(Prima di questa, leggere la Parte I° e la Parte II°a)

[NdT: i collegamenti rimandano a pagine in inglese]

NuovoMedioOrienteQuesta sezione esamina come e perché quelli che prima erano gli Stati più stabili del Medio Oriente (almeno secondo la visione occidentale convenzionale), siano divenuti quelli che stanno affrontando le più grandi prospettive di destabilizzazione su vasta scala.

 

 

I sauditi sono terrorizzati

Mordendo la mano della Russia:

L’effetto combinato dei successi della Coalizione dei Giusti (COR) fa venire i brividi sulla schiena ai sauditi perché stanno vedendo che i loro delegati regionali vengono spazzati via, a beneficio del loro rivale geopolitico, l’Iran. L’autore ha tentato in precedenza di analizzare la natura della diplomazia a porte chiuse russo-saudita, andata avanti per buona parte dell’anno, giungendo infine alla conclusione che Mosca stava cercando di procurare a Ryhad un ritiro dal campo di battaglia siriano che le avrebbe “salvato la faccia”. Qui, il tacito accordo era che le forze delegate che si fossero ritirate, avrebbero potuto poi essere dispiegate altrove, forse in Yemen, che, al momento, è senza dubbio visto dal regno come il suo primo problema di sicurezza. La proposta sembrava buona sulla carta, ma i sauditi hanno tentato di imbrogliare i russi assoldando invece le forze del Golfo, per far loro sostenere il peso maggiore della guerra nella brutale campagna di terra in Yemen, permettendo loro di abbandonare così i loro delegati in Siria, che continuavano laggiù a perseguire i fini del loro regime. Come si vede ora con il senno di poi, la stima dell’autore è stata giustificata, è chiaro adesso che la Russia stava davvero dando all’Arabia Saudita l’opportunità di ritirare segretamente le forze di combattimento a lei associate, prima dell’imminente attacco violento, del quale sicuramente non erano state avvisate in anticipo. La Casa di Saud ha pensato di poter ottenere qualche specie di beneficio extra per vie traverse, rifiutandosi di richiamare i suoi eserciti associati fuori dalla Siria, e portando ad un considerevole errore di calcolo, che ha visto i delegati del regno decimati nel corso di una settimana e i suoi pianificatori strategici in un evidente stato di panico.

Affondando nella sabbia:

L’intero Medio Oriente era consapevole delle discussioni russo-saudite, e ora che la Russia ha messo insieme la COR e sta direttamente combattendo il terrorismo nella regione, le forze delegate dei sauditi, come l’“Esercito della Conquista”, dovrebbero ora chiedersi come mai il loro protettore le ha abbandonate come dei facili bersagli sul campo di battaglia. Non è realistico pensare che la Russia abbia informato i sauditi dei dettagli della loro imminente campagna militare, ma per gli islamisti in campo che vengono uccisi dagli attacchi aerei russi, questa sembra essere certamente una possibilità, e potrebbero fremere di rabbia contro i sauditi, perché li hanno messi nei guai. Oltre 3.000 terroristi sono già scappati dalla Siria verso la Giordania, probabilmente sulla via del ritorno verso l’Arabia Saudita, ed i servizi di sicurezza del regno devono essere sicuramente al corrente della minaccia che questo comporta. Mettete insieme i jihadisti che stanno tornando ai terroristi dell’ISIL locale che hanno già attaccato il paese in precedenza, e avrete mescolato un cocktail di disastro interno davanti agli occhi degli stessi sauditi, e le loro istituzioni militari sono fin troppo impantanate lungo i confini yemeniti per concentrarsi adeguatamente su di esso. Questo disperato stato degli eventi potrebbe essere reso ancor più grave se gli Ansarullah [NdT:i ribelli Houthis] avranno abbastanza successo nei loro attacchi contro quella “NATO Araba” da cui sono usciti alcuni dei suoi membri del Golfo (specialmente il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti), la qual cosa costringerebbe i sauditi a compensarla con le loro stesse forze che sono già sottoposte a sforzi eccessivi. Inoltre, le loro paranoiche fantasie di un “accerchiamento iraniano-sciita” stanno probabilmente crescendo in fretta e ciò non garantisce che il paese reagirà razionalmente ad alcuna di queste minacce che percepisce. In aggiunta a ciò, è da tenere in considerazione un severo inasprimento, o contro i sospetti terroristi o contro gli sciiti, e questo ovviamente si andrà ad aggiungere alla destabilizzazione interna della nazione.

