Lavorare per una piattaforma di controinformazione come Saker è una esperienza spesso esaltante e quasi altrettanto spesso frustrante. Problemi tecnici, attacchi informatici, defezioni: tutto era peraltro abbondantemente previsto, come prevista era la soddisfazione per la qualità del contributo editoriale e per i riconoscimenti. Quello che non era previsto, e che invece fa davvero la differenza, è la qualità delle persone che da tutto il mondo, seguendo i percorsi culturali e politici più vari, approdano per caso in un luogo unico come la comunità Saker. E’ così che abbiamo conosciuto Jimmie Moglia, ingegnere, musicista, scrittore, ricercatore nel campo della didattica. O, come preferirebbe definirsi “un adattatore di idee che, una tantum e diis volentibus, ne azzecca una giusta”. Stiamo ancora cercando di convincerci che esiste davvero Jimmie, e non è il protagonista di uno di quei bestseller o blockbuster che la “macchina dei sogni” sforna a ciclo continuo: in qualche modo Jimmie sembra proprio un prodotto di quella formidabile fucina di miti che  si è messo in testa di smascherare.

Comunque Jimmie ci ha messo in una situazione non facile. Stavamo ancora cercando di dissimulare il nostro imbarazzo nell’ avere a che fare con il mostruoso spessore culturale del suo blog Your Daily Shakespeare che lui ci ha fatto una proposta davvero spiazzante: che ne direste se regalassi ai lettori di Saker il mio ultimo libro, “USA e Getta”?

Beh, accidenti, si! Anche perché il testo (che abbiamo divorato in un paio di notti) è una vera miniera di aneddoti di contro storia degli Stati Uniti, una specie di puzzle magico i cui pezzi si compongono da soli nella mente del lettore (che nemmeno se ne accorge) e vanno a formare una bomba che Jimmie fa detonare sotto una immagine che si trova nel cervello di ognuno di noi: quella produzione propagandistica, possente e diabolica, nota come Mito Americano. Quel complesso di valori e di desideri assunti a livello inconscio da ciascuno di noi, pietra angolare di ogni pretesa egemonica e di ogni double standard imperiale contro cui ci battiamo ogni giorno. Quindi: si, si si! Certo che accettiamo, questo regalo. Ma non potevamo fermarci qui: abbiamo costretto Jimmie a raccontarci  chi è e ad approfondire alcune tematiche del suo libro che ci avevano interessato. Sono venute fuori parecchie cosette interessanti che vi proponiamo (parte prima: intervista) assieme ad una galleria di 10 personaggi storici che abbiamo conosciuto grazie a Jimmie (parte seconda: USA e getta in dieci nomi). Un aperitivo perfetto, prima di inoltrarvi nella lettura di “USA e getta” (parte terza: scarica USA e getta).

Parte prima: intervista.

Un assaggio per voi di una biografia e di un percorso culturale sempre sospeso fra la dimensione umanistica e la necessità di organizzare e razionalizzare lo slancio spirituale disponendolo tecnicamente e rendendolo in questo modo meglio comprensibile e fruibile. Nato a Torino, si trasferisce presto a Genova dove frequenta prima il liceo D’Oria  e poi la facoltà di Ingegneria. Nello stesso tempo sviluppa la passione per la musica. E’ proprio questa passione che lo conduce negli Stati Uniti. “Coltivavo due interessi indipendenti.” Racconta Jimmie “Avevo già girato abbastanza il mondo, perché da studente (raddoppiando i tempi di laurea), facevo il chitarrista e mi ero appassionato a un certo sound del genere country and western. Quindi avevo visitato, stile menestrello state of the art (o quasi), parecchi paesi. Ero curioso di scoprire la sorgente storica ed autoctona del sound che mi aveva interessato. Per quel che vale, anche la mia tesi di laurea (peraltro niente di sconvolgente), era sulle tecniche, apparecchiature e tecnologia per l’analisi e l’adattamento del sound attraverso i vari confini linguistici. L’altro interesse era, appunto, verificare quanto era vero e quanto no sul mito americano.”. Negli Stati Uniti Jimmie ha conosciuto anche il successo commerciale, dirigendo per vent’anni una azienda specializzata nella produzione di un dispositivo per reinchiostrare le cartucce delle stampanti. In questo periodo la passione per le materie umanistiche non è venuta meno, con particolare attenzione alle per la tecniche di trasmissione del sapere, passione cui si è potuto dedicare completamente al momento del pensionamento dopo vent’anni di direzione aziendale. La disponibilità di tempo gli ha permesso di applicare il suo “metodo mnemonico” (basato sull’abbinamento di immagini e testi in “quadretti mnemonici”) alla letteratura. Nel 2001 è uscito Your daily Shakespeare (citazioni di Shakespeare correlate a 10.000 situazioni di vita quotidiana), cui è seguito, nel 2012 Il nostro Dante quotidiano, 3.500 modi di cavarsela con Dante. Per circa 6 anni, in uno con la stesura del libro su Shakespeare, ha prodotto a Portland una serie televisiva mensile intitolata “Shakespeare’s Views on the News”. Al momento, si occupa della produzione di una serie televisiva intitolata Historical Sketches  (26-28 minuti per episodio) e ha appena completato e messo on line l’ultimo (sesto) episodio sulla storia dell’Ucraina.  I nostri lettori troveranno la stessa filosofia di sintesi fra cultura e divertimento in “USA e Getta”, un libro che offerto spunto per una interessante conversazione con l’autore.

