Eleonora Forenza è una giovane parlamentare europea di Rifondazione Comunista. Fa parte del gruppo di sinistra GUE e, nel corso del suo mandato, ha sempre tenuto una posizione critica nei confronti della guerra civile scatenata da Turchinov e Poroshenko nella primavera del 2014 e del clima da “Nuova Guerra Fredda” alimentato da Stati Uniti ed Unione Europea contro la Russia. Quest’anno Eleonora ha festeggiato il primo maggio in un posto un po’ insolito: le repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk. Forse più che insolito dovremmo dire unico: infatti mai nessun parlamentare, nazionale o europeo (di tutti i 28 paesi della UE !), era mai entrato nel territorio che le autorità di Kiev descrivono come un girone dantesco alla mercé di demoniaci terroristi russi. Anche in questa occasione le autorità “democratiche” ucraine non hanno mancato di sfoggiare l’usuale tolleranza: mentre la Forenza era ancora in viaggio, Kiev ha inviato a Roma una richiesta di estradizione per Eleonora e i suoi compagni di viaggio. Li vuole processare per “terrorismo”. Per fortuna le nostre autorità hanno lasciato, per il momento, cadere questa assurda richiesta. Eleonora ha gentilmente accettato il nostro invito a raccontarci come sono andate le cose, e spiegarci la sua visione della crisi.
S.I. Eleonora, vorremmo iniziare dal tuo viaggio, con una domanda un po’ provocatoria. Le TV ed i giornali sono piene di leader di partiti con una consistenza elettorale ed una visibilità mediatica senz’altro maggiori di Rifondazione Comunista, che vi dipingono come “amici della Russia” quando non addirittura “agenti del Cremlino”. Perché, fra tanti sedicenti sostenitori di Mosca, sei stata proprio tu, e non altri, la prima europarlamentare a portare la tua solidarietà alla gente del Donbass?
E.F. Mi sono recata in Donbass non in qualità di “amica della Russia”, ma al seguito della Carovana Antifascista organizzata dalla Banda Bassotti, che ringrazio anche in questa sede per il prezioso lavoro politico ed organizzativo che mette in campo da anni nel campo della solidarietà internazionale. Abbiamo portato solidarietà innanzitutto alle popolazioni. Per me, in quanto comunista e antifascista, le immagini del massacro di Odessa alla Casa dei Sindacati sono state un segnale evidente che ha significato il dovere di schierarsi chiaramente.
La lotta contro il riemergere di forze apertamente fasciste in Ucraina è fortemente sentita in Donbass. Così come si ha cura della memoria delle battaglie della Seconda Guerra Mondiale che sconfissero il nazismo. Probabilmente, molti degli “amici della Russia” citati non condividono questo tratto fondamentale e hanno scelto di non investire politicamente su quanto accade in quelle terre.
S.I. La carovana antifascista ha attraversato le aree interessate dalla guerra. Immagino avrete avuto contatti con le persone che vivono in quella zona. Che situazione avete trovato? Avete incontrato molti “terroristi russi” che, secondo la narrativa maidanista, infestano quelle zone?
E.F. Assolutamente no. Abbiamo trovato una situazione di grande compostezza e di ricerca di ritorno alla normalità. I danni materiali di 3 anni di conflitto sono molto visibili, sono rimasta particolarmente colpita dai segni del bombardamento anche su strutture come l’Università di Donetsk, ma quello che abbiamo visto è una popolazione che abita e difende la propria terra. Non abbiamo visto traccia dell’occupazione delle truppe russe come viene raccontata dai grandi media mainstream.
Tutti mi hanno chiesto di raccontare la verità al mio ritorno, di descrivere cosa avevo visto con i miei occhi. Ho assunto questo impegno ed è quello che sto provando a fare.
S.I. La gente del Donbass ha avuto qualche reazione quando, incontrandoti, veniva a sapere che sei parlamentare europea? Ha percepito qualche particolare sentimento (di speranza o di ostilità) nel confronto dell’Unione Europea, che tu in qualche misura rappresentavi?
