Chi è il più grande generale della storia?.
La domanda, pur essendo divertente da contemplare, è davvero spinosa, poiché presuppone che la figura del “generale” assuma una forma coerente che possa essere confrontata equamente attraverso i secoli. Riflettendoci, questo non è immediatamente evidente. È difficile immaginare Konstantin Rokossovskiĭ o Erich Manstein che guidano personalmente la carica della cavalleria macedone come fece Alessandro Magno – ma è altrettanto difficile immaginare Alessandro seduto doverosamente in un posto di comando, a scrutare mappe della situazione e a dirigere da lontano i movimenti di decine di divisioni. Il comandante ha scambiato la lancia e la spada con mappe, matite e telefoni.
Certo, il ruolo del generale è cambiato nel corso dei secoli, dagli eroici comandanti sul campo di battaglia del mondo antico, che combattevano e uccidevano nella mischia con i loro uomini, ai sempre più cerebrali e tecnici maestri della mappa. I generali affrontano ancora il pericolo e possono essere uccisi da armi che colpiscono in profondità come l’artiglieria, i missili e gli aerei, ma sono ormai lontani i tempi in cui ci si aspettava che un generale s’impegnasse intenzionalmente in un combattimento.
Nonostante questi cambiamenti radicali, alcune qualità del leader militare di successo rimangono eterne e trascendenti: risolutezza, nervi saldi, aggressività e prudenza opportunamente bilanciate, e leadership.
Quest’ultima qualità è diventata per molti un concetto banale e fumettistico. La “leadership” è stata ridotta ad una qualità che molti credono possa essere insegnata in classe o acquisita leggendo libri di economia o (Dio non voglia) guardando video motivazionali su YouTube con colonne sonore manipolative. È una qualità trascendente che molti sono ansiosi di privare della sua trascendenza per poterla burocratizzare, sistematizzare e monetizzare.
È un’assurdità. La leadership, il genio, la risolutezza sono qualità che emergono organicamente dal processo di lotta e sforzo collettivo. I primi re e capi tribù erano gli uomini che uccidevano i lupi e le tigri che terrorizzavano l’accampamento, non i diplomati di pedanti accademie. Gengis Khan fu acclamato sovrano di tutte le tribù della steppa perché uccideva i suoi nemici e ricompensava i suoi amici, non perché aveva letto l’ultimo libro di Simon Sinek. E soprattutto, il Duca di Wellington disse che la presenza di Napoleone in una battaglia valeva 40.000 uomini perché quest’ultimo possedeva innatamente l’indefinibile e irresistibile qualità del genio, non per il suo tipo di Enneagramma [in italiano]. Non bisogna confondere la leadership con il potere o la grandezza con i titoli.
I compiti del generale sono cambiati nel corso della storia, ma l’archetipo rimane senza tempo, anche se indefinibile. Il grande combattente, in qualsiasi epoca, è qualcosa che riconosciamo quando lo vediamo, e pochi meglio di Napoleone soddisfano quest’archetipo.
Napoleone, secondo qualsiasi calcolo, ha comandato più battaglie importanti di qualunque altro uomo nella storia, e ha quasi sempre vinto. All’apice delle sue forze, tra la campagna d’Italia del 1796 e l’inizio della sua caduta in Sassonia nel 1813, combatté 53 battaglie importanti e subì una sconfitta solo in 4 di esse. Vinse ripetutamente anche quando combatteva in svantaggio numerico, e vinse in estate e in inverno, nei deserti e sulle montagne, dalla Francia all’Egitto alla Russia.
Napoleone, naturalmente, alla fine perse le sue guerre, ma bisogna riconoscere che si trattava di un uomo così prodigiosamente abile in guerra, al comando di un esercito così finemente lavorato, che la sua sconfitta richiese il lavoro di cooperazione, senza esagerare, di tutta l’Europa. La cosiddetta Guerra della Sesta Coalizione, che portò infine alla sua sconfitta, contrappose la Francia napoleonica alla Russia, al Regno Unito, alla Prussia, all’Austria, al Portogallo, alla Danimarca, alla Svezia, alla Spagna, e infine a quasi tutti i principati germanici. Un’alleanza formidabile, ma Napoleone riuscì in qualche modo a spuntarla.
Chi è il più grande generale? Possiamo affidarci alla grande nemesi britannica di Napoleone, il Duca di Wellington. Una volta gli fu posta la stessa domanda e rispose senza esitazione: “In quest’epoca, nelle epoche passate, in ogni epoca, Napoleone”.
Soffermiamoci su Napoleone, e impariamo la sua arte della guerra.
.
Come muovere un esercito
Napoleone praticava un sistema di guerra discernibile, con motivi, tecniche e principi chiaramente identificabili. Tuttavia, questo sistema o arte della guerra deve essere ricavato dalle battaglie di Napoleone, perché egli stesso non scrisse mai una sorta di metodologia sistematica di combattimento. Il suo acume militare era intensamente pratico, e il sistema napoleonico fu creato dal fare, piuttosto che da studi e metodologie istituzionali. Ciò è in netto contrasto, ad esempio, con il modo di fare la guerra dei tedeschi di Prussia nel XIX secolo, che fu creato attraverso un programma intenzionale di riforme e teorizzazioni da parte dello Stato Maggiore. Napoleone non aveva tempo per questo: si limitava a combattere le battaglie. Nella misura in cui ha lasciato citazioni significative sul modo di fare la guerra, esse assumono la forma di aforismi, piuttosto che di un’unica trattazione sistematica della guerra.
Due principi generali sono chiaramente visibili nel sistema napoleonico e nelle parole dello stesso Napoleone. Si tratta della priorità assoluta dell’azione offensiva e della criticità di un movimento rapido e ambiguo. Napoleone era convinto che l’obiettivo centrale della guerra fosse la distruzione della massa combattente del nemico, e che tutte le altre preoccupazioni fossero subordinate alla necessità di trovare e distruggere l’esercito principale del nemico. Nel 1797 lo spiegò in questo modo:
Ci sono in Europa molti buoni generali, ma vedono troppe cose contemporaneamente. Io vedo solo una cosa, cioè il corpo principale del nemico. Cerco di schiacciarlo, confidando che le questioni secondarie si risolvano da sole..
Napoleone si sottrasse alla danza tra diplomazia, posizione e battaglia, e diede invece il primato alla battaglia, preferendo negoziare solo dopo che la principale forza combattente del nemico era stata vaporizzata. Inoltre rifuggiva fortemente dalla guerra d’assedio, preferendo cercare una decisione attraverso lo scontro diretto delle principali armate da campo. Se si muoveva verso i depositi di rifornimento e le città nemiche lo faceva perché, minacciandoli, avrebbe costretto il nemico a far scendere il proprio esercito sul campo di battaglia. Andava bene dirigersi verso la capitale del nemico, ma perché così facendo lo avrebbe costretto a mettere in mezzo il suo esercito, permettendogli di essere attaccato e distrutto.
Con quest’obiettivo in mente, Napoleone si concentrò maniacalmente sull’offensiva. Credeva fondamentalmente che un’azione offensiva decisiva fosse cruciale, poiché gli permetteva di dettare il ritmo delle operazioni e di costringere il nemico a diventare un’entità reattiva, concedendogli la piena iniziativa. “Fare la guerra in modo offensivo”, diceva, “è l’unico mezzo per diventare un grande capitano e per scoprire i segreti dell’arte”.
.
Napoleone seguì il suo stile di guerra d’attacco con un esercito che era in grado di muoversi in modo rapido ed efficiente, camuffando al contempo i suoi movimenti. Come disse lui stesso: “La strategia è l’arte di usare il tempo e lo spazio. Di quest’ultimo ho meno timore che del primo: lo spazio si può recuperare, il tempo mai”. La Grande Armée [in italiano] poteva muoversi ad una velocità sconvolgente per l’epoca, ma lo faceva in modo fuorviante e nascosto, lasciando ai nemici il compito di indovinare dove stesse andando. Questa combinazione di velocità e inganno lasciò ripetutamente gli avversari di Napoleone disorientati e in errore prima che venisse sparato un colpo di moschetto..
Tre particolari ingredienti furono fondamentali per conferire all’esercito di Napoleone la sua caratteristica velocità.
- Il sistema dei Corpi d’Armata: L’organizzazione dell’esercito napoleonico in Corpi d’Armata autosufficienti permise all’esercito di disperdersi e di avanzare su linee indipendenti. Questo rese l’esercito più veloce, distribuendolo su molte strade diverse, e più ambiguo, mascherando le sue intenzioni.
- Gli ufficiali: Disperdendo i suoi Corpi d’Armata, Napoleone disperse per definizione anche il suo sistema di comando. A differenza di Federico o Annibale, non poteva viaggiare personalmente con la massa del suo esercito e comandarla, perché non c’era una massa unica. Pertanto, il movimento preciso dell’esercito richiedeva che Napoleone delegasse ad ufficiali competenti che potessero essere incaricati del comando indipendente di una forza significativa. Si trattava di un passo monumentale verso un sistema di comando e controllo riconoscibilmente moderno e un corpo di ufficiali professionisti. All’apice di questo sistema c’erano i famosi Marescialli di Napoleone.
- Le strade e le città d’Europa: La Grande Armée era in grado di muoversi a grande velocità grazie alla densità delle strade e degli insediamenti in tutta Europa. Il sistema stradale consentiva non solo il rapido spostamento dei corpi principali degli uomini, ma anche la comunicazione tra le unità disperse tramite messaggeri a cavallo. Inoltre la densità di popolazione consentiva all’esercito di muoversi senza catene di rifornimento, requisendo il cibo ai civili locali al loro passaggio.
Gli eserciti di Napoleone potevano muoversi molto velocemente, ma il ritmo dell’avanzata variava molto a seconda della fase dell’operazione. All’inizio l’esercito era ampiamente disperso e marciava ad un ritmo (relativamente) tranquillo. Per la maggior parte del tempo le forze di Napoleone si muovevano ad una velocità compresa tra le 10 e le 12 miglia al giorno [da 16 a 20 chilometri]. Durante questa fase di apertura l’esercito sarebbe stato anche estremamente disperso, e alcuni dei fronti di apertura erano colossali. Nel 1796 l’invasione dell’Italia settentrionale da parte di Napoleone iniziò con le forze distribuite su un fronte di 75 miglia [120 chilometri]; la campagna di Ulm del 1805 iniziò su un fronte di 125 miglia [200 chilometri] e la famosa invasione della Russia iniziò con la Grande Armée schierata su un fronte di 250 miglia [400 chilometri].