Saker Italia: Perché questa contro storia dell’America, a prima vista un tema così diverso dagli altri tuoi lavori? Perché ora?

Jimmie Moglia: Le mie ricerche hanno sullo sfondo una genuina passione per l’educazione – o meglio per i metodi di studio, che –  ritengo fermamente – dovrebbero far parte del soggetto studiato. In contrasto al considerare il metodo come un soggetto separato da quello che si studia. Il tutto con lo scopo di trasformare studio e lettura in un divertimento intelligente.

Quindi quanto scrivo e’ correlato a una domanda che cerco di pormi, piu’ o meno, come segue: “… cosa potrebbe essere d’interesse (o utile) a chi – magari gia’ conoscendo abbastanza il soggetto – volesse saperne di più?” Detto cosi’ sembra una banalità. Chiunque si mette a scrivere, anche una lettera, ha in fondo la stessa intenzione. Ma per un lavoro più lungo, il  concetto di unire l’interesse all’ utilità (per l’eventuale lettore) costituisce la mia ispirazione, sia pure con la “i” minuscola. Interesse, utilità, ma anche un po’ di divertimento.

Con Shakespeare e Dante, ho cercato di accomunare utilità a una forma di soddisfazione-divertimento – quella che si prova quando ci si imbatte (o ancora meglio), quando ci esprimiamo proprio con le parole che fanno al caso. Del resto, Shakespeare stesso fa osservare, a un protagonista di “Taming of the Shrew”, che “No profit grows where is no pleasure taken.”

E sulla stessa vena, lavoro da parecchio tempo a un dizionario basato sulle espressioni di Samuel Johnson – maestro indiscusso della lingua inglese e autore del primo dizionario, nel ‘700. Il suo è un inglese a metà tra una marcia militare e un salotto con Mozart al clavicembalo, ma proprio in questo contrasto sta la sua originalità. Scoperta certo non mia. Tant’e’ vero che quando andava in giro per Londra aveva un codazzo di aficionados che lo seguivano con matita e calepino, per trascrivere immediatamente le sue frasi killers sui vari soggetti.

S.I. Gli Stati Uniti hanno costruito un sistema imperiale. Come tutti i sistemi quello statunitense implica delle rinunce: le cose vengono fatte in un modo e non in un altro. E tuttavia il sistema produce degli effetti: una rete di relazioni culturali e commerciali, un supporto tecnologico, l’apertura di nuovi canali di comunicazione, la costituzione di una classe dirigente globale. Il paragone che viene in mente è ovviamente quello dell’Impero Romano, ma si potrebbe pensare anche a quello Mongolo, e  a tutti gli altri grandi sistemi integrati creati dall’uomo nella storia. Non è già questo fattore un elemento positivo, che giustifica i costi morali della costruzione dell’impero?

J.M. Tutti i sistemi, come dici, comportano delle rinunce e sono d’accordo che il sistema produce degli effetti anche positivi. Ma probabilmente discuteremmo a lungo su un punto per me cruciale. I Mongoli, i Tartari etc. conquistavano per conquistare, non in nome di un principio politico-etico-morale. Tant’e’ vero (parlo a grosso-modo naturalmente), che alla fine si sono integrati con i popoli conquistati e, piu’ o meno, hanno smesso di conquistare.

