioni, risarcimenti e indennità alla Russia. È divertente, ad esempio, guardare l’ex ministro degli Affari Esteri dell’Ucraina Pavlo Klimkin chiedere un risarcimento per “l’occupazione del regime di Stalin di una parte del territorio della Polonia e dell’Ucraina”. Vorrei chiedere quale parte dell’Ucraina occupasse questo regime. Se si tratta ancora della Leopoli polacca, sembra che l’attuale regime di Kiev continui a controllarla. Di conseguenza, cosa dovrebbe compensare Mosca, e a chi? Che capiscano loro chi è l’“occupante” per chi.
Tutti i tentativi attuali da parte dei giovani europei di rivedere la storia e tirar fuori dalla naftalina documenti ormai defunti di epoche passate si ritorceranno sicuramente contro di loro. Naturalmente, tutto ciò è destinato al fallimento, e non vale nemmeno la moneta dell’anniversario in onore del Trattato di Tartu. Ma nei prossimi anni assisteremo a più di uno di questi anniversari, con il silenzio obbligatorio nei confronti di altri – “imbarazzanti” – anniversari.
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Articolo di Vladimir Kornilov pubblicato su Stalker Zone il 2 febbraio 2020
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
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