La situazione in Oriente è diventata un enigma. Come minimo, consideriamo l’ultima affermazione fatta dal Ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, Khalid A. Al-Falih: senza battere ciglio, ha bruscamente annunciato che probabilmente l’Arabia Saudita non aumenterà la produzione fino al rendimento massimo, inondando così il mercato petrolifero. Ma nell’estate 2016 la produzione di petrolio è salita del 2,7%, a 20,55 milioni di barili al giorno, mentre il consumo interno è aumentato a causa dell’installazione di due nuove raffinerie a Jubail e Yanbu che hanno fatto aumentare la domanda di petrolio a 800mila barili al giorno [in Russo].

Questo vuol dire che la produzione petrolifera ha raggiunto un picco, e sembra improbabile che Riyad riesca ancora ad aumentarla in modo significativo. Ciononostante, la già vecchia campagna di propaganda continua, e i Sauditi stanno facendo tutto quello che possono non solo per mantenere la loro quota sul mercato petrolifero, ma anche per aumentare il loro capitale, ed è per questo che continueranno a sforzarsi di raggiungere la produzione massima dell’“oro nero”. Infatti il petrolio vale molto denaro, una cosa di cui i Sauditi sono gravemente carenti e di cui hanno bisogno per sobbarcarsi tutte le spese del paese, che stanno aumentando di giorno in giorno; ma è anche probabile che il prezzo del petrolio cali, invece di salire di nuovo al livello di 150 dollari al barile.

Con i prezzi del petrolio sul mercato libero che stanno calando, anche le riserve auree e di valuta straniera del paese stanno evaporando: se nel 2014 le riserve d’oro e di valuta straniera superavano i 730 miliardi di dollari, attualmente ammontano a 555 miliardi di dollari. Anche se c’è ancora un costante flusso di denaro, le autorità stanno già parlando di attuare alcune riforme, ad iniziare dalle vaghe discussioni su certi cambiamenti economici che arriveranno dopo la riduzione della dipendenza del paese dal petrolio; simultaneamente, verranno fatti alcuni passi per ridurre le spese, ma questa politica passo per passo che tende a distruggere lo stile di vita e lo stabile mondo dei Sauditi è andata avanti per gli ultimi 70 anni. Gli esperti politici pensano che il contrappeso a tutto questo sarebbe una reale espansione della produzione di petrolio, della quale l’Arabia Saudita entrerà senza dubbio in controllo.

Per esempio, ci sono stati già allarmanti notizie dall’Arabia Saudita che suggeriscono che nel primo quadrimestre di quest’anno, l’economia è cresciuta solo dell’1,5% rispetto all’anno passato, il tasso di crescita più basso dal 2013; inoltre, è chiaro che se il settore petrolifero è cresciuto del 5,1%, tutti gli altri settori sono calati dello 0,7%. Gli economisti considerano questi tassi i più bassi degli ultimi cinque anni: per esempio, a luglio, la produttività del settore edilizio è calata dell’1,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e questa tendenza continua ad aumentare. Anche le costanti fluttuazioni sul mercato petrolifero e il deflusso di denaro estero dal paese hanno un impatto negativo sui risultati finanziari, e gli analisti si aspettano che tutti questi fattori condurranno al primo declino dell’economia [in Russo] saudita in quasi ottant’anni.

Il governo saudita è stato costretto ad annunciare piani per vendere azioni della compagnia Saudi Aramco. È ben noto che per decenni la compagnia petrolifera più grande del mondo è stata la base della stabilità e della ricchezza del paese. È stata già promossa l’Offerta Pubblica Iniziale (IPO) delle sue azioni, la cui vendita causerà inevitabilmente del trambusto e discussioni riguardo al fatto che le autorità hanno tradito l’Islam e vogliono cedere la ricchezza della nazione ai paesi occidentali. Con l’economia in deterioramento, incluso un settore del turismo religioso che sta perdendo colpi, l’ascesa di una nuova ondata di proteste che scatenerà risultati politici sconosciuti è inevitabile.

Secondo gli esperti, un’altra strada per le autorità sarebbe quella di svalutare la valuta nazionale, ed è improbabile che i Sauditi ne traggano giovamento. Nel frattempo, l’Arabia Saudita pianifica di vendere i suoi primi bond internazionali a fine ottobre. Ci si aspetta che questa mossa frutti 10 miliardi di dollari per tamponare il deficit di bilancio. Secondo Bloomberg, le banche JPMorgan Chase, HSBC e Citibank sono state assunte per coordinare di questa vendita.

Al momento, il governo si aspetta di ridurre il deficit di bilancio dal 16,3% del PIL (il risultato del 2015) al 13,5% del PIL. La riduzione di spese e sussidi continuerà, e nel 2017 potrebbe perfino aumentare. Questo spingerà la società ad un comportamento più attivo sul mercato, attraverso la privazione di esso di soldi guadagnati in modo illecito. Per esempio, c’è stato un brusco declino di posti vacanti nel settore pubblico, che erano occupati solo da Sauditi; i piani per costruire alcune strade in aree remote sono stati rivisti; i tassi di costruzione di alloggi gratuiti par i Sauditi, a cominciare dai giovani che si sono sposati in vista di una casa o un appartamento popolare, sono calati.