Disperdere l’esercito su un’ampia linea di partenza permise a Napoleone di sfruttare un’importante asimmetria: il suo esercito poteva muoversi più velocemente e con maggiore precisione del nemico. Allargando il teatro delle operazioni, quindi, creò un vantaggio per se stesso, perché la parte più veloce sarà sempre in vantaggio in un’arena più ampia. La dispersione dell’esercito, oltre a mascherare le sue intenzioni al nemico, creava la massima flessibilità per i francesi, consentendogli di manovrare verso il punto in cui il nemico decideva di concentrare le sue forze. In alcuni casi l’ampiezza del fronte costrinse il nemico a dividere le proprie forze, nel qual caso Napoleone poté distruggere l’esercito nemico in pezzi.
Quando la Grande Armée avanzava verso il nemico era oscurata da un fitto schermo di cavalleria, che aveva funzioni sia di spionaggio che di controspionaggio. Cavalcando davanti alla massa dell’armata, la cavalleria esplorava e cercava informazioni sulla posizione e sui movimenti del nemico, ma aveva anche il compito di individuare e scacciare gli esploratori della cavalleria nemica. Con il movimento dell’esercito oscurato dietro questo schermo mobile, il nemico non poteva avere più di una vaga idea delle forze e delle intenzioni di Napoleone. Lo schermo formava una cortina, dietro la quale la massa francese era avvolta nella nebbia. Nella maggior parte dei casi lo schermo di cavalleria era l’unica porzione dell’esercito francese che gli esploratori nemici riuscivano a vedere fisicamente.
.
In genere, man mano che i francesi si avvicinavano alle forze nemiche, il fronte si restringeva e i corpi d’armata si avvicinavano gradualmente, preparandosi a concentrarsi per la battaglia decisiva. Il movimento dell’esercito era meno simile ad una colonna monolitica e più simile ad una rete che si stringeva lentamente man mano che si avvicinava al nemico. Poi arrivava il momento critico, quando Napoleone premeva il proverbiale grilletto. A quel punto il corpo d’armata avrebbe iniziato a riunirsi rapidamente in posizione di battaglia. Il ritmo della marcia aumentava radicalmente man mano che l’esercito si riuniva. In uno degli esempi più famosi e celebri, il maresciallo Louis-Nicolas Davout fece marciare il Terzo Corpo per quasi 80 miglia [130 chilometri] in circa 48 ore per raggiungere il campo di battaglia.
.
Questa era la forma idealizzata di manovra nel sistema di guerra di Napoleone. Un esercito diviso, composto di Corpi d’Armata autosufficienti che marciavano su un fronte ampio, uno schermo di cavalleria che oscurava i suoi movimenti precisi al nemico. Questo lasciava i comandanti nemici disorientati e al buio, poiché percepivano solo vagamente la massa combattente francese che avanzava come un’idra dalle molte teste. Solo una volta che l’esercito nemico era stato localizzato in modo decisivo, l’esercito disperso si sarebbe improvvisamente unito sul nemico, costringendolo alla battaglia decisiva.
.
Il combattimento napoleonico
La battaglia napoleonica era un’interazione fluida tra le tre armi: fanteria, cavalleria e cannoni. Nonostante le numerose citazioni famose di Napoleone sulla preminenza dell’artiglieria sul campo di battaglia (la sua predilezione per i cannoni risale agli inizi della carriera di ufficiale di artiglieria nell’esercito borbonico), non esisteva un singolo braccio più importante degli altri. Tutte e tre le armi interagivano con le altre in modi unici e importanti, e il successo della battaglia richiedeva un’applicazione sinergica dell’insieme.
.
La pietra angolare: la fanteria di Napoleone
Il tipo di soldato più numeroso negli eserciti di Napoleone e dei suoi avversari era l’umile fante di linea, dotato di moschetto e baionetta. La sua era un’esistenza brutale e terrificante.

I combattimenti napoleonici erano sanguinosi e terrificanti. Le perdite erano gigantesche rispetto alle precedenti guerre europee. Qui è reppresentato “Il quadrato britannico affronta la carica dei corazzieri francesi” di Henri Félix Emmanuel Philippoteaux.
.
Il moschetto era, a posteriori, un’arma piuttosto curiosa. La sua gittata e la sua precisione erano estremamente limitate. In un famoso esperimento condotto dall’esercito prussiano fu allestito un bersaglio di tela largo 30 metri e alto 2 metri su cui un battaglione di fanteria di linea poté provare a sparare. Le dimensioni del bersaglio creavano la generosa condizione di simulare una raffica sparata contro un intero battaglione nemico. I risultati quindi approssimavano le probabilità non di colpire un singolo soldato nemico specifico, ma di colpire chiunque nell’intera unità nemica. I risultati non furono incoraggianti. Da 150 metri di distanza – ben all’interno della portata dichiarata di un moschetto – solo il 40% dei colpi di prova colpiva la tela, mentre da 75 metri la percentuale era solo del 60%.
Anche da queste modeste distanze si sprecava un’enorme quantità di colpi. Tuttavia, quando le unità si avvicinavano a breve distanza – entro una cinquantina di metri – le perdite potevano essere terribili, poiché la distanza ridotta attenuava l’inaffidabile precisione dell’arma e il volume delle raffiche di un battaglione lanciava in aria enormi quantità di piombo. Le unità che dovevano stare a distanza ravvicinata e scambiare ripetute raffiche con il nemico potevano essere vaporizzate. Ad Austerlitz un reggimento particolarmente misero rimase in linea a scambiare fuoco finché non fu completamente distrutto, perdendo il 95% dei suoi uomini. Pertanto, a conti fatti, si potrebbe dire che, sebbene il singolo moschetto non fosse un’arma particolarmente affidabile o precisa, una massa di moschettieri che combatteva in ordine ravvicinato era un sistema militare molto potente e letale.

La spina dorsale dell’esercito
.
All’interno della fanteria c’erano sfumature di specializzazione. È noto che gli eserciti schieravano unità di “granatieri”. In origine il nome era una descrizione letterale: le granate primitive erano pesanti e instabili, quindi era pratica comune selezionare solo i soldati più alti e forti per le unità di granatieri, rendendoli l’élite fisica dell’esercito. All’epoca di Napoleone, tuttavia, le unità dedicate alle granate erano cadute in disuso, per cui il termine granatiere cessò di riferirsi al loro armamento e fu invece un’etichetta di status usata per la fanteria d’élite, rendendo i vari reggimenti di granatieri delle guardie semplicemente le unità di moschettieri più prestigiose ed esperte. Così, nella Grande Armée, un granatiere era equipaggiato in modo identico a qualsiasi altro moschettiere di linea, ma era più alto, più esperto, meglio retribuito e godeva di maggiore prestigio presso le donne. Un tipico battaglione di fanteria poteva avere una sola compagnia di granatieri, che servivano come truppe d’assalto e unità di punta del battaglione.
Un secondo particolare sottoinsieme della fanteria francese era costituito dai Voltigeurs, o tiratori scelti. Si trattava di uomini particolarmente abili col moschetto, il cui compito fondamentale era quello di schermare lo schieramento dei loro compagni infastidendo la linea nemica con il fuoco dei moschetti, solitamente diretto agli ufficiali.
Sebbene Napoleone abbia modificato l’organizzazione precisa dell’esercito nel corso del tempo, un esempio idealizzato può illustrare come la fanteria si schierava per combattere, appoggiata dai tiratori scelti. Un tipico battaglione di fanteria francese poteva essere composto da nove compagnie di fanteria di 120 uomini ciascuna, tipicamente allineate a 40 in larghezza e 3 in profondità per il combattimento in linea. Otto di queste compagnie erano di fanteria di linea, mentre la nona era composta di tiratori scelti. Quando marciavano sul campo di battaglia l’obiettivo era di rimanere in colonna (per una marcia veloce) il più a lungo possibile, prima di schierarsi senza problemi nelle linee di tiro. Riuscire a gestire il passaggio dalla colonna di marcia alla linea di tiro era un aspetto cruciale dell’efficacia sul campo di battaglia.
Quando ci si avvicinava al punto di contatto la compagnia di testa (i tiratori scelti) avanzava di corsa e si disperdeva, inginocchiandosi per molestare e schermare il nemico con un fuoco mirato. Schermata da questi tiratori, la colonna iniziava a disporsi a ventaglio, con ogni compagnia che si metteva in linea mentre colmava la distanza finale, prima di iniziare il sanguinoso processo di scambio delle raffiche.
.
Così, quella che a distanza appariva come una colonna stretta lasciava prima il posto ad una nuvola di tiratori scelti che aprivano il fuoco, dietro i quali avanzava una terrificante linea di moschettieri, larga 320 e profonda 3, pronta a fare fuoco. In questo modo si formava una linea ininterrotta di uomini larga 200 o più metri, in grado di sparare fino a 1280 colpi al minuto (solo le due linee anteriori sparavano, e ogni uomo sparava fino a due colpi al minuto). Questo sarebbe stato un battaglione, che avanzava a contatto, e quando combatteva in piena forza Napoleone poteva portare in campo fino a 200 battaglioni. Non c’è da stupirsi, quindi, che molte battaglie avessero linee del fronte che si estendevano per molti chilometri, o che decine di migliaia di uomini potessero essere uccisi in un solo giorno in queste condizioni.
L’arte fondamentale del fante napoleonico, oltre a marciare, ricaricare e sparare con il moschetto a raffica, consisteva nel passare da una formazione all’altra in base alle circostanze del campo di battaglia. Si trattava, rispettivamente, della colonna, della linea e del quadrato. Ogni formazione offriva un particolare vantaggio situazionale, sotto forma di mobilità, potenza di fuoco o difesa, ma con svantaggi potenzialmente compensabili.
.