Se leggo bene, la tua tesi è che ogni progresso ha un costo, che costituisce, di fatto, la fattura del progresso. Qui dissento, ma so anche che per dissentire, in modo non becero, dovrei abusare del tuo tempo.

S.I. Nel tuo libro è frequente la sottolineatura della distanza fra i principi affermati in teoria e la prassi di governo nella storia degli stati uniti. Questo è un tratto comune a tutte le società umane (la classe dirigente tenta di legittimarsi proiettando una rappresentazione più nobile dei propri principi di quanto non sia la realtà): penso alla famosa costituzione sovietica del 1938, una messe di fantastiche affermazioni teoriche prodotte nel cuore delle purghe staliniane. Quindi si tratta di una torsione normale, o nel caso degli stati uniti questa ipocrisia ha qualcosa di particolare?

J.M. Per la contro storia degli USA, ritengo che (statisticamente), pochi si rendano conto di quanto il mito preponderi sulla realtà. Sono d’accordo che la differenza tra teoria e pratica è universale, ma – a mio avviso – c’è una differenza tra le differenze.

Esempio – quando la Costituzione del dopoguerra dice che la repubblica italiana e’ fondata sul lavoro, esprime un principio, semplice quanto so vuole, ma a cui non si può obiettare.

In contrasto, la dichiarazione di indipendenza americana stabilisce che “gli uomini sono creati tutti eguali”, meno i negri, gli indiani, le donne e i poveri. Quindi si parte da una verità negata nel momento in cui viene espressa. Il che ha causato la civiltà, che da quelle parole ebbe origine, ad arrampicarsi letteralmente sugli specchi per far finta che fosse vero quello dicevano ma che contemporaneamente negavano.

In breve, una consapevolezza della storia degli Stati Uniti, diversa dal mito. può spiegare (dico spiegare e non risolvere), i giganteschi paradossi (e crimini contro l’umanità), della politica americana – del resto articolati spesso nel blog a cui contribuiamo. Proprio perché ci cade a pennello, cito Samuel Johnson dal dizionario a cui sto lavorando, “… The tribe is likewise very numerous of those who regulate their lives, by the measure of other men’s virtues; who lull their own remorse with the remembrance of crimes more atrocious than their own, and seem to believe that they are not bad while another can be found worse…

Lo so che non è questo che intendi, ma un trattamento adeguato della “particolarità dell’ipocrisia”, eccederebbe i limiti che posso imporre allo spazio a nostra disposizione.

S.I.: Tuttavia le potenze emergenti (Russia, Cina, India…) sono molto diverse dagli Stati Uniti a cui contendono il primato o non ci troviamo piuttosto ad una lotta per l’egemonia fra animali dagli istinti e dalla natura ugualmente predatoria? In conclusione: esiste davvero una alternativa?

J.M. Ai posteri l’ardua sentenza, ma qualcuno a un certo punto dovrà pur pensarci. “If there’s a will there’s a way.” Tanto per proprio non dir niente, mi vengono in mente gli esperimenti del progetto Mondragon in Spagna. Ma è soggetto che richiede una passione, sia per il la teoria che per la pratica e il dettaglio, da rendere vuota di significato qualunque generalizzazione.

S.I. Ho notato che nel libro non si parla approfonditamente di Roosevelt. Nell’immaginario occidentale questo presidente rappresenta forse una eccezione: una certa tendenza al keynesianesimo, la volontà di cooperare con i sovietici. Altri, invece, sottolineano che è proprio Roosevelt a portare gli Stati Uniti all’egemonia mondiale e dibattono sulla famosa questione della conoscenza, da parte dell’intelligence USA, dell’attacco a Pearl Harbour. Che idea ti sei fatto di questa personalità?

Da quanto si legge sui giornali, i libri e la letteratura dell’epoca, la depressione dei 1930 era roba da fame universalizzata, o carestia programmata. Come sai, per chi dalla depressione ci guadagnò, Roosevelt era un comunista. Invece lui dichiarò di avere salvato il capitalismo. Figura molto interessante ma, tutto sommato, storicamente ambigua. Anche perché, visti i ricorrenti dubbi su Pearl Harbour e affini, è attraente il pronunciarsi, ma è altrettanto facile non essere creduti, e quindi mettere in dubbio anche il resto.