Da potere supremo a stato di seconda fila:

Affrontando il paese da una prospettiva internazionale, è evidente che l’influenza regionale dell’Arabia Saudita stia declinando, mentre la COR incrementa la sua campagna anti-terrorista e conduce i suoi delegati fuori dalla Siria e dall’Iraq. Nel futuro prossimo, quando l’ISIL e gli altri terroristi saranno sconfitti in questi Stati, i Sauditi (sempre che siano ancora una nazione unificata) saranno costretti ad accettare uno status di secondo livello in Medio Oriente, niente affatto simile alla posizione di cui hanno goduto fin dal 2003. Inoltre, si troveranno sempre di più a dover dipendere dalla Russia, per far sì che Mosca possa mediare tra il Regno e la Repubblica Islamica ed aiuti a mantenere la “pace fredda” che ci si aspetta si stabilirà sul Golfo (come l’autore ha precedentemente previsto nel suo scenario di “Fulcro del Pragmatismo”). A questo punto, il ridotto ruolo degli Stati Uniti nel Medio Oriente sarà un fait accompli, indicando la fine dei giorni in cui i Sauditi dipendevano totalmente da esso per le loro garanzie di sicurezza. Inoltre, la guerra energetica tra i due potrebbe per quel momento aver posto il regno in una posizione economicamente indebolita, specialmente se non avrà il successo sperato nel diversificare la sua economia per mezzo di metodi finanziari. Complessivamente, la previsione geopolitica per l’Arabia Saudita sembra abbastanza pessimista, ed è certo che si stia avvicinando a quelli che potrebbero essere i tempi più duri mai vissuti nella sua storia, quelli che presenteranno una sfida esistenziale e sforzeranno al massimo il suo governo.

 

Agitazioni Turche

Lo Stato Attuale degli Affari:

L’autore ha previsto questo scenario nel suo articolo più recente per The Saker, ma vale la pena parlarne di nuovo ed esplorarlo più in profondità perché sembra sempre più probabile che si trasformi in una realtà. Il succo del discorso è che la Turchia in questo momento sta attraversando dei problemi interni così pressanti (guerra civile, terrorismo di sinistra, attentati terroristici islamici [che potrebbero essere stati operazioni sotto falsa bandiera]) che c’è una reale possibilità che diventi “la prossima Siria” di destabilizzazione assoluta se il governo e/o l’esercito (con un colpo di stato) non riprende subito il controllo. La situazione era già precaria ancora prima della crociata antiterroristica della COR, ma adesso la Turchia affronta la prospettiva molto reale che i suoi delegati islamisti si ritirino verso nord nelle loro tane esattamente come i Sauditi stanno facendo in direzione sud.

Con l’attenzione dell’esercito turco focalizzata principalmente sul sud-est curdo, è da dubitare che abbia la residua capacità di garantire la sicurezza dei propri confini adesso che questa necessità è diventata finalmente pressante. Un flusso in ingresso di terroristi operativi nel territorio turco è letteralmente l’ultima cosa che le forze di sicurezza turche desiderano in questi tempi già così turbolenti, e a seconda del livello di incertezza politica dopo le elezioni di novembre, potrebbe tranquillamente succedere che l’esercito decida di prendere un’altra volta la situazione nelle proprie mani e ripristinare l’ordine nel paese. Se succederà questo, potrebbe essere il momento decisivo necessario a spingere il paese verso un completo Pivot Eurasiatico, che causerebbe la demolizione completa dell’architettura di difesa regionale USA, la cui onda d’urto si propagherebbe al resto della NATO.