La colonna era la formazione per marciare, non solo sulla strada, ma anche durante l’avvicinamento al campo di battaglia. Offriva il movimento più veloce e agile e offriva anche la maggiore densità e il valore d’urto per le cariche alla baionetta. Al contrario, la formazione di linea era immobile e lenta, ma offriva la massima potenza di fuoco. Nella Grande Armée i reggimenti di fanteria di linea si schieravano di solito a tre file, con le prime due file che facevano fuoco e la terza che avanzava per riempire i buchi nella linea quando gli uomini cadevano: si trattava di una formazione spietatamente efficiente e poco profonda, progettata per fare uso di ogni moschetto possibile. L’ultima formazione di base, il quadrato, era la risposta dottrinale all’attacco della cavalleria. Un quadrato forniva una protezione a 360 gradi, con almeno tre file di uomini rivolti in ogni direzione. In genere, le prime file si inginocchiavano con le baionette fisse, mentre le seconde e le terze file offrivano il fuoco dei moschetti. In questo modo si creava una formazione densa e irta di baionette e di colpi d’arma da fuoco, in grado di respingere gli attacchi della cavalleria, ma a costo di una potenza di fuoco nettamente ridotta e di una maggiore vulnerabilità al fuoco a distanza, a causa della vicinanza degli uomini. In particolare, un quadrato di fanteria fittamente ammassato poteva essere devastato dal fuoco dei cannoni.

Il dipinto di Louis-François Lejeune della Battaglia delle Piramidi raffigura la fanteria di Napoleone che forma un quadrato per respingere l’attacco della cavalleria.
.
Gran parte dell’arte tattica della guerra napoleonica ruotava intorno alla mediazione della transizione tra queste formazioni: non solo spostare correttamente la propria fanteria nelle formazioni corrette, ma anche cercare di costringere il nemico a muoversi in formazioni a lui svantaggiose e ad interrompere il suo uso sinergico delle armi.
Il quadrato di fanteria ne è un potente esempio. Durante le prime fasi delle battaglie era comune che gli squadroni di cavalleria si scontrassero tra loro. Se la cavalleria del nemico poteva essere sconfitta e costretta a ritirarsi, allora diventava possibile minacciare direttamente la fanteria del nemico con un attacco di cavalleria. Questo li avrebbe costretti a formare dei quadrati. La fanteria in un quadrato affollato si difendeva bene dalla cavalleria, ma a questo punto poteva essere colpita, sia con la propria fanteria (la fanteria in linea aveva una potenza di fuoco quattro volte superiore a quella degli uomini equivalenti in un quadrato), sia – cosa ancora più devastante – con l’artiglieria a cavallo, che poteva salire al galoppo e scatenare devastanti raffiche a distanza ravvicinata sui quadrati di moschettieri.
Questa era una tattica standard sul campo di battaglia che enfatizza la logica sinergica, avanti e indietro, del combattimento dell’epoca. La cavalleria da sola non può schiacciare un battaglione di fanteria: la fanteria formerà semplicemente dei quadrati e diventerà un riccio impenetrabile. Ma la cavalleria può costringere la fanteria a formare questi quadrati in modo da poterli punire con il fuoco dei moschetti o dei cannoni. Tutte le armi devono lavorare insieme per creare un vantaggio.
Una guerra sinergica simile era necessaria per il successo dell’uso delle cariche sovrapposte. Date le terribili perdite che potevano derivare da scambi prolungati di fuoco di moschetto, era comune cercare un risultato decisivo lanciando una carica d’urto alla baionetta con la fanteria in colonna. Ciò offriva la possibilità di sfondare la linea nemica e di frantumare la sua formazione, ma caricare a testa bassa contro il fuoco dei moschetti era un concetto problematico. Pertanto, le cariche in colonna dovevano essere appoggiate da un intenso bombardamento d’artiglieria, con i cannoni portati in avanti per martellare il punto in cui la carica era destinata a colpire. Napoleone, personalmente, era convinto che le cariche alla baionetta non potessero avere successo senza il supporto dell’artiglieria.
.
Il Dio della guerra: l’artiglieria di Napoleone
La grande considerazione di Napoleone per l’artiglieria è ben nota. All’inizio della sua carriera militare, aveva servito come ufficiale di artiglieria nell’esercito borbonico e aveva interiorizzato profondamente l’importanza dei cannoni. È famosa la sua battuta: “Dio favorisce chi ha l’artiglieria migliore”.
L’artiglieria all’epoca di Napoleone era già diventata un sistema d’arma estremamente potente. Due cambiamenti, in particolare, ne avevano aumentato la letalità. Il primo fu l’adozione universale di ordigni preconfezionati, che aumentavano notevolmente la cadenza di fuoco liberando gli artiglieri dalla necessità di caricare individualmente la carica propellente e la palla di cannone. Il secondo grande progresso fu una delle priorità organizzative personali di Napoleone: il passaggio ai trasporti militarizzati.

Un pezzo d’artiglieria francese da “12 libbre”. Un disegno simile fu usato più tardi nella Guerra Civile Americana e fu soprannominato “Napoleone” dalle truppe americane.
.
Nel XVIII secolo, era prassi tipica che i cannoni venissero trasportati sul campo di battaglia da conducenti civili assoldati e da squadre di cavalli. Poiché questi civili erano poco propensi a mettersi in pericolo (e ombrosi e inaffidabili sotto il fuoco), l’artiglieria era generalmente disarcionata nelle retrovie e poi trascinata manualmente fino alle postazioni di tiro. Napoleone abbandonò il sistema degli appaltatori civili e adottò un trasporto militarizzato, con squadre di cavalli e conducenti dedicati all’interno dei battaglioni di artiglieria, compresa, e soprattutto, la micidiale “artiglieria a cavallo”. Si trattava di cannoni leggeri che potevano essere trascinati quasi al galoppo in battaglia insieme agli artiglieri, anch’essi a cavallo.
Precursori dell’artiglieria semovente, i cannoni a cavallo potevano essere portati in punti critici alla velocità della luce, sganciarsi rapidamente e fornire supporto di fuoco ravvicinato. La velocità con cui questi cannoni e i loro equipaggi potevano accorrere al fronte, schierarsi e aprire il fuoco ricorda le squadre dei box delle moderne corse automobilistiche: un’impressionante dimostrazione di coordinamento e precisione. L’artiglieria a cavallo cambiò completamente la natura dei cannoni, trasformandoli da sistemi goffi e pesanti che rimanevano per lo più immobili nelle loro batterie, in armi mobili, flessibili e reattive che potevano essere schierate in punti specifici in risposta a esigenze specifiche. Ciò aumentò notevolmente la letalità dell’artiglieria. C’era poco di così terrificante per un battaglione di fanteria come essere costretto a formare un quadrato dalla cavalleria attaccante, solo per vedere l’artiglieria a cavallo arrivare al galoppo fino al fronte per scaricare i colpi di cannone proprio nel quadrato.
Il tiro a mitraglia era un’innovazione particolarmente sgradevole, che dava all’artiglieria un ulteriore livello di potenza di fuoco contro la fanteria ammassata. Mentre i proiettili tradizionali erano usati a distanze maggiori, contro la fanteria in assetto ravvicinato era tipico l’uso del canister, più o meno una lattina dalle pareti sottili riempita di palline di ferro o di piombo, di circa un centimetro di diametro. Quando si sparava, il fragile barattolo si disintegrava, facendo esplodere il contenuto in un’azione che assomigliava allo sparo di un gigantesco fucile da caccia. A distanza ravvicinata, i colpi di cannone potevano vaporizzare rapidamente la fanteria e creare un’orribile carneficina.

Colpi di cannone a mitraglia della Guerra Civile Americana (dal Centro di Storia di Atlanta)
.
L’artiglieria fu utilizzata in battaglia fin dal primo momento. Gli sbarramenti erano piazzati per coprire la prima avanzata della fanteria sul campo (è molto probabile che i primi uomini a morire in una battaglia fossero quelli colpiti dalle palle di cannone abbattutesi su di loro da ben oltre il raggio d’azione dei moschetti), per poi continuare a colpire il nemico per tutta la durata della battaglia. Quando una posizione dello schieramento nemico sembrava indebolirsi, il fuoco dell’artiglieria si concentrava su quel punto per indebolirlo fatalmente, in modo da poterlo trafiggere con una carica d’urto. In questo modo, l’azione delle batterie sul campo assomigliava al movimento del sistema dei Corpi d’Armata – disperso e di minore intensità all’inizio, per poi concentrarsi e intensificarsi notevolmente nel momento decisivo.
.
Colpisci e terrorizza: la cavalleria di Napoleone
L’ultimo e più cinematografico braccio dell’esercito napoleonico era la cavalleria. L’uso della cavalleria era triplice: ricognizione e schermatura durante l’avanzata verso la battaglia, shock e mobilità in combattimento, sfruttamento e attacco contro un nemico sconfitto. O, come disse Napoleone stesso, “la cavalleria è utile prima, durante e dopo la battaglia”.
Nonostante il suo eterno amore per l’artiglieria, Napoleone era altrettanto chiaro sulla necessità assoluta di un forte esercito di cavalleria. Soprattutto, per come la intendeva lui, la cavalleria era il braccio che consentiva la vittoria decisiva, perché era la cavalleria che avrebbe messo in fuga e sfruttato un esercito nemico compromesso. Senza una forte forza di cavalleria, un nemico sconfitto poteva semplicemente ritirarsi dal campo. Mentre i cannoni e i moschetti uccidevano il maggior numero di uomini durante la fase iniziale della battaglia, era la cavalleria a infliggere danni terribili una volta che l’esercito sconfitto si rompeva e tentava di fuggire. A questo proposito, Napoleone scrisse:
Io dico che non si può combattere altro che una guerra difensiva, basata sulla fortificazione dei campi e sugli ostacoli naturali, se non si è praticamente raggiunta la parità con la cavalleria nemica; perché se si perde una battaglia, il proprio esercito è perduto..
Di conseguenza, Napoleone e il suo staff s’impegnarono a fondo per regolarizzare e organizzare l’arma della cavalleria, che era stata trascurata durante il periodo rivoluzionario. Ogni corpo della Grande Armée aveva un elemento organico di cavalleria, così come la Guardia Imperiale d’élite di Napoleone, e l’esercito manteneva anche una riserva di cavalleria indipendente per gestire compiti speciali ed emergenze. Con alcune piccole variazioni e unità speciali, la cavalleria francese si suddivideva in tre grandi categorie.
I Corazzieri costituivano la cavalleria pesante – in questo caso, “pesante” non era solo una designazione militare, ma anche una descrizione letterale. I Corazzieri erano, per dirla in breve, uomini enormi, che cavalcavano cavalli enormi, indossavano enormi corazze (la cuirass, da cui prendevano il nome) e brandivano lunghe spade. Costituivano il nucleo d’urto della cavalleria e traevano la loro efficacia in combattimento dal peso e dalla potenza delle loro cariche. Sebbene fossero generalmente dotati anche di un paio di pistole, in genere facevano danni con le loro spade, che potevano abbattere la fanteria esposta come una falce sull’erba.