S.I. Negli ultimi anni [ma sintomi di questa tendenza già si erano rivelati sotto la presidenze Carter e Reagan] la politica estera imperiale degli stati uniti pare essersi focalizzata su una dicotomia abbastanza interessante. I repubblicani promuovono un esercizio più diretto della forza militare e del potere imperiale, inviando gli “stivali sul terreno”, occupando fisicamente i paesi strategicamente ritenuti essenziali. In questo senso il loro imperialismo è più tradizionale, più brutale. I democratici invece hanno un approccio più raffinato, proclamano la primazia dei diritti civili, destabilizzano i paesi attraverso forme sapienti di ingegnerizzazione del consenso, e poi manovrano dall’esterno il caos che ne consegue utilizzando le varie fazioni contrapposte e, eventualmente, inviando “droni”, armamenti, ma senza intervenire direttamente. Concordi con questa lettura? Non ti pare che questa seconda impostazione sia addirittura più pericolosa della prima?

J.M. Carter e’ stato, a mio avviso, il più umano dei presidenti americani nel recente contesto storico. E’ stata l’unica presidenza durante la quale non fu dichiarata o promossa alcuna guerra, sganciata alcuna bomba o lanciato alcun missile. Non per nulla l’hanno vilificato nel modo piu’ gretto. Bisogna peraltro ammettere che la macchina mediatico-ideologica statunitense è ineguagliabile nel costruire la “verità”, nel ribaltare la storia e nel rendere le menzogne appetibili.

La differenza tra democratici e repubblicani è ad usum delphini. Sono poi alleati formidabili nell’impedire il sorgere di un altro partito (leggi ideologia). Una corrente definizione, abbastanza popolare, su democratici e repubblicani è che sono “Two wings of the same bird of prey”.

Concordo con l’idea che i democratici siano piu’ pericolosi dei repubblicani – anche se, tra i repubblicani, la fazione piu’ rumorosa è quella dei neo-conservatori, born-again-Christians, sionisti sfegatati, promotori di iniziative che sarebbero comiche (per esempio il gruppo “Jews for Jesus”), se non avessero alla base  militarismo e imperialismo, senza remore e senza maschera.

S.I. Cosa ne pensi della promozione dei diritti civili come strumento di disgregazione economica e sociale? Negli ultimi anni mi trovo sempre più di frequente ad osservare come molte istanze liberal non siano affatto “disinteressate”. Pare quasi che sia avvenuto un divorzio fra il mercato e certe strutture culturali e sociali, come ad esempio la chiesa e lo stato nazionale, che storicamente hanno svolto una funzione ancillare e di controllo, ma anche di mediazione. Oggi il mercato pare considerare queste strutture degli intralci: non serve più la chiesa se vuole stabilizzare le famiglie, favorire un po’ di equità sociale, fare osservare il riposo domenicale. Serve solo l’individuo nudo, crudo, e con una identità liquida, meglio adattabile alle esigenze del profitto. Questa almeno la mia impressione di osservatore europeo. Vedi qualcosa di simile negli stati uniti?

J.M. America docet. Europa sequitur. Mi permetto di riferirmi ad un articolo sul mio sito, nel quale rispondo implicitamente alla tua osservazione – anche se l’articolo prende lo spunto da un saggio pubblicato in Europa. Sono d’accordo. Senza abbandonarsi a teorie cospiratorie, c’è un movimento in corso per promuovere la neutralità degli orientamenti sessuali e quindi la secondarietà della famiglia tradizionale – concetto promosso pesantemente da Hollywood, la macchina del pensiero. E, hai ragione, il progetto non e’ disinteressato. Slegando l’individuo dalla percezione archetipica della famiglia, lo si controlla ancor meglio.

Parte seconda: USA e getta in 10 nomi.

Samuel Argall

Samuel Argall

Samuel Argall (1572 – 1626) Lupo di mare, amico di Thomas Smith, fondatore della “Virginia Company” e del Barone di Warwick “il quale invece pirata lo era davvero, possedendo il più gran numero di navi corsare nell’ Inghilterra del tempo”. Fattosi un nome aprendo nuove rotte marittime e conducendo razzie e operazioni militari contro gli insediamenti francesi ed olandesi sulla costa atlantica, Argall viene nominato vice governatore della Virginia. In assenza del governatore in carica Lord de LaWarr, Argall manovra abilmente rinfocolando le tensioni con gli indigeni, intervenendo con profitto personale nella gestione finanziaria della colonia e della “Virginia Company” e riuscendo a dileguarsi con un pingue bottino prima dell’arrivo del revisore contabile inviato dalla compagnia e garantendosi un futuro agiato e onorato grazie al tempestivo intervento del suo protettore Lord Warwick.