E.F. Ho ricevuto davvero un’accoglienza meravigliosa. Ovunque ho percepito la gioia delle persone, da quelle incontrate per caso a quelle con cui mi sono confrontata negli incontri istituzionali, nel vedere che una rappresentante delle istituzioni europee aveva sfidato i divieti ed era venuta di persona a vedere cosa accade in Donbass. Non ho avvertito particolare ostilità verso l’istituzione che ad ogni modo rappresento, la UE. Maggiore risentimento l’ho avvertito quando si parlava invece della NATO. Mi è sembrato in ogni caso superiore il desiderio di riconoscimento internazionale della realtà politica creatasi in Donbass. E proprio al riconoscimento delle Repubbliche dedicherò il mio futuro impegno in Italia ed in Europa.
S.I. Che impressione hai avuto del radicamento istituzionale delle realtà separatiste? Lugansk e Donesk sono davvero stati con un controllo del territorio ed un consenso legittimante da parte delle popolazioni, destinati a durare per lungo tempo, o sembrano più strutture provvisorie che potranno essere facilmente reintegrate nella compagine statale ucraina?
E.F. Nelle repubbliche è in atto un vero e proprio processo di formazione di uno Stato. In particolare a Lugansk, dove ho avuto modo di confrontarmi direttamente con le istituzioni locali, è evidente come autorità politiche, militari e sindacali stiano lavorando a costruire una legittimità statale. È molto chiaro e forte il sostegno popolare, le bandiere delle Repubbliche sventolano ad ogni angolo, tutti mostrano il nastro di San Giorgio. Più volte ho sentito la frase “non si può tornare indietro”. Sono rimasta molto colpita nel leggere sulla stampa ucraina che al corteo del primo maggio, cui ho partecipato a Lugansk, le milizie avrebbero costretto armi in pugno le persone a scendere in piazza. Ho visto l’esatto opposto, decine di migliaia di persone felici in strada a difendere la propria terra, la propria storia, la propria cultura.
S.I. Consentici ora di uscire un po’ da seminato: parlare di Donbass (e difendere questa scelta geopolitica) porta necessariamente alla questione “Russia”. Sentiamo dire che la Russia, paese capitalista, è solo un “altro imperialismo” uguale e opposto a quello atlantico. Quindi secondo tanti, a sinistra, bisogna chiamarsi fuori da questa contesa. Eppure, se paragoniamo i mezzi politici, culturali, economici e militari, del blocco occidentale e quelli russi riscontriamo una sproporzione colossale. Non a caso gli avamposti della NATO in 20 anni hanno compiuto un balzo in avanti di 2000 chilometri, spostandosi da Amburgo a Kharkov. Dove dovrebbe ritirarsi ancora la Russia? Proviamo a lanciare un’ulteriore provocazione: alcuni paesi sottoposti a chiare aggressioni da parte dell’imperialismo atlantico, come il Venezuela, Cuba, la Siria, ricevono dalla Russia un reale sostegno politico, economico e militare. È chiaro che se ci fosse un “Maidan” a Mosca, anche tante realtà chiaramente antagoniste ne riceverebbero un contraccolpo. Probabilmente hai già capito dove vogliamo arrivare: forse non si può “amare Putin”, ma non è un po’ miope disinteressarsi alla lotta della Russia per una reale indipendenza, rimanere equidistanti fra aggressore ed aggredito?
E.F. Certamente non posso essere annoverata fra coloro che “amano” Putin. Ho una parte politica, anche in Donbass il mio riferimento principale erano i partiti comunisti delle repubbliche, non il governo russo. Ma il quadro mi sembra evidente. Nei 25 anni che sono seguiti alla fine dell’Unione Sovietica, la Nato ha perso qualsiasi connotato residuo di alleanza militare difensiva, ragione per cui era nata, per assumere un chiaro ruolo aggressivo di espansione del dominio politico e militare dell’occidente. Fomentando guerre in giro per il mondo e veri e propri colpi di Stato come avvenuto in Ucraina nel 2014.