Un’illustrazione del 1843 di un Corazziere napoleonico.
.
La seconda forma di cavalleria, il Dragone, era un soldato generico che risolveva i problemi. Meno corazzati rispetto ai pesanti Corazzieri, i Dragoni erano invece equipaggiati in modo più versatile, portando con sé non solo una spada e una pistola, ma anche un moschetto accorciato. Addestrati per il combattimento sia a cavallo che smontati, erano idonei a svolgere un numero quasi illimitato di compiti diversi e potevano operare in schermi di cavalleria, proteggere i fianchi dell’esercito, compiere incursioni o altre missioni speciali o, in caso di necessità, precipitarsi su posizioni vulnerabili e smontare per sostenere le forze di fanteria.
L’ultimo braccio (e il più numeroso) era la Cavalleria Leggera, compresi i famosi Ussari. La cavalleria leggera incarnava la spavalderia, la vanteria e l’audacia dell’archetipo del cavalleggero. Armati di pistole, carabine e sciabole, i loro compiti erano di controllo, di esplorazione, di molestia e, soprattutto, di sfruttamento. Durante l’avanzata verso la battaglia, ci si aspettava che fossero gli elementi di punta, che molestassero il nemico e ne interrompessero lo schieramento, che ne aggredissero i fianchi e i punti di esposizione e che schermassero lo schieramento francese. Nel caso (frequente) di vittoria, era la cavalleria leggera ad inseguire il nemico in fuga, travolgendo la fanteria in ritirata, catturando i convogli di bagagli e di artiglieria e, in generale, facendo tutto il possibile per trasformare una vittoria tattica in una disfatta totale.
Napoleone disse bene: “Senza cavalleria, le battaglie sono senza risultato”.

L’opera di Édouard Detaille “Vive l’Empereur!” raffigura la cavalleria leggera di Napoleone all’inseguimento.
.
Nel complesso, l’esercito francese sotto Napoleone era una macchina versatile e ben addestrata, capace di una sorprendente destrezza sul campo di battaglia. Più volte dimostrò di saper integrare perfettamente le operazioni di cavalleria, artiglieria e fanteria in risposta alle mutevoli condizioni del campo di battaglia. Nella battaglia di Auerstadt (di cui si parlerà in dettaglio più avanti), una divisione di fanteria attraversò l’intera gamma di assetti tattici in un solo giorno: avvicinandosi al campo di battaglia in colonna, schierandosi in linea per fare fuoco a raffica, ritirandosi in quadrato per respingere una carica di cavalleria in arrivo e poi ridispiegandosi in colonna per eseguire una carica finale alla baionetta.
Nessun metodo di guerra è perfetto. La guerra napoleonica ha sempre rischiato di trasformarsi in orribili battaglie di logoramento e, nel corso del tempo, gli inglesi in particolare si sono evoluti per mitigare le tattiche francesi. Tuttavia, nel complesso, queste dottrine e questi metodi di base funzionarono quasi perfettamente e portarono alla Francia oltre un decennio di vittorie continue sul campo di battaglia.
.
Progetto di distruzione strategica
Data la mole di battaglie combattute da Napoleone nel corso della sua carriera, è possibile identificare schemi e sistemi che sono la quintessenza di Napoleone, nonostante che egli non abbia mai scritto nulla di simile a un sistema o a un manuale di guerra. Come praticante, piuttosto che come autore, potremmo dire che la teoria della battaglia di Napoleone era implicita, piuttosto che esplicita. Tuttavia, possiamo identificare con ragionevole sicurezza quello che potremmo definire l’approccio idealizzato di Napoleone alla battaglia. Si trattava di uno schema di battaglia idiosincratico che si adattava al desiderio maniacale di Napoleone di distruggere la maggior parte possibile della potenza di combattimento del nemico in una battaglia campale..
Passiamo in rassegna una variante idealizzata della battaglia napoleonica, per poi esaminare alcuni casi specifici in cui fu attuata alla perfezione.
Per cominciare, dobbiamo notare che l’innovativo sistema dei Corpi d’Armata permise a Napoleone di affrontare la battaglia con relativa facilità. Innanzitutto, la dispersione e la rapidità dei movimenti dei Corpi d’Armata lasciavano di solito il nemico in uno stato di confusa inattività, permettendo a Napoleone di attaccarlo e di forzare la battaglia. I singoli Corpi d’Armata, tuttavia, erano anche strumenti preziosi per costringere il nemico ad affrontare la battaglia.
In più casi, una volta individuata la massa nemica principale, Napoleone fece convergere su di essa l’intero esercito. Il primo Corpo d’Armata ad arrivare aveva il compito di assicurarsi che l’esercito nemico non si allontanasse, attaccandolo e bloccandolo. I nemici di Napoleone quasi sempre si adeguavano e accettavano la battaglia, perché non vedevano davanti a loro l’intera Grande Armée, ma un singolo corpo d’armata di, forse, 30.000 uomini. Vedendo l’opportunità di distruggere una parte isolata delle forze napoleoniche, i generali nemici raramente potevano resistere alla tentazione. Tuttavia, una volta ingaggiato il Corpo d’Armata principale, si trovavano in una battaglia in salita, poiché arrivarono sempre più Corpi d’Armata francesi, attirando sempre più forze nemiche nella battaglia.
Detto in altro modo, se Napoleone fosse semplicemente apparso all’orizzonte con tutte le sue forze, ben oltre 150.000 uomini, la maggior parte dei generali ci avrebbe pensato due volte prima di affrontarlo in una battaglia campale. Ma se, invece, il generale nemico si fosse trovato attaccato da soli 30.000 uomini, avrebbe razionalmente accettato la battaglia e tentato di schiacciare questa forza francese gestibile – solo che l’intera massa sarebbe arrivata un corpo alla volta, portandolo in una battaglia totalizzante che non aveva previsto. In questo modo, Napoleone poteva portare il suo nemico in battaglia con un’escalation dell’impegno, piuttosto che iniziare tutto in una volta.
Una volta ingaggiato l’esercito nemico, la priorità di Napoleone era quella di attirare il maggior numero possibile di forze nemiche direttamente in prima linea. A tal fine, egli sferrava un attacco frontale diretto con linee di fanteria massicce, creando in sostanza l’impressione di una battaglia di linea. Con il nemico concentrato sull’attacco frontale, due forze di manovra erano tenute in riserva: una forza di fiancheggiamento, che sarebbe stata inviata in marcia di svolta verso il fianco nemico, e l’ingrediente cruciale, una forza di riserva che sarebbe stata tenuta fino all’ultimo momento per sferrare l’attacco decisivo.
.
Una volta che il nemico fosse stato completamente impegnato nella battaglia, Napoleone scatenava la sua forza di manovra contro il fianco nemico. Questo era un momento di grande pericolo per l’esercito nemico. Non c’è bisogno di approfondire la spiegazione del pericolo di un fianco che viene aggirato: Federico dimostrò pienamente il principio a Leuthen. Tuttavia, a differenza di Leuthen, per Napoleone l’attacco sul fianco non era mai fine a se stesso. Piuttosto, aveva lo scopo di allungare la linea nemica, costringendolo a ritirare le forze dalla linea e a impegnare le riserve che gli erano rimaste per puntellare il fianco.
Napoleone combatteva raramente battaglie mirate all’accerchiamento. Piuttosto, le sue mosse di fiancheggiamento e di svolta erano progettate per mettere a dura prova la linea di battaglia del nemico, costringendolo ad allungarla sempre di più per mantenere il fianco sicuro.
.
Qualsiasi generale che si rispetti, senza dubbio, avrebbe reagito con grande urgenza alla mossa di fiancheggiamento francese. Le unità sarebbero state ritirate dalla linea, le riserve sarebbero state impegnate e si sarebbe fatto tutto il possibile per sostenere il fianco. Ma così facendo, la prima linea sarebbe stata privata di forza e sarebbe sorto un punto debole o un cardine. Napoleone chiamava quest’allungamento e assottigliamento del fronte nemico “l’evento”, lo scopo preciso della battaglia. Questo era il momento in cui l’indefinibile senso della battaglia di Napoleone era più evidente: egli stava in piedi, scrutando il campo, con l’orologio in mano, in attesa di dare l’ordine.
.
Nel momento prescelto da Napoleone, le batterie di artiglieria lanciavano un massiccio sbarramento sul punto debole prescelto della linea nemica e la forza d’assalto di riserva si precipitava in avanti. Il punto di contatto prescelto era assaltato con una massa concentrata di cavalleria pesante e di colonne di fanteria, che aprivano un varco e si riversavano nelle retrovie nemiche. La cavalleria leggera si precipitava dietro la forza d’assalto e l’intero campo di battaglia assomigliava allo scoppio di una diga o allo straripamento di un fiume. Napoleone stesso paragonò quest’attacco decisivo alla “goccia d’acqua che fa traboccare il vaso”.
Quest’approccio di base alla battaglia, sebbene modificato e adattato all’infinito secondo le circostanze, fu il progetto di massima che Napoleone utilizzò per sconfiggere nemico dopo nemico per oltre un decennio. Nella sua accezione più semplice, il suo obiettivo era di allungare metodicamente le forze nemiche, manipolando la geometria del campo in modo da costringere il nemico a denudare e indebolire qualche punto della sua linea, per poi inviare una forza di riserva a sfondare quel punto debole. Si tratta di un approccio concettualmente semplice alla battaglia, ma la difficoltà (e di conseguenza la dimostrazione pratica dell’abilità di Napoleone) consisteva nel prevedere con successo quale porzione della linea nemica sarebbe stata indebolita e nel “sentire”, per così dire, il momento giusto per sferrare l’attacco decisivo.
.
Austerlitz: la battaglia immortale di Napoleone
La vittoria più famosa di Napoleone, la battaglia di Austerlitz del 2 dicembre 1805, è una dimostrazione eternamente utile dell’arte bellica napoleonica, perché illustra i due elementi sinergici del successo di Napoleone: il suo sistema di combattimento e il suo dono soprannaturale nel percepire e comprendere il campo di battaglia, nel prevedere cosa avrebbero fatto i suoi nemici, nel convincerli ad agire come voleva lui e nel punirli per i loro errori al momento opportuno. Per molti versi, Austerlitz è una variante abbastanza lineare del suo approccio classico alla battaglia, con tutti i motivi di base, ma con diversi colpi di scena deliziosi e brillanti.