L’affiancamento non intenzionale e il Turkish/Balkan Stream:

erdogan-2-300x201Continuando con l’argomento di un colpo di stato militare turco, l’autore sente la necessità di spiegare le sue previsioni in dettaglio, in modo da essere ben compreso dal lettore, ma per arrivare a questo, sono necessarie alcune informazioni sul contesto. Per iniziare, il coinvolgimento militare russo in Siria ha completato, in modo non intenzionale, l’affiancamento della Turchia. In effetti, se si usa questa lente percettiva per riesaminare gli ultimi tre conflitti a cui ha preso parte la Russia, allora si noterà che: (1) ha messo in sicurezza le coste dell’Abkhazia neutralizzando qualsiasi futura espansione navale georgiana, proiettando così la potenza russa in tutto il Mar Nero orientale; (2) ha messo in sicurezza la Crimea garantendo il controllo della parte settentrionale del Mar Nero; e (3) ha posizionato formazioni aeree a sud dei confini turchi. Con questo non si vuole suggerire che il raggiungimento di questi risultati abbia avuto una influenza motivante nel guidare l’azione russa in questi tre conflitti, ma i risultati finali sono indiscutibili – le forze navali russe sono in grado di proiettarsi sulla costa settentrionale turca, mentre quelle aeree (ed entro certi limiti anche quelle navali) possono farlo ai confini meridionali.

In questo contesto il Turkish/Balkan Stream era un ramo d’olivo d’amicizia teso a rassicurare un alleato energetico strategico sul fatto che la Russia non ha intenzioni aggressive e in effetti vuole rafforzare pacificamente relazioni bilaterali, non indebolirle, nonostante la polarità opposta dell’intervento di ognuna delle due parti in Siria. Nonostante ciò, i colloqui riguardo questo progetto si sono arenati ultimamente, contemporaneamente allo sciocco tentativo di Erdogan di seguire la via Saudita e trasformare quello che avrebbe potuto essere un pragmatico passo avanti diplomatico di reciproco vantaggio con la Russia, in un qualche tipo di grande gioco geopolitico, e proprio come con il Re Salman, il “Sultano Erdogan” ha perso al suo stesso gioco. Adesso che il paese non è stato in grado di formare un governo, almeno fino alle elezioni di novembre, il progetto è stato congelato fino a non prima di dicembre o gennaio, frustrando il piani russi di accelerare il proprio Balkan Pivot, e giocando a relativo vantaggio degli USA, ma compromettendo la reputazione turca negli affari, analogamente a quanto successo per la Francia nella figuraccia dell’affare Mistral (anche se ancora non si è raggiunto quel drammatico punto di non ritorno).

La Guerra Immaginaria di Erdogan contro la Russia:

Tuttavia, la situazione geopolitica oggi è molto diversa da quella di pochi mesi fa, con la Turchia che adesso è impantanata nella guerra civile e la Russia che ha completato il suo non intenzionale affiancamento del paese grazie all’installazione di una base aerea ai suoi confini meridionali. Non esiste uno scenario ragionevole in cui la Russia potrebbe di decidere di lanciare un primo attacco contro il suo vicino NATO, ma, pur tuttavia, la presente distribuzione delle forza indica che la Russia ha di certo acquisito un vantaggio strategico per qualunque evenienza. L’esagerata reazione turca alla involontaria violazione del suo spazio aereo da parte di un jet russo questa settimana è in gran parte da attribuire alla crescente paranoia del suo establishment politico riguardo a questa situazione, ed è alimentata dagli USA e dalla NATO per i loro scopi strategici. Nondimeno, con l’esercito turco impiegato in un fronte esteso tra il Kurdistan e il confine siriano, con tutti gli obiettivi sensibili per attacchi terroristici in mezzo, l’ultima cosa che gli alti papaveri vogliono è di restare intrappolati nella guerra immaginaria di Erdogan con la Russia. Più la leadership politica prova a spingere sul punto della “aggressione” russa, più è probabile che l’esercito si ribelli a essa e si muova in direzione di un colpo di stato, poiché più di qualunque altro attore in Turchia, comprende la falsità dietro questi proclami e l’assoluta inutilità nel perseguirli, specialmente alla luce della situazione di minaccia esistenziale in cui Erdogan ha cacciato la Repubblica Turca.

La mentalità dei militari:

Le forze armate turche sono state rimpinzate dalle corna di un dilemma a più facce. Per primo, sono bloccate a combattere una sanguinosa guerra civile nel sud-est che è stata accesa dal fallito piano pre-elettorale di Erdogan. Secondo, questo conflitto ha già raggiunto lo stadio internazionale, con attacchi limitati aerei e terrestri in Iraq dei turchi, a dimostrazione della complessità operativa crescente di questa missione. Terzo, le forze armate turche devono affrontare la minaccia molto reale che migliaia di jihadisti in ritiro dalle loro basi in Siria possano tornare ai loro campi di addestramento in Turchia. E, in aggiunta a tutto ciò, la dirigenza politica le sta contemporaneamente pressando per restare in allerta nel caso che venga presa la malaugurata decisione di intervenire convenzionalmente in Siria. Già ora, queste quattro pressioni contemporanee (guerra civile, intervento in Iraq, responsabilità “anti-terroristiche”, allerta siriano) stanno spingendo le forze armate turche verso il punto di rottura, e questo senza neanche considerare il molto reale pericolo alla stabilità del paese che potrebbe avere la guerra immaginaria di Erdogan verso la Russia.