Da sinistra è doveroso battersi contro questo blocco di potere imperialista, che oggi è il principale pericolo globale per la pace e la stabilità, e mirare ad un mondo multipolare, in cui viga il diritto internazionale e il diritto all’autodeterminazione autodeterminazione dei popoli.
Abbiamo in questo senso sempre espresso chiaramente una posizione di contrarietà alle sanzioni contro la Russia, e la necessità di avviare un nuovo percorso di disarmo a livello internazionale.
S.I. Gli ultimi anni hanno portato alla ribalta della politica internazionale entità esterne agli stati nazionali. Fra le organizzazioni nate da trattati internazionali l’Unione Europea è sicuramente quella più considerevole. Da molte parti si fa notare che gli assetti espressi dai trattati UE sono regressivi rispetto alle Carte Costituzionali nazionali. Questo regresso è chiaramente visibile nell’arretramento dei diritti e dei livelli di tutela dei lavoratori in Europa occidentale degli ultimi 30 anni. Sembra proprio che la UE sia stata per l’Europa continentale quello che Thatcher e Reagan sono stati per Regno Unito ed USA. Esistono prospettive di riforma di questa situazione o è meglio ripiegare sugli ordinamenti interni, più democratici? Perché il capitale, ora che ha vinto e che il movimento laburista è più debole, dovrebbe rinegoziare gli accordi conclusi prima di giocare la partita?
E.F. Io penso che l’UE sia irriformabile. È diventata il principale strumento di attuazione delle politiche neoliberiste in Europa, ed è costruita in maniera da essere in gran parte impermeabile alle istanze del conflitto e della partecipazione dal basso dei cittadini.
Ma penso allo stesso tempo che la battaglia vada condotta a tutto campo. Difendendo certo le garanzie che l’ordinamento nazionale conserva, come abbiamo fatto lottando contro la deforma costituzionale di Renzi e Boschi. Ma l’obiettivo è riportare a tema il discorso sulla rivoluzione in Occidente, la ricostruzione di un blocco storico in grado di invertire drasticamente la rotta politica ed economica. E per fare questo lo spazio europeo è l’altezza minima a cui porsi, tenendosi lontano dai rigurgiti nazionalisti delle destre.
E’ necessario che il Vento dell’Ottobre, nel Centenario della rivoluzione, torni a soffiare. Ed il vento non rispetta confini.
S.I. Sempre al di fuori degli stati ci sono altre entità, come le ONG, sottratte, così come le organizzazioni sovranazionali, al controllo democratico. Osserviamo queste entità, ed alle volte apprezziamo, addirittura con entusiasmo, il loro ruolo di supplenza rispetto alla inerzia degli apparati pubblici nelle aree di crisi. Altre volte vediamo le ONG assecondare campagne di stampa intese a suscitare guerre imperialistiche, oppure partecipare a sommovimenti di piazza con il fine nemmeno troppo nascosto di promuovere “cambi di regime” graditi a Strasburgo e Washington (è successo a Kiev, sta succedendo in Venezuela): come dobbiamo rapportarci nei confronti di queste entità? È giunto il momento di ficcare il naso nei loro conti, per separare quelle per così dire “genuine” da quelle sostenute da ingerenze inconfessabili?
E.F. Succede anche che le ONG, come quelle italiane che si occupano di immigrazione, siano da qualche tempo al centro di polemiche vergognose. Io penso si debba guardare sempre al tipo di lavoro svolto. Chi salva vite sarà sempre dalla mia parte. Chi fa da eco alla propaganda imperialista sarà sempre un mio avversario.