Come sempre, Napoleone era sotto forte pressione per imporre e vincere una battaglia. La sua virtuosa campagna di Ulm aveva cancellato un’armata austriaca dalla scacchiera e lasciato aperta la strada per Vienna, ma rapidamente sorsero nuovi problemi sotto forma di armate russe che arrivavano in teatro e si collegavano con le restanti forze austriache. Con le armate austriache e russe in agguato, Napoleone doveva trovare, combattere e distruggere la maggior parte possibile della loro massa combattente per risolvere la campagna.
C’erano però due problemi. Il primo era la classica differenza numerica: le forze della coalizione austriaca e russa superavano Napoleone di circa 90.000 unità contro 72.000. Questo vantaggio in termini di uomini non era completamente schiacciante, ma gli alleati avevano un vantaggio potenzialmente catastrofico nell’artiglieria, con 318 cannoni contro i 157 di Napoleone. Inoltre, Napoleone non poteva permettersi di essere coinvolto in una costosa lotta di attrito, perché c’era la minaccia incombente di un coinvolgimento della Prussia nella guerra. Aveva quindi bisogno di impegnare e distruggere l’esercito della coalizione senza esaurire eccessivamente la propria potenza di combattimento, per conservare le capacità di combattimento per affrontare i prussiani, se fosse stato necessario.
Il secondo problema era che era Napoleone a dover forzare una battaglia e il comandante russo, il maresciallo Mikhail Kutuzov, lo sapeva. Kutuzov era un generale cauto, che voleva rallentare la campagna e non era troppo desideroso di impegnarsi in una battaglia ai calci di rigore con i francesi. Napoleone doveva quindi escogitare un modo per forzare una battaglia con un avversario numericamente superiore.
La soluzione, come sempre, fu quella di usare la velocità e l’ambiguità del sistema dei Corpi d’Armata per forzare una battaglia. Napoleone corse in avanti, avanzando verso la città di Austerlitz, in diretta prossimità delle aree di sosta della coalizione nemica; ma poiché i corpi d’armata arrivavano uno alla volta, le sue forze apparivano più deboli di quanto non fossero, attirando il nemico con una finta debolezza. Napoleone drammatizzò ulteriormente l’idea di essere debole e timoroso della battaglia chiedendo di negoziare e mostrando trepidazione ed esitazione con l’inviato russo. Per addolcire l’accordo e convincere il nemico a dare battaglia, Napoleone decise di concedergli un potente vantaggio posizionale. Il campo di battaglia di Austerlitz era dominato da una formidabile collina chiamata altura del Pratzen. Nell’imminenza della battaglia, Napoleone aveva intenzionalmente abbandonato le alture ai russi per fingere debolezza e attirare il nemico. Lo stratagemma funzionò al punto da convincere le forze austro-prussiane [forse austro-russe] a dare battaglia, ma i francesi si trovarono ora di fronte un esercito con un significativo vantaggio in termini di potenza di fuoco, ancorato su un’altura.

Napoleone si prepara alla vigilia di Austerlitz, di Louis-François, barone Lejeune. Le alture del Pratzen sono chiaramente visibili sullo sfondo.
.
Una manovra di fiancheggiamento francese era sconsigliata in questa situazione. Controllando le alture del Pratzen, i russi erano in grado di individuare qualsiasi mossa sul fianco. Napoleone, quindi, escogitò un modo diverso per raggiungere il suo obiettivo di allungare e assottigliare il centro nemico. In questo caso, creò deliberatamente l’impressione di un’ala destra debole. Tentati dalla possibilità di schiacciare l’ala di Napoleone e di dilagare nella sua posizione, i russi iniziarono a spostare forze verso destra per rinforzare l’attacco in quel punto, denudando il loro centro e creando una linea pericolosamente sottile.
La decisione di Napoleone di usare l’ala destra come esca per attirare la massa nemica dall’altra parte fu ben ponderata e attuata con intelligenza. L’ala destra era un obiettivo naturale per la coalizione alleata, perché la strada per Vienna si trovava a sud-ovest, cioè sulla destra francese. Ciò significava che il bombardamento del fianco destro francese non solo avrebbe fatto crollare l’esercito di Napoleone, ma avrebbe anche tagliato la sua linea di comunicazione e di ritirata. Tutto ciò rendeva l’ala destra un bersaglio ghiotto e Napoleone lo mise su un piatto d’argento utilizzando una sola divisione di fanteria – appena 10.000 uomini – per difendere più di due miglia [tre chilometri] di fronte.
Il piano di Napoleone si basava su due concentrazioni di truppe nascoste. Il primo era costituito dalla forza del maresciallo Davout, composta da circa 6.600 uomini, che si sarebbe mostrata dietro l’ala destra per rafforzarla una volta lanciato l’attacco nemico. Le forze di Davout si trovavano fuori dal campo visivo del nemico, dando l’impressione che l’ala destra fosse più debole di quanto fosse in realtà. La seconda concentrazione nascosta, tuttavia, era la massa che Napoleone intendeva utilizzare per vincere la battaglia. Abilmente nascosto sul lato trasversale delle colline, Napoleone ammassò due divisioni di fanteria (17.000 uomini) sotto il maresciallo Soult, insieme a una riserva di cavalleria, una divisione di granatieri e la guardia imperiale: in tutto, qualcosa come 30.000 uomini, ammassati al centro ma fuori dal campo visivo del nemico.
Il paradosso di Austerlitz, quindi, fu che sebbene i russi e gli austriaci fossero arroccati in cima a una collina con un ampio campo visivo, iniziarono la battaglia senza avere una percezione realistica dello schieramento di Napoleone. Riuscivano a vedere la sottile ala destra e non molto altro, e iniziarono immediatamente a spostare le truppe verso la destra francese senza avere la minima idea che Napoleone avesse una massa potente al centro, pronta a colpire.
.
Tentati dalla prospettiva, apparentemente facile, di distruggere l’ala destra di Napoleone e di arrotolare l’intera linea, gli alleati cominciarono a spostare gran parte della loro massa combattente dalle alture del Pratzen, al centro, per attaccare la destra. Alla fine, quasi 60.000 truppe alleate – ben due terzi della loro forza – furono assegnate all’ala destra, lasciando il centro precariamente debole. Napoleone poteva vederli allontanarsi dal suo posto di comando: osservava attraverso il suo cannocchiale come una colonna dopo l’altra si dirigeva verso la sua ala destra. Osservando da lontano il lento assottigliarsi del centro nemico, egli pronunciò la famosa frase “Un colpo secco e la guerra è finita” e ordinò l’attacco.
Il comando russo sulle alture del Pratzen era maniacalmente concentrato a sopraffare quella che percepiva come un’ala destra francese fatalmente debole. Furono quindi molto sorpresi quando, alzando lo sguardo, videro le colonne francesi che caricavano verso di loro. Con tutte le riserve alleate che si stavano dirigendo verso la destra di Napoleone, le forze a disposizione degli alleati erano semplicemente insufficienti per stabilizzare la loro linea e i francesi fecero a pezzi il centro alleato, provocando una disfatta totale.
È facile per noi liquidare Austerlitz come una sorta di trappola molto ovvia. È ovvio che Napoleone avesse intenzione di attaccare il centro, diciamo. Ovviamente l’ala destra indebolita era solo un’esca. Potrebbe essere più ovvio? Eppure, il piano confuse completamente uno staff di generali russi e austriaci con una vasta esperienza militare. Sorvegliando il campo di battaglia dal loro alto posto di comando in cima alle alture del Pratzen, avevano buone ragioni per ritenere di avere una visione completa del campo e di sapere cosa stava succedendo. Per loro sfortuna, Napoleone aveva nascosto le sue forze d’assalto in un avvallamento sul lato trasversale di una collina, forse l’unico posto adatto per nasconderle alla vista del nemico. Possiamo dire, forse, che la coalizione gestì male la battaglia di Austerlitz, e probabilmente avremmo ragione. Eppure, in ultima analisi, Napoleone, dopo anni di guerra, era ancora un passo avanti ai suoi avversari, li confondeva ancora una volta, distruggeva un altro esercito e costringeva a un’altra frenetica ritirata. Che altro c’è da dire?
.
Napoleone definì Austerlitz la più bella battaglia che avesse mai combattuto. Fu sicuramente una vittoria decisiva. L’esercito alleato perse oltre 35.000 uomini tra morti e catturati, al costo di meno di 2.000 perdite francesi irrecuperabili. Tuttavia, da un punto di vista schematico, ciò che la rendeva così meravigliosa era la sua deliziosa semplicità, che seguiva perfettamente il sistema generale di battaglia di Napoleone: allungarli, quindi attaccare la parte sottile con una forza tenuta in riserva appositamente per questo scopo. Ciò che rendeva l’intero schema così perfetto era il senso preternaturale di Napoleone per la battaglia. Praticamente in ogni fase, il nemico fece esattamente ciò che lui si aspettava. Abbandonò le alture del Pratzen, sapendo che questo li avrebbe attirati ad accettare la battaglia, e poi creò un’impressione di debolezza sulla sua ala destra, sapendo che questo li avrebbe a sua volta attirati lontano dal centro. Ancora una volta, Napoleone sembrò essere l’unico uomo in campo quel giorno in grado di vedere tutto, di tenere conto di tutti i pezzi nella sua testa e di tessere un quadro mentale accurato e preveggente della battaglia mentre era combattuta.
Molte persone sono in grado di leggere gli schemi a posteriori e di capire la geometria della battaglia. Allo stesso modo, possiamo essere accompagnati in famose partite di scacchi e farci spiegare le aperture e i concetti di matto. Questa è la parte più facile. Molto più raro è l’uomo che riesce a vederlo mentre accade, tra confusione e adrenalina, e ancor meno a vederlo in anticipo. Questo è il motivo per cui molte persone possono divertirsi con gli scacchi, ma relativamente poche possono diventare grandi maestri, e ancora meno possono diventare campioni del mondo. Allo stesso modo, Austerlitz ha molti ammiratori, ma un solo praticante, uno solo in grado di percepire, come se fosse soprannaturale, l’intera situazione in divenire e di sintetizzare le molte parti in movimento in un insieme senza soluzione di continuità.
.
Il Bataillon Carré
Austerlitz fu un’applicazione esemplare del sistema preferito da Napoleone per combattere le battaglie a tappeto: attirare il nemico in una battaglia campale con l’intera massa del suo esercito, distorcere lo schieramento nemico con una manipolazione della posizione e poi sferrare un attacco pesante direttamente contro una posizione debole. Questa era la forma generale della battaglia napoleonica ogni volta che riusciva a impegnare la massa nemica.