Si è perfino arrivati al punto in cui migliaia di lavoratori stranieri sono diventati ostaggio della crisi finanziaria dovuta al  prezzo del petrolio in caduta: i migranti che hanno lavorato nei cantieri non hanno ricevuto i loro stipendi per mesi e non hanno soldi per tornare a casa; mancano acqua e cibo nei cantieri, e Riyad è pronta a pagare i migranti perché vadano a casa, ma alcuni temono che la prossima volta la loro richiesta per ottenere un visto venga rifiutata, mentre la maggioranza non vuole andarsene senza stipendio, perché questo denaro è vitale per loro e le loro famiglie rimaste in patria; i cittadini di molti paesi asiatici, soprattutto India, Pakistan e Filippine, si sono ritrovati in questa difficile situazione.

Tutti questi problemi non sono comparsi all’improvviso, si sono accumulati sotto l’assolutamente non professionale leadership del paese, che comprende personalmente il Re e la Dinastia Saudita al potere: all’inizio, dopo aver accumulato enormi quantità di petroldollari, i Sauditi hanno deciso di avere il diritto di interferire negli affari degli altri paesi e di dire alle altre nazioni come dovevano vivere e che sistema statale dovevano adottare. All’interno di questa cornice, l’interferenza scorretta e non provocata di Riyad negli affari interni della Repubblica Siriana è davvero notevole. I Sauditi hanno deciso di cambiare il regime laico e Bashar al-Assad, e di rimpiazzarli con un loro scagnozzo, completamente incentrato su Riyad e che predicasse le idee del Wahhabismo. Non è per caso che il motore di ricerca della Microsoft traduca il nome arabo dell’organizzazione terroristica “Stato Islamico” in “Arabia Saudita”. Quando non ha funzionato la prima volta, i Sauditi si sono risolti a far scoppiare la Guerra Civile in Siria, prima creando gruppi terroristici, e poi rifornendoli abbondantemente di moderne armi americane: queste richiedevano grandi quantità di denaro che, quando il prezzo del petrolio era alto, potevano essere facilmente inviate, ma in seguito il denaro venne prelevato direttamente dal bilancio dello Stato.

Il primo passo è quello che conta. In seguito l’Arabia Saudita ha platealmente interferito con la Guerra Civile nel vicino “fraterno Yemen”, come lo definiscono gli stessi Sauditi: nella primavera del 2015, l’Arabia Saudita ha comandato una coalizione che si supponeva non “costringesse” semplicemente lo Yemen alla pace, ma facesse anche tornare al potere il presidente “eletto legalmente”, ’Abd Rabbih Mansur Hadi, e, cosa più importante, fermasse l’“espansione iraniana”; e fin dall’inizio, Riyad ha affermato che il cosiddetto movimento degli Huthi fosse appoggiato, e ricevesse istruzioni dirette, da Teheran, una fervente nemica dell’Arabia Saudita.

L’essenza della strategia era che, impegnandosi in una “guerra breve e vittoriosa” per ottenere un nuovo status geopolitico di potenza regionale, il paese sarebbe stato poi capace di comandare un’ampia coalizione di alleati e prendersi la responsabilità della stabilità della regione. Il Vice Principe Ereditario e giovane Ministro della Difesa, Mohammad bin Salman Al Sa’ud, che è anche il figlio del re, è stato il motore di questa strategia. Molti Sauditi pensano che assumerà immediatamente il potere dopo la morte di suo padre, buttando giù dal trono l’attuale Principe Ereditario Muhabbad bin Nayef Al Sa’ud.

Ma è diventato chiaro che la strategia del Ministro della Difesa è finita contro un muro di mattoni, e ciò è dimostrato dal fatto che nessuno degli obiettivi è stato raggiunto; inoltre la coalizione saudita sta cadendo a pezzi, e perfino il suo alleato più stretto, gli Emirati Arabi Uniti, l’ha disertata. In realtà, anche Washington si è rifiutata di aiutare i Sauditi, consigliandogli di includere Houthi “pro-iraniani” nel nuovo governo, isolandoli così dalla stretta di Teheran; ma Riyad vede questo come una disfatta completa, tanto più per il Ministro della Difesa, le cui possibilità di salire al trono si sono deteriorate. Inoltre, la difficile situazione economica in cui è finita l’Arabia Saudita sotto la leadership del Re Salman e di suo figlio Muhammad bin Nayef Al Sa’ud richiede la scelta di nuovi approcci, sia in politica estera che interna.

Nonostante le difficoltà economiche dell’Arabia Saudita, la sua leadership ha deciso di attuare programmi di diversificazione economica, e profonde riforme strutturali. Viene presa come base l’esperienza dei vicini Emirati Arabi Uniti, che si stanno allontanando gradualmente dal capitalismo di Stato. Riyad affronterà certamente molti problemi, ma nessuno mette in dubbio la correttezza di questa decisione, e il previsto successo finale dovrebbe influenzare altri paesi con simili modelli economici.

Una delle soluzioni ai problemi economici è lo sviluppo di relazioni benefiche reciproche con altri paesi, Russia inclusa. A sua volta, Mosca dà grande importanza all’espansione di una collaborazione multiforme con l’Arabia Saudita. Il Presidente russo, Vladimir Putin, ha affermato questo durante un incontro con Muhammad bin Salman Al Sa’ud ai margini del G20 di Hangzhou (Cina). Lo sviluppo del dialogo è estremamente importante, perché Russia e Arabia Saudita sono i due più grandi produttori di petrolio del mondo, ed è per questo che la Russia è interessata a mantenere il dialogo in corso tra i due paesi.

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Articolo di Viktor Mikhin pubblicato su New Eastern Outlook il 14 settembre 2016.

Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.

[Le note in questo formato sono del traduttore]

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