S.I. Un’ultima domanda sulla tua visita: tu vieni da una grande metropoli del Sud Italia, dove molti giovani stentano a trovare sbocchi occupazionali e ad organizzare in modo dignitoso il proprio futuro. Hai visitato luoghi del mondo, come Gaza ed il Donbass, in cui i problemi dei giovani sembrano del tutto diversi: combattere una occupazione militare, resistere all’aggressione armata di un grande esercito. Hai trovato qualcosa che potrebbe unire i giovani di Bari, di Gaza e di Donetsk? Esiste una prospettiva in cui tutte queste lotte potrebbero congiungersi contro un nemico comune?
E.F . È esattamente questa prospettiva che cerchiamo di contribuire a costruire. Siamo immersi in un sistema economico e politico che alimenta le disuguaglianze e crea continuamente dei “sud” da sfruttare e opprimere sull’altare della massimizzazione del profitto e dell’estensione dei mercati di capitali. Ho promosso da qualche mese una Carovana del Sud, partita da Napoli e già passata per Bari, con l’obiettivo di unire le esperienze critiche e di conflitto del meridione d’Italia in una prospettiva europea, poiché l’austerità ha prodotto una fascia di paesi del sud Europa in cui livelli di vita e diritti stanno crollando. Serve una ricostruzione della coscienza collettiva, unico antidoto allo sfruttamento in atto.
In quest’ottica, la solidarietà internazionale è un tassello fondamentale, perché il fenomeno è globale. Abbiamo tanto da imparare dalla resistenza palestinese, da quella del popolo curdo e del popolo del Donbass, dalle esperienze dell’America Latina. Unire le lotte delle periferie del mondo, costruire ponti laddove non ce n’erano.
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Intervista a cura di Elvia Politi per SakerItalia
Eleonora Forenza è su facebook e sul blog www.eleonoraforenza.it
Nell´anno 2016, gennaio hanno visitato queste due repubbliche un coppia dei parlamentari della Republica Ceca. on, Ondraček ed on. Mackovik.
mi spiace per l’onorevole europea, ma dalle sue risposte noto che coloro che difendono il proprio territorio è visto come un pericolo se si richiama alla Nazione che sarebbe matrice dei fascismi.
Lei ,tardivamente sembra svegliarsi ,a tre anni dai fatti di Maidan, per conoscere in loco quello che è noto all’est del Limes Nato/Eue ,ma anche di qua del muro della Nato.( i popoli che lei non rappresa al Parlamento europeo, sanno benissimo cosa accade ai confini della Otan.
Le popolazioni che stanno difendendo, nel Donbas la loro società, la loro lingua senza la quale una cultura sarà soppressa, non devono sperare nulla da tali rappresentanti UE che cercano visibilità politica sui media alternativi perché in quelli del mondo cui appartengono non trovano udienza.
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Questa Signora sembra la copia della Boldrini che si commuove quando le ONG” salvano” le vite ma non si pone la domanda sulle cause del loro esodo dai loro territori e perché sono oggetto di commercio che genera conseguenze morali e materiali che le Sinistre ,di cui si onora di farne parte ,non sanno come gestire a causa di una convivenza imposta insopportabile in un mondo economico che mentre blatera di “diritti” opera perché siano conculcati a favore dello sviluppo planetario delle multinazionali private che non tollerano ostacoli ai propri programmi e che rimuovono con la corruzione dei parlamentari europei e nazionali.
L’intervista della onorevole comincia bene, con il resoconto del suo viaggio in Donbass e bisogna riconoscere il coraggio e la determinazione da lei dimostrata. Ma sul piano dell’analisi geopolitica si mostra debole e reticente. Va bene la critica alla UE “irriformabile” ma quando auspica che il vento della rivoluzione d’Ottobre torni a soffiare “senza rispettare i confini” non è assolutamente in grado di indicare un percorso strategico basato sui rapporti di forza, quindi il suo è solo un auspicio da “anima bella” o meglio, da comunista antileninista, il che è una contraddizione insanabile in cui è avvolta insieme al suo partito. Di una “solidarietà internazionale” che si appoggia alle nefandezze dei curdi e ignora il martirio della Siria di Assad (per non parlare della Libia di Gheddafi) non sappiamo proprio che farcene!