In alcune occasioni, tuttavia, questo sistema non era applicabile, perché non era possibile impegnare la massa nemica in una battaglia campale convenzionale. Questo poteva accadere per diverse ragioni: o perché l’esercito nemico non poteva essere localizzato e bloccato per una battaglia statica (forse perché il nemico era anche in movimento), o perché le forze nemiche erano divise.
In altre parole, finora abbiamo parlato del modo in cui Napoleone usava il movimento e l’ambiguità per portare il nemico in battaglia – ma qual era la risposta napoleonica quando il nemico stesso era in movimento e ambiguo?
In questi casi, la meravigliosa flessibilità del sistema di Corpi d’Armata napoleonico divenne evidente. Napoleone utilizzò sapientemente una formazione nota come Le Bataillon Carré. Letteralmente, il Battaglione Quadrato, si riferiva a una formazione di manovra che distanziava i Corpi d’Armata a distanze equilibrate, in modo che ciascuno di essi non si trovasse a più di un giorno o due di marcia dai suoi vicini. Mantenendosi in comunicazione tra loro tramite la cavalleria, questo permetteva all’intero esercito di assumere una sorta di posizione di ricerca quando non si conoscevano l’esatta posizione del nemico e il suo percorso di movimento.
L’equidistanza dei corpi d’armata era fondamentale, poiché significava che il corpo d’armata che riusciva a localizzare la massa nemica poteva essere certo che gli altri sarebbero stati in grado di raggiungerlo rapidamente in battaglia. La formazione approssimativamente quadrata permetteva inoltre all’intera armata di girare rapidamente: se il nemico veniva individuato sulla sinistra, ad esempio, l’intera armata faceva semplicemente perno, in modo che il corpo d’armata di sinistra diventasse l’unità che avanzava.
Il movimento del Bataillon Carré viene visualizzato in questo modo:

La spaziatura flessibile e bilanciata dei corpi d’armata permette all’esercito di ruotare verso il contatto in qualsiasi direzione, anche all’indietro!
.
Questo era il metodo standard di Napoleone per muovere l’esercito verso il contatto quando non si conoscevano la disposizione, la posizione e la direzione del movimento del nemico. I Corpi d’Armata rimanevano sufficientemente dispersi per consentire all’esercito di muoversi rapidamente, ma le linee di comunicazione e le distanze di marcia tra di loro erano abbastanza strette da consentire all’esercito di ruotare e rispondere efficacemente quando scopriva il nemico.
Questo metodo di manovra strategica fu messo brillantemente in mostra durante la campagna di Napoleone del 1806 contro la Prussia. I prussiani, in generale, erano abituali pasticcioni durante il periodo di massimo splendore di Napoleone: rimasero allineati come cauti neutrali durante la guerra di Napoleone con l’Austria e la Russia nel 1805, per poi dichiarare guerra a Napoleone solo *dopo* la resa dell’Austria, perché allarmati dai nuovi livelli di influenza di Napoleone in Germania. Il re prussiano, Federico Guglielmo III, cercò di programmare la sua entrata in guerra in modo da massimizzare la sua influenza ma Napoleone riuscì a schiacciare la coalizione ad Austerlitz prima che la Prussia potesse entrare in azione. Dopo la grande vittoria di Napoleone, un partito di guerra alla corte prussiana – guidato, presumibilmente, dalla regina prussiana Luisa – spinse il re a dichiarare comunque guerra a Napoleone.

La regina Luisa era una bellezza famosa e la sua personalità era così forte e faceva così impressione che Napoleone la definì “l’unico vero uomo in Prussia”.
.
In breve – semplificando drasticamente le complesse questioni diplomatiche e territoriali – la Prussia scelse di assistere passivamente allo schiacciamento dell’Austria da parte di Napoleone, per poi dichiarargli guerra dopo la sua vittoria. Così, invece di combattere Napoleone come parte di una coalizione nel 1805, la Prussia si trovò più o meno in uno scontro diretto con Napoleone nel 1806. Non proprio l’ideale.
Il dispiegamento militare della Prussia era confuso quasi quanto le sue scelte diplomatiche. L’esercito prussiano era ormai un fossile dei tempi di Federico il Grande. Le sue formazioni, le sue tattiche e le sue armi erano immutate e, in un momento in cui gli eserciti seguivano l’esempio di Napoleone e organizzavano comandi di divisione e di corpo d’armata, i prussiani non avevano ancora uno stato maggiore o una struttura permanente di ordine di battaglia superiore al livello reggimentale. Si trattava di un esercito che non era aggiornato da quasi cinquant’anni a tutti i livelli. Come a sottolineare la sua natura completamente arcaica, più della metà dei generali prussiani aveva più di 60 anni.
Avere una forza non moderna è già abbastanza grave, ma i prussiani aggravavano il problema perché possedevano ancora l’istintivo senso di aggressività che Federico aveva inculcato loro nel 1750. Iniziarono la loro guerra contro Napoleone con un’avanzata alquanto disordinata in Sassonia, portando oltre 100.000 uomini oltre la principale linea difensiva della Prussia (il fiume Elba) senza chiare intenzioni.
Napoleone, nel frattempo, aveva ammassato sei corpi d’armata completi a sud-est dell’esercito prussiano. Inizialmente si aspettava che i prussiani mantenessero le loro forze dietro l’Elba, ma cominciarono a giungere informazioni che i prussiani erano avanzati in forze e si attardavano in Sassonia. Per Napoleone fu difficile ricavare informazioni precise sulle intenzioni prussiane. In parte, perché i prussiani non avevano ancora intenzioni: il 5 ottobre convocarono un consiglio di guerra che si trasformò in una gara di grida durata diversi giorni, mentre il comando disorganizzato discuteva i meriti dei vari piani offensivi. (Questo spiega un principio di guerra piuttosto semplice: fare piani prima di assumere una posizione aggressiva e far marciare l’esercito principale in campo aperto).
Non sapendo dove si trovassero esattamente i prussiani o dove potessero andare, Napoleone elaborò un bataillon carré. Questo permetteva la massima flessibilità operativa. Il piano prevedeva di far marciare l’esercito in colonne equidistanti di due corpi d’armata ciascuna e di dirigersi direttamente verso Berlino. Se i prussiani avessero fatto come Napoleone si aspettava e avessero cercato di bloccare i francesi all’Elba, sarebbero stati ingaggiati e distrutti. Se invece i prussiani si fossero fatti avanti per combattere (come in effetti avevano già fatto), l’esercito avrebbe potuto semplicemente ruotare nella direzione necessaria e avvolgerli.
.
Mentre la colossale armata francese avanzava verso Berlino, l’esercito prussiano – in una dimostrazione di passività che sicuramente fece rivoltare Federico nella tomba – rimase semplicemente seduto sul posto, paralizzato dall’indecisione mentre la Grande Armée marciava. Nel frattempo, Napoleone continuava a ricevere informazioni sconcertanti che lo informavano che una grande armata prussiana si trovava sulla sinistra, senza fare nulla. Era semplicemente… lì.
La situazione si sbloccò il 9 ottobre, quando uno dei Corpi d’Armata di Napoleone – il 5°, comandato dal maresciallo Lannes – combatté una battaglia di scoperta (così chiamata perché gli eserciti si scontrano più o meno l’uno con l’altro) con un’avanguardia prussiana a Saalfeld. Le forze prussiane, che contavano appena 8.000 uomini, furono assolutamente schiacciate dal Corpo di Lannes e un principe prussiano rimase ucciso nello scontro. La piccola battaglia di Saalfeld sembrò scuotere i prussiani e li portò all’azione (finalmente). Resisi improvvisamente conto che Napoleone stava marciando indisturbato verso Berlino, cominciarono frettolosamente a togliere il campo e a ritirarsi verso nord-est per stabilire una difesa lungo l’Elba (come Napoleone aveva previsto all’inizio).
Gli eventi che seguirono si svolsero con tale rapidità e precisione da costituire una dimostrazione idealizzata della destrezza dell’esercito napoleonico, dell’abilità dei comandanti dei suoi corpi d’armata e della flessibilità della formazione del bataillon carré. L’11 ottobre, lo spionaggio francese confermò finalmente a Napoleone che l’intera massa prussiana era effettivamente alla sua sinistra (a ovest). Il 12 ottobre arrivò l’ordine per l’intera armata di virare a sinistra verso i prussiani. Quattro Corpi d’Armata si sarebbero mossi direttamente verso ovest per attaccare la massa prussiana, mentre i restanti due – al comando di Davout e Bernadotte – avrebbero dovuto proseguire verso nord prima di virare a sinistra per scendere sul fianco prussiano. Il 14 ottobre, il Corpo di Lannes guidò l’attacco ai prussiani nei pressi della città di Jena.

Napoleone alla battaglia di Jena, di Horace Vernet (1836).
.
I prussiani ebbero un assaggio del nuovo modo di fare la guerra di Napoleone e scoprirono che il loro stile non era più competitivo. Lannes arrivò per primo con il suo 5° Corpo d’Armata e i prussiani impararono cosa si provava a vedere il campo di battaglia riempirsi improvvisamente di francesi all’arrivo degli altri Corpi d’Armata: il 7° sotto il maresciallo Augereau arrivò sulla sinistra, seguito dal 6° sotto Ney. Nel pomeriggio, le linee prussiane erano piene di buchi e formalmente crollate.
Nulla di tutto ciò era particolarmente sorprendente. Ciò che sorprendeva, invece, era che Napoleone avesse distrutto l’esercito prussiano sbagliato.
La forza catturata a Jena non era la massa principale prussiana, ma una forza secondaria che copriva il fianco, con soli 38.000 uomini. Napoleone la schiacciò, naturalmente, ma essa risultò essere anche in grave inferiorità numerica. Dov’era dunque l’esercito prussiano principale?
Un corpo molto più numeroso – circa 60.000 uomini sotto il comandante supremo prussiano, il Duca di Brunswick – si trovava in realtà un po’ più a nord-ovest, in ritirata verso Berlino. Non ci arrivarono mai, perché si imbatterono nel 3° Corpo di Napoleone, comandato dal maresciallo Davout, che stava eseguendo l’ordine di attaccare da nord il fianco dei prussiani. In breve, Napoleone attaccò erroneamente la retroguardia prussiana con quattro Corpi d’Armata al completo, mentre la sua forza di attacco al fianco – un solo Corpo d’Armata di forse 27.000 uomini – si imbatté erroneamente nel corpo principale prussiano vicino al villaggio di Auerstadt.