Nathaniel Bacon

Nathaniel Bacon

 Nathaniel Bacon (1647 – 1676) si trovò a comandare una ribellione dei bianchi di frontiera a cui si aggiunsero schiavi (negri) e servi vincolati da contratto (bianchi). Il governatore della Virginia, William Berkeley, dovette darsela a gambe mentre i ribelli incendiavano Jamestown, la capitale.  Fino a quando l’Inghilterra, su richiesta del governatore, inviò un migliaio di truppe per reprimere l’insurrezione.” La ribellione scoppiò quando i coloni si accorsero che il governo, emanazione dei grandi proprietari terrieri, ne pianificava insediamenti sempre più ad ovest, nei territori indiani, esponendoli alle violente e prevedibili ritorsioni dei nativi, provvedendo poi ad espropriare i piccoli proprietari non appena un territorio poteva considerarsi “pacificato”. La ribellione di Bacon si originava proprio dalla convinzione dei pionieri di non ricevere un supporto militare sufficiente dalle autorità coloniali. Benzina sul fuoco gettò la siccità del 1676. “Bacon, paradossalmente, era tra i ricchi, ma essendo più anti-indiano degli altri voleva formare una milizia speciale per eliminare completamente gli autoctoni. Furono le classiche circostanze fortuite a farlo passare alla storia come combattente degli impoveriti contro i privilegiati. (…) Un ministro del culto, dall’estro poetico, compose per Bacon il seguente epitaffio, Bacon e’ morto. Mi dispiace al profondo del cuore che pidocchi e diarrea l’abbiano ammazzato invece del boia.

Samuel Johnson

Samuel Johnson

Samuel Johnson (1709 -1784) lessicografo ed estensore del primo dizionario della lingua inglese. E’ sua l’espressione “ricerca della felicità” che compare nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. Johnson comunque non era esattamente un estimatore delle colonie. Scrive, fra l’altro: “Son pronto a benvolere tutta l’umanità eccetto un americano. Sono avanzi di galera e dovrebbero essere grati per qualunque nostra concessione oltre a quella di non mandarli alla forca”. E siccome gli americani parlavano continuamente di libertà, cosi’ scrive nel suo trattatello intitolato “La Tassazione non e’ Tirannia”:  “Ma come mai quelli che guaiscono di piu’ per la libertà, sono i padroni degli schiavi negri?”.

Thomas Paine

Thomas Paine

Thomas Paine (1737 – 1809) “L’ingordigia dei profittatori non esenta le guerre e le rivoluzioni – compresa quella americana. Ma non mancano gli idealisti. Per la rivoluzione americana l’idealista Tom Paine merita uno speciale riconoscimento. Nel ‘700 a parlare di democrazia erano gli aristocratici, inglesi, francesi e certi ministri del culto non conformisti. Ma le loro speculazioni e dissertazioni erano dirette alla classe colta. Tom Paine, invece, è un innovatore, non in dottrina, ma in stile espressivo, senza fronzoli e comprensibile all’ uomo comune, al lavoratore. Roba da renderlo pericoloso e da attirare l’ostilità di tre nomi eccellenti dell’epoca, il primo ministro inglese Pitt, Robespierre e persino Washington.  I primi due cercarono di ammazzarlo, Washington non fece niente per salvarlo. Alla fine e per fortuna, Thomas Jefferson, assunto alla presidenza americana, lo estrasse dalla prigione francese. Contando di sollevare una rivoluzione in Inghilterra, dopo che quella in Francia era già cominciata, scrisse “I Diritti dell’Uomo” e “l’età della Ragione” l’opere che elevano Tom Paine al livello dei grandi dell’umanità. E’ un attacco mordente e selvaggio contro la superstizione e la religione organizzata, che va sostituita dalla religione della coscienza individuale. Il primo ministro Pitt soppresse il libro e per poco non riuscì a catturare (e fare impiccare) Tom Paine prima che scappasse oltre Manica. Pitt avrebbe detto alla nipote, “Paine ha ragione, ma se dovessi approvare le sue opinioni, avremmo presto una violenta e sanguinosa rivoluzione (in Inghilterra)”. (…) In Francia, Paine, pur essendo rivoluzionario, si oppose all’esecuzione del re Luigi XVI e venne imprigionato. L’ambasciatore americano a Parigi, che Paine aveva denunciato in precedenza per un caso di corruzione, non si mosse. Per di piu’, adesso Washington appoggiava l’Inghilterra contro la Francia e faceva tutto il possibile per contenere idee democratiche e rivoluzionarie – proprio quelle a cui doveva il proprio potere e successo. Interessarsi dell’amico di non molto tempo fa era controproducente. (…) Ci volle l’elezione di Jefferson alla presidenza in America e un cambio di ambasciatore a Parigi per far liberare Tom Paine. Ma Jefferson, accusato di ateismo dai suoi nemici politici non poteva più permettersi di coltivare l’amicizia di un agnostico dichiarato. Malato e disilluso, Tom Paine morì nel 1809, solo e senza amici.”