Per spiegare quest’ultimo punto, la Russia così affiancata si trova, senza volerlo, in una posizione in cui potrebbe infliggere danni significativi alla Turchia se venisse attaccata da essa, il che ovviamente non è nell’interesse di alcuno (perfino neanche in quello di Erdogan, pur essendo personalmente volubile ed incline ad arrabbiarsi com’è). Perciò, nel caso di qualsiasi ipotetico antagonismo turco contro la Russia (ad esempio, riguardo la sua operazione anti-terrorismo in Siria), si presenta un possibile scenario in cui i membri russi, curdi ed iraniani del COR forniscono qualche forma di sostegno tangibile ai separatisti curdi stanziati in Turchia, il che potrebbe essere abbastanza da spostare l’ago della bilancia di potere in senso contrario rispetto alle forze armate turche e potrebbe condurre alla loro rimozione dall’intera porzione sud-est del (ex-) paese. Parlando retoricamente, se la Turchia può coinvolgersi negli affari interni russi in Crimea (potenzialmente perfino mediante mezzi militari), non c’è proprio niente che possa fermare la Russia dal fare lo stesso in Kurdistan, anche se quest’ultima non lo annuncerebbe nello stesso modo arrogante di Erdogan. Non dimentichiamoci che questa è una pura situazione ipotetica e retorica, non c’è nessuna prova che la Russia abbia alcun intento di far ciò, ma gli strateghi militari, quelli turchi in tal caso, fra le loro responsabilità lavorativa hanno quella di considerare e pianificare tutti gli scenari, quindi è probabile che quello sopra tratteggiato sia entrato in testa ad almeno un paio di persone ad Ankara.

Una benedizione geopolitica:

Già stirato ai limiti com’è, non c’è modo in cui le forze armate turche siano in grado di fronteggiare una imbaldanzita insurrezione curda che fosse irrobustita dal sostegno russo, curdo-iracheno ed iraniano, la quale porterebbe all’indipendenza della regione ed allo smembramento sia della integrità territoriale della Turchia che dei piani sulla connessione energetica euroasiatica. Nella mentalità dei militari è logicamente molto meglio per la Turchia di evitare provocazioni con la Russia che potrebbero spingerla a giocare questo scenario, perché, come è facile comprendere, potrebbe portare velocemente al disfacimento dello stato turco. È per questo che, se Erdogan continua a premere con le sue provocazioni contro la Russia, i militari turchi possono essere realisticamente spinti a mettere in pratica ogni loro idea di colpo di stato che possano avere. In effetti, la Turchia del dopo-golpe potrebbe essere di gran beneficio alle relazioni russo-turche, poiché il paese avrebbe una dirigenza al potere abbastanza capace da intendere l’essenza delle associazioni bilaterali e potrebbe cercare di intensificarle per massimizzare il mutuo vantaggio, in particolare con l’accelerazione sul Turkish/Balkan Stream e con un disimpegno de facto dalla NATO.

Il lettore non deve mai dimenticare che la Turchia, così com’è, è già molto vicina ad un colpo di stato militare, e che l’agenda anti-russa portata avanti dal governo di Erdogan potrebbe esser davvero il punto che fa perdere la pazienza ai militari e li spinge a realizzare i loro piani. Il cambio di regime sarebbe interamente auto-inflitto e senza parti esterne da incolpare, men che meno la Russia, ma potrebbe fortuitamente rappresentare una benedizione geopolitica se l’amministrazione militare decidesse di seguire le raccomandazioni sopra riportate e si voltasse con decisione verso la comunità multipolare dell’Eurasia.

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Articolo di Andrew Korybko apparso su Oriental Review il 9 ottobre 2015


Traduzione in Italiano di Fabio_San, Paola, Mario B. per SakerItalia.it

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