In inferiorità numerica di oltre 2 a 1, Davout annientò completamente l’esercito prussiano. Davout era il miglior comandante di Corpo d’Armata di Napoleone e dimostrò abilmente l’intero inventario delle capacità francesi. I prussiani – che stavano tentando di ritirarsi quando si scontrarono con Davout – fecero inciampare un’unità dopo l’altra sul campo e non riuscirono mai a mettere insieme alcun tipo di battaglia concentrata o coesa, permettendo ai francesi semplicemente di muoversi da manuale attraverso i loro elementi tattici : nuvole di tiratori scelti che molestavano e disorientavano la fanteria prussiana; fanteria francese che si spostava da una colonna all’altra mentre saliva; artiglieria che martellava senza sosta. Quando i prussiani tentarono una carica di cavalleria non supportata, i francesi formarono semplicemente dei quadrati e li colpirono, prima di tornare in colonna per il loro attacco. Davout si comportò brillantemente per tutto il giorno, incastrando le sue divisioni in una linea solida e ancorandosi al villaggio di Hassenausen. I prussiani, nel frattempo, erano disorientati fin dall’inizio e la situazione peggiorò quando il Duca di Brunswick fu colpito da un proiettile in un occhio. Dopo aver sprecato il loro vantaggio numerico con attacchi frammentari e non coordinati, i prussiani di Auerstadt, come i loro compagni di Jena, non poterono fare altro che fuggire.
.
Le due battaglie di Jena-Auerstadt, combattute nello stesso giorno a sole dodici miglia di distanza l’una dall’altra, decisero la campagna prussiana appena due settimane dopo il suo inizio. Ciò che restava dell’esercito prussiano si disgregò e fu messo in fuga dalla cavalleria francese, che condusse un inseguimento leggendario: il morale dei prussiani era talmente a pezzi che le fortezze si arrendevano senza combattere ai distaccamenti di cavalleria.
La battaglia è famosa soprattutto per aver consolidato la reputazione di Louis-Nicholas Davout come il più grande Maresciallo di Napoleone. Quando a Napoleone fu detto che Davout aveva schiacciato una massiccia armata prussiana ad Auerstadt, l’Imperatore (che credeva di aver impegnato la principale forza prussiana a Jena) avrebbe risposto che il Maresciallo vedeva doppio. Una volta che la verità fu resa nota, Napoleone si prodigò in elogi per Davout. Sebbene alcuni sostengano che Napoleone fosse risentito della grande vittoria del suo subordinato, pubblicamente non è così. Una cosa che non è in discussione, tuttavia, è la sua grande insoddisfazione nei confronti di Bernadotte, che bighellonò senza meta con il suo 1° Corpo, non riuscendo ad aiutare Davout e lasciandosi sfuggire entrambe le battaglie della giornata.

Louis-Nicolas Davout – il più grande dei Marescialli.
.
Più in generale, la campagna di Jena-Auerstadt racchiuse tutto ciò che rendeva il sistema militare di Napoleone impareggiabilmente letale. Il bataillon carré e la manovrabilità dei Corpi d’Armata permisero ai francesi di operare in modo efficiente in condizioni di estrema ambiguità e incertezza: senza sapere esattamente dove si trovassero i prussiani o dove fossero diretti, erano in grado di avanzare con sicurezza su un asse decisivo, liberi di flettersi e girare a seconda delle necessità per affrontare la battaglia. Quando Napoleone seppe che i prussiani erano alla sua sinistra, girò semplicemente l’esercito in quella direzione e ottenne la sua battaglia solo pochi giorni dopo. L’autosufficienza dei Corpi d’Armata combinati permise inoltre ai francesi di combattere una doppia battaglia, con Lannes che attaccò e bloccò i prussiani a Jena in attesa dell’arrivo degli altri Corpi d’Armata, e Davout che mise in piedi un mattatoio per fare a pezzi una forza prussiana che lo superava decisamente in numero.
Per la Prussia, la sconfitta significò ovviamente la subordinazione a Napoleone, ma provocò anche un profondo senso di umiliazione e di disperazione esistenziale in un paese che, fino a due settimane prima, credeva ancora di avere uno dei migliori eserciti, se non il migliore, d’Europa. L’indegnità e il trauma della sconfitta avrebbero provocato le riforme istituzionali che portarono a Moltke, Schlieffen e Manstein – ma questa è una storia per un altro giorno.
.
Posizione centrale e doppia battaglia
Uno dei colpi di scena della campagna di Jena-Auerstadt è che Napoleone mise in atto per caso uno schema operativo che spesso utilizzava intenzionalmente. La chiave è che, a Jena, Napoleone non sapeva che le forze prussiane erano divise in due grandi masse. Credeva di attaccare l’intero esercito prussiano consolidato. Tuttavia, nonostante la mancata comprensione di questo fatto, le battaglie rispecchiarono la reazione standard di Napoleone di fronte a una forza nemica divisa.
Napoleone voleva sempre attaccare e distruggere l’armata principale del nemico: come si poteva ottenere questo risultato quando l’esercito nemico era diviso in più centri di gravità? Naturalmente era sempre possibile sceglierne uno e attaccare, ma questo sollevava due possibilità, entrambe preoccupanti: o la seconda armata poteva convergere sul campo per aiutare la prima (potenzialmente attaccando il fianco dei francesi), o la seconda armata poteva fuggire, salvando gran parte delle forze del nemico.
Era quindi importante sia tenere la seconda armata nemica bloccata nel teatro, in modo che potesse essere attaccata anch’essa, sia tenerla a distanza, in modo che le due armate potessero essere distrutte una alla volta.
Per raggiungere questi obiettivi, Napoleone privilegiò un concetto operativo che chiameremo strategia della doppia battaglia e della posizione centrale. Un approccio che utilizzò in molte occasioni nel corso della sua lunga carriera.
Quando si avvicinava alla battaglia, Napoleone cercava di mantenere il suo esercito (magari in un bataillon carré) in posizione centrale. In questo modo massimizzava la libertà di movimento e la flessibilità dell’esercito, permettendogli di attaccare qualsiasi corpo nemico. Una volta che l’esercito avanzava a distanza di tiro, sfruttava la potenza di combattimento e la mobilità dei Corpi d’Armata. Un singolo Corpo d’Armata attaccava uno dei gruppi nemici, impegnandolo con un’intensità modesta in modo da tenerlo bloccato e paralizzato, mentre il resto dell’esercito si accaniva sul secondo gruppo per distruggerlo. Dopo averlo distrutto, l’esercito tornava indietro per recuperare il Corpo di bloccaggio e attaccare il primo gruppo di nemici.
.
L’uso di un singolo Corpo d’Armata per bloccare e paralizzare una delle armate in campo permise a Napoleone di gestire più volte fronti più ampi e variegati. La chiave, come sempre, era che i francesi erano quasi sempre molto più mobili e precisi nei loro movimenti, il che permetteva loro di colpire le armate nemiche prima che potessero unirsi.
La strategia della doppia battaglia, tuttavia, soffre di una difficoltà sistemica. Poiché il piano è incentrato sull’abbandono rapido della prima battaglia per attaccare il secondo esercito nemico, manca l’energia per perseguire e sfruttare la prima vittoria. In altre parole, dopo aver sconfitto e scacciato l’Armata B, i francesi si dirigono immediatamente verso l’Armata A, dando potenzialmente all’Armata B il tempo e lo spazio per riorganizzarsi.
Una delle battaglie più famose di Napoleone dimostra quanto grande possa essere questo potenziale pericolo. Parliamo, ovviamente, della battaglia di Waterloo.
Durante la campagna di Waterloo, Napoleone si trovò ad affrontare due forze nemiche disperse: gli inglesi sotto Wellington e i prussiani sotto Blucher. Egli rispose cercando di attuare la strategia della doppia battaglia quasi esattamente come l’abbiamo descritta sopra. Considerando i prussiani come la minaccia maggiore, Napoleone attaccò e sconfisse Blucher nella battaglia di Ligny, ordinando al maresciallo Ney di bloccare gli inglesi vicino a Waterloo. Questo descrive esattamente la fase 2 del grafico sopra riportato.
Tuttavia, due cose andarono storte. In primo luogo, i francesi si allontanarono troppo lentamente da Ligny per attaccare Wellington. Napoleone trascorse un giorno d’indecisione e l’inizio dell’attacco francese a Waterloo fu imperdonabilmente ritardato. In secondo luogo, non ci fu un inseguimento adeguato dei prussiani sconfitti dopo Ligny a causa dell’insufficiente cavalleria francese. I prussiani si poterono ritirare dal campo con gran parte delle loro forze intatte e Blucher, due giorni dopo, si poté presentare a Waterloo con un esercito ricostituito e rinforzato. Così, invece di sconfiggere separatamente i due eserciti della coalizione, come suggerisce la strategia della doppia battaglia, Napoleone fu sconfitto quando questi riuscirono a unirsi e a concentrarsi su un unico campo.
.
Perché Napoleone fu sconfitto
L’eredità storica di Napoleone rimane oggetto di dibattito. Durante la sua vita, fu oggetto di un’intensa caricatura e propaganda da parte dei suoi nemici, che lo dipinsero come un tiranno piccolo e meschino. Questa è l’immagine che è sopravvissuta fino ad oggi e l’unica cosa che la maggior parte delle persone pensa di sapere di Napoleone è che fosse basso.
Date le sue ambizioni di creare un impero continentale, Napoleone è stato talvolta paragonato ad Adolf Hitler, ma il paragone non è calzante. Sebbene Napoleone non fosse un santo e fosse certamente incline alla megalomania, non c’era nulla di intrinsecamente criminale in lui. In generale cercò di portare stabilità, leggi razionali e sicurezza nelle terre che conquistò, ed è una testimonianza della sua ragionevolezza il fatto che i suoi nemici lasciarono in vigore la maggior parte delle sue riforme dopo la sua sconfitta.
Il fattore cruciale da considerare, quando si valuta Napoleone come agente morale, è il fatto che non fu lui a iniziare le sue guerre. La Francia repubblicana era in guerra da un decennio quando egli salì al potere, e di fatto salì al potere proprio perché il paese era destabilizzato e stremato. Napoleone non era un uomo che cercava il potere politico per poter scatenare la guerra, ma gli fu dato il potere politico per risolvere una guerra già scatenata. Egli si considerava quindi l’uomo che poteva portare la sicurezza in Francia e infine la pace in Europa grazie alla sua prodigiosa abilità sul campo di battaglia. Si trattava di una visione megalomane ed egoista, ma motivata dalla ricerca della stabilità e non dalla brama di spargimento di sangue.