Daniel Shays in una raffigurazione contemporanea

Daniel Shays in una raffigurazione contemporanea

Daniel Shays (1747 – 1825) Coltivatore diretto, Daniel Shay aveva combattuto nell’ esercito americano durante la guerra d’indipendenza, conquistando i gradi di capitano. Stabilitosi in Massachussets dopo la guerra dovette constatare come la condizione dei piccoli proprietari si facesse sempre più difficile a causa del crescente indebitamento nei confronti della classe mercantile, che via via procedeva alla spoliazione delle proprietà dei coltivatori forte di una legge che obbligava i debitori ad estinguere i debiti con moneta metallica e non cartacea. Intorno a Shay prese a radunarsi un movimento di piccoli proprietari che, restaurata una istituzione della democrazia diretta coloniale (le Country Convention) cercò di opporsi prima per vie legali e poi con le armi (sotto la guida di Luke Day) ai soprusi legalizzati della classe mercantile. Il governo dovette ricorrere all’ esercito per reprimere la ribellione, risultato a cui si giunse nel 1787. I moti di Shay convinsero le classi dirigenti delle colonie della necessità di stabilire un forte governo centrale.

George Cockburn

George Cockburn

George Cockburn (1772 – 1853) Vice ammiraglio britannico. Durante la guerra anglo americana del 1812 comandò, assieme al maggiore Ross, le operazioni anfibie che portarono all’incendio di Washington. “A Washington regnava confusione. Gli inglesi arrivarono in città prendendola letteralmente di sorpresa. Il presidente Madison era già scappato. La first lady, Dolley Madison, riuscì a salvare il famoso ritratto di Washington, dipinto da Gilbert Stuart, soltanto rompendo la cornice e correndo col ritratto sulla carrozza in attesa. (…) Un prevedibile ma inaspettato risultato dell’incursione di Cockburn fu la fuga di circa 5000 schiavi. Bastava la vista di una nave inglese per incitare gli schiavi a scappare, pur correndo notevoli rischi. L’ammiraglio Cochrane [comandante delle forze britanniche] dichiarò con un proclama che la marina inglese avrebbe accolto come benvenuti tutti gli schiavi che volessero lasciare l’America. Con l’alternativa di arruolarsi nell’esercito inglese o di essere trasferiti come coloni liberi in una delle isole dei Caraibi. (…) Dopo l’incursione su Washington gli inglesi avrebbero voluto catturare il forte MacHenry che difendeva Baltimore. Preso il forte, le truppe di terra avrebbero potuto avanzare sulla città. Ma nonostante un intenso bombardamento navale, Ft. MacHenry resistette. Intanto l’ammiraglio Cochrane era preoccupato che la flotta si arenasse nelle acque della Chesapeake Bay. Fu deciso di re-imbarcare le truppe di terra, salpare le ancore e ripartire. Il raid piu’ famoso della guerra era terminato.”

Sarah Moore Grimke

Sarah Moore Grimke

Sarah Moore Grimke (1792 – 1873)figlia di un ricco proprietario di schiavi e di una piantagione nel South Carolina.  Pur essendo di intelligenza eccezionale, le venne preclusa, in quanto donna,  l’educazione universitaria, concessa invece ai fratelli. Fu l’esperienza giovanile a farne una femminista e un’abolizionista. Agli abolizionisti che si opponevano all’ amalgamazione delle due cause, Sarah Grimke rispose: “Non possiamo portare avanti l’Abolizionismo se non affrontiamo il grande ostacolo che abbiamo di fronte. Se rinunciamo al diritto di parlare in pubblico, l’anno dopo perderemo il diritto di presentare petizioni, e l’anno dopo quello, il diritto di scrivere e cosi’ via. Allora cosa può fare la donna per lo schiavo, quando essa stessa si trova sotto la suola dell’uomo e vergognosamente condannata a tacere?”