L’erede di Cesare e Alessandro
.
Alla fine, Napoleone incontrò un problema: continuava a vincere battaglie. Ogni vittoria sembrava spingere il potere francese sempre più lontano, creando più risentimento e assottigliando sempre più le risorse. Tuttavia, poiché Napoleone era, in ultima analisi, un militare per il quale la battaglia era l’anima motivante della vita politica, non c’era altro modo per risolvere i problemi geopolitici.
Nel 1812 Napoleone aveva spinto la potenza francese al suo limite assoluto. Aveva ottenuto una serie impressionante di vittorie titaniche, ma quelle vittorie portavano con sé degli oneri. In particolare, Napoleone doveva ora confrontarsi con tre diverse tensioni geopolitiche:
- il potere finanziario-navale della Gran Bretagna,
- il potere logistico-militare della Russia,
- la pressione diplomatica per mantenere il controllo sulla Germania e sull’Italia..
In particolare, la Francia non aveva le risorse necessarie per condurre una lotta prolungata sia con la Russia che con la Gran Bretagna, soprattutto perché questi due nemici richiedevano forme di proiezione di potenza molto diverse.
Nella campagna di Russia, il sistema militare di Napoleone raggiunse il suo limite. Previsto per attaccare e distruggere rapidamente l’esercito principale del nemico, il sistema si ruppe di fronte a un nemico che poteva semplicemente ritirarsi per centinaia di chilometri prima di dare battaglia. Dopo essere stato trascinato in profondità nell’interno della Russia, Napoleone non riuscì a raggiungere alcun obiettivo politico. La battaglia di Borodino insanguinò l’esercito russo, ma non costrinse i russi alla resa. Napoleone era il maestro della battaglia, ma qui, finalmente, nel cuore della Russia, la battaglia tradì il suo padrone e non diede alcun risultato decisivo.
Il ritiro dalla Russia devastò la capacità militare di Napoleone, non in termini di uomini, ma di cavalli e cannoni. I cavalli francesi morirono a migliaia a causa della fame sulla strada invernale che portava fuori dalla Russia, e mentre morivano i cannoni che trainavano dovettero essere abbandonati. Nel 1813, Napoleone aveva ricostruito la sua fanteria a livelli accettabili, ma la cavalleria e l’artiglieria erano rimaste in uno stato di debolezza permanente che paralizzò la Grande Armée.
Nonostante ciò, insanguinato e indebolito, Napoleone rimase il miglior comandante del mondo. I suoi nemici si avvicinavano a lui con trepidazione e incertezza. Subì sconfitte veramente decisive solo quando si trovò in inferiorità numerica proibitiva, come nella battaglia di Lipsia, dove fu in inferiorità numerica di 2 a 1 rispetto agli eserciti combinati di Prussia, Austria e Russia. Il suo atto finale a Waterloo richiese un esercito combinato prussiano-britannico per finirlo – e anche alla fine fece sudare i suoi nemici. Al culmine della battaglia di Waterloo, Wellington disse ai suoi aiutanti che o scendeva la notte o i prussiani dovevano arrivare presto per evitare un’altra vittoria francese.
Alla fine Napoleone fu sconfitto perché la Francia non era in grado di sostenere i pesi geopolitici che si era assunta. Non c’erano abbastanza cavalli, né cannoni, né uomini. Tuttavia, la sua eredità come militare non ha eguali. Non era infallibile, certo, ma in decenni di guerra, in ambienti disparati e spesso in inferiorità numerica, vinse quasi sempre, e anche nelle sconfitte i suoi nemici subirono di solito più perdite di lui.
Forse nessuna figura dopo Alessandro Magno era così incentrata sulla battaglia, traendo tutte le sue fortune politiche dai dadi di ferro. Anche a distanza di quasi 200 anni, Napoleone è una figura affascinante e un generale senza pari. Rimane il figlio prediletto di Ares e l’incarnazione stessa dello spirito della battaglia..
*****
Articolo di Big Serge pubblicato su Big Serge Thoughts il 6 dicembre 2022
Traduzione in italiano di Fabio_san per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
__________
La redazione di SakerItalia ribadisce il suo impegno nella lotta anti-mainstream e la sua volontà di animare il dibattito storico e politico. Questa che leggerete è l’opinione dell’autore; se desiderate rivolgere domande o critiche purtroppo questo è il posto sbagliato per formularle. L’autore è raggiungibile sul link dell’originale presente in calce.
L’opinione dell’autore non è necessariamente la nostra. Tuttavia qualsiasi commento indecente che non riguardi l’articolo ma l’autore, sarà moderato, come dalle regole in vigore su questo sito.
Bell’articolo!
Se corredato da uno studio sulle capacità logistiche e produttive dei contendenti sarebbe quasi un bel manuale militare
(ho trovato veramente interessanti le ultime considerazioni, putroppo le meno esplicate).
Interessante articolo che ha il pregio di far conoscere ai non specialisti militari in che consisteva la capacità di Napoleone di vincere sia le battaglie sia le guerre.
Per tornare alla Guerra in atto fra Russia e Occidente coalizzato, mi domando come Napoleone ,nella sua seconda esistenza in Terra ,ma dalla parte russa , opererebbe contro l’esercito Nato che non opera sul Terreno con le manovre ottocentesche sul campo di Battaglia.
Immaginiamo che Surovikin sia il Bonaparte russo e che possa disporre di tutte le risorse necessarie per battere la Nato in divisa ucraina, come potrebbe imporsi se l’avversario è onnipresente sul terreno e non si offre per ingaggiare sua potenza in una battaglia campale ma ,viceversa s’intana nelle trincee e fa ampio uso di artiglierie di lunga gittata per colpire bersagli di alto valore strategico e materiale e soprattutto gode di linee di logistica reticolare che offre varie soluzioni agli Ucraini?
Cosa dovrebbe fare Surovikin,se non avesse degli impedimenti politici per vincere e sbattere sull’altra sponda del Dneper ,la Nato?
li, 14/12/22
Forse la risposta risiede nelle truppe russe è bielorusse schierate ai confini della Bielorussia
In primis un plauso ed un sentito grazie a Fabio_san per l’impegno profuso.
Cambiano i tempi, la percezione strategica, la tecnologia militare, le tecniche di combattimento, i mezzi …
Qualsiasi parere esprimessimo in questa sede sulla conduzione del conflitto sarebbe inevitabilmente da sprovveduti (e parlo in primo luogo del sottoscritto) per la mancanza di base cognitiva per la modellazione militare e di esperienza concreta (mi sa che la naja non faccia testo).
Si cerca di andar per logica cercando di discernere, nella melma informativa che viene propinata, il verosimile dal falso e dall’utopico.
Resta poco comprensibile come tuttora i russi sembrino indossare i guanti di velluto soprattutto nello scardinare le linee logistiche degli ucraini finchè hanno il controllo (la superiorità aerea) nel cielo. Ferrovie, stazioni di scambio, depositi, ma anche qualsiasi Tir o trasporto pesante, qualsiasi autobotte circolante sulle strade deve essere considerato un obiettivo. La corrente sembra mancare alla popolazione, ma per le officine è così? Come mai nei filmati si vedono circolare tutte quelle macchine private? Con che carburante?
Non si possono indossare i panni di Surovikin, nè valutarne da qui le azioni. La cosa notevole del novello Bonaparte russo è che cerca quantomeno e finalmente di rendere meno palesi le sue intenzioni e pianificazioni. Tuttavia, come ben rappresentato nell’articolo di Big Serge, alla fine Napoleone ha perso nonostante le innumerevoli vittorie per l’incapacità della Francia di continuare ad alimentare la fornace della guerra, sopratutto di uomini.
Sicuramente gli ucraini finiranno prima ma gli USA troveranno qualcun’altro da mandare al macello (Polacchi, baltici e pure Armeni, Azeri, Georgiani ecc ma anche e perchè no italioti) disfandosi per di più di tutta la robaccia ancora in casa (Patriot, M113, Leopard, F16, Mig-29, stinger, tutta la roba superata) e così via e pure in modo da prepararsi meglio al confronto con la Cina.
Come agirà la Cina? E’ fondata la notizia che la Cina si è rifiutata di fornire componenti elettronici avanzati alla Russia? E’ un segnale, non buono.
Penso che lo sbandierato schieramento in Bielorussia sia solo un paravento rivolto a possibili interferenze polacche e che si prospetti invece qualche operazione in stile Urano una volta assottigliate le linee UA. Sempre che si riesca a ovviare alla superiore sorveglianza satellitare USA.
Ma queste sono tutte considerazioni relative ad un teatro limitato, prima o poi in Russia cambieranno l’approccio ragionevole e dialogante tuttora in essere verso i vassalli NATO ed andranno a scoprire il gioco (perchè non avranno più il tempo per giocare).
Un saluto
–,sono assolutamente convinto delle tue argomentazioni e non dovremo attendere molto per vedere che i Generali prenderanno in mano la faccenda in corso e se Putin si opponesse verrebbe “consigliato ” a rimanere al suo posto ma inerte.
Rimane la questione di quanto incida e incide la superiorità Nato nella guerra spaziale in orbita bassa che consente all ‘Ucraina di resistere e non essere sconfitta in pochi settimane o mesi.
Lo schieramento di nuove forze russe a nord, sul confine bielorusso, ha tutta l’aria di essere una ingannevole massa d’urto che dovrebbe avere lo scopo di rendere indisponibile per gli ucraini la loro fitta rete logistica che sulla mappa è molto estesa e consente agli ucraini di tenere in scacco le forze russe . I generali russi di oggi hanno qualche problema in più di Suvorov al tempo di Napoleone; essi non possono arretrare e gli ucraini e Nato grideranno che hanno vinto se i russi arretrassero anche solo per una successiva manovra di accerchiamento.
D’ora innanzi i matematici militari diranno a Surovikin come la Nato si muoverà sulla rete logistica così le forze russe potranno operare al meglio tenendo d’occhio anche la linea logistica critica che è la via di fuga della Nato.
Forza Russia ,i tuoi scienziati e militari e generali vinceranno con l’intelligenza degli Zar che si sottrassero all’impero Mongolo.
15 dicembre 2022