Abrahamm Lincoln

Abrahamm Lincoln

Abraham Lincoln (1809 – 1865) Il giudizio di Jimmie Moglia sul Presidente della guerra civile: “Lincoln aveva una straordinaria abilità di rispondere in modo da non rispondere, ma contemporaneamente soddisfacendo, con una non-risposta, chi era pro e chi contro un argomento. E di affermare nello stesso discorso due principi contradditori, abilmente nascondendo la loro contraddittorietà. Forse è questo che gli ha procurato tanti ammiratori. Dopo tutto è la stessa contraddittorietà sancita, come abbiamo visto, nella Dichiarazione di Indipendenza, “… tutti gli uomini sono creati eguali….”, meno tutti gli altri.

Edward Bernays

Edward Bernays

 Edward Bernays (1891 – 1995) autore del libro “propaganda” (1928). Alcune sue intuizioni sono di scottante attualità: “La manipolazione intelligente e consapevole delle abitudini e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società “democratica”. I manipolatori di tale occulto meccanismo della società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il vero potere di decisione del nostro paese. Siamo governati, le nostre menti sono plasmate e modellate, i nostri gusti sono creati e le nostre idee sono impiantate in gran parte da gente che non conosceremo mai. Questo è il logico risultato organizzativo della nostra “democrazia”. Le grandi masse degli esseri umani devono “cooperare” in questo modo se si vuole avere una società che funzioni senza ostacoli.” Secondo Jimmie Moglia: “Bernays aveva ragione, lui è uno dei pochi manipolatori che abbiamo conosciuto. E non solo predicava bene, ma razzolava ancora meglio. Morì vecchissimo ed è considerato il pioniere della manipolazione scientifica del cervello delle masse. Fu lui a coniare l’espressione, “l’ingegnerizzazione del consenso” (engineering of consent).”  Durante la prima guerra mondiale fece parte del “Comitato di Pubblica Informazione” struttura creata per persuadere il pubblico delle necessità del conflitto.  Impiegato poi dalla American Tobacco Company, Bernays lanciò una campagna per convincere le masse che il fumo faceva bene alla salute. Qualche decennio piu’ tardi, la sua ditta lanciò la prima campagna per convincere le medesime che il fumo causa il cancro. Nel 1954 organizzò una campagna pubblicitaria per la United Fruit Company per promuovere un intervento statunitense diretto in Guatemala.

Cornel West

Cornel West

Cornel West (1958 – vivente) attivista ed intellettuale. Jimmie Moglia riporta un suo giudizio su Obama: “Il presidente Obama ha pochissima autorità morale, perché cerca di razionalizzare l’assassinio di gente innocente… Il poliziotto (George Zimmerman) che ha ammazzato il ragazzo, è un criminale. Ma Obama è un George Zimmerman globale, perchè cerca di razionalizzare le centinaia (221 a conta corrente in Pakistan, Somalia, Yemen, ndr) di bambini uccisi con i drones in autodifesa (degli Stati Uniti). Si può cercare di fare giustizia per il ragazzo negro ucciso quando Obama ha condannato Bradley Manning (2) ed Edward Snowden? Si comincia a vedere l’ipocrisia…. Le incongruenze sono evidenti per tutti… Questi leaders afro-americani sono impiegati dalla piantagione di Obama come controllori (dei lavoratori nella piantagione, ndr). Il loro lavoro è di tenere buono chi lavora nella piantagione in modo che non critichi il padrone. …Abbiamo un gruppo dirigente negro assolutamente deferente e ossequente a Obama. Questa è una vera e propria negrizzazione della piantagione, (“niggerization of the plantation”) –  per intimidire i controllori e tenerli subordinati. Dar loro ricchezza e basta. Ma l’intimidazione rappresenta un ritorno alle piantagioni (del Sud), prima dell’emancipazione degli schiavi.”


Parte terza: scarica USA e Getta di Jimmie Moglia

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