Ma gli Stati Uniti stanno ora permettendo che i suoi ultimi resti sopravvivano in Siria per far dispetto a Teheran?
Fino a poco tempo fa gli Stati Uniti consideravano lo Stato Islamico in Iraq e Siria, o ISIS, una delle principali minacce alla stabilità regionale in Medio Oriente. Barack Obama si è dato la missione di ridurre [in inglese] le conquiste territoriali e propagandistiche dell’ISIS, Donald Trump ha fatto una campagna per promettere di “dare un calcio nel didietro all’ISIS” [in inglese]. Gli Stati Uniti hanno fatto notevoli sforzi, sia militari che politici, in una campagna per sconfiggere il gruppo terroristico in Iraq e, in misura minore, in Siria.
Ma non c’è dubbio che la maggior parte dello sforzo sia venuta dall’Iran, non dagli Stati Uniti. Senza il coinvolgimento dell’Iran, l’ISIS avrebbe ancora una presenza forte, sia in Iraq che in Siria.
L’ISIS è nato [in inglese] dalle ceneri dell’invasione americana dell’Iraq. La sua ascesa è stata la logica estensione di un processo che ha visto il tessuto della società sunnita secolare squarciato da un occupante americano riluttante a rafforzare ulteriormente una élite dirigente sunnita che era stata fedele a Saddam Hussein. Washington non riuscì a comprendere il risentimento suscitato all’interno della comunità sunnita quando gli sciiti iracheni, alcuni dei quali erano legati all’Iran, salirono al potere.
Di conseguenza, le tradizionali strutture di potere tribale sunnita vennero devastate, per essere poi rimpiazzate da giovani sunniti radicalizzati legati solo a se stessi. Al Qaeda in Iraq (AQI) era al-Qaeda solo di nome: la sua missione non era quella di esportare la jihad in Occidente, ma di liberare l’Iraq dalle grinfie di un’occupazione americana e iraniana. La campagna americana contro AQI non ha mai provocato la distruzione di quel movimento. Al contrario, gli Stati Uniti, nel tentativo di liberarsi dal peso della guerra creato quando invase l’Iraq, si ritirarono dall’Iraq nel 2012 [in inglese], lasciando la fase finale della distruzione di AQI nelle mani del governo iracheno. Questo periodo coincise con l’inizio dei disordini civili in Siria e la creazione di un’opposizione islamista e radicalizzata al presidente della Siria, Bashar al-Assad. L’acquiescenza a cedere vaste aree del territorio siriano alle forze islamiste come mezzo per destabilizzare Assad, ha creato le condizioni per la nascita dell’ISIS nei deserti della Siria centrale e dell’Iraq occidentale.
Quando l’ISIS è avanzato nelle città irachene di Ramadi e Falluja, l’esercito iracheno, addestrato dagli americani, non fu in grado di fermare la sua avanzata. Ben presto [in inglese] la grande città di Mosul cadde nelle mani dell’ISIS, e le sue forze si spinsero lungo la valle del fiume Tigri fino alla periferia di Baghdad.
La storia della lotta dell’Iraq per formare una valida resistenza all’ISIS all’indomani della caduta di Mosul è poco conosciuta, e ancor meno apprezzata, negli Stati Uniti. La formazione delle cosiddette [in inglese] “Forze di mobilitazione popolare”, o PMF, organizzata per volere della leadership sciita in Iraq e addestrata, equipaggiata e guidata dall’Iran, è stato il fattore più importante per fermare la spinta dell’ISIS a Baghdad, e la sua successiva rimozione dal territorio iracheno.
I media occidentali hanno prestato un’attenzione sproporzionata alle azioni di alcune poche forze di sicurezza irachene addestrate dagli americani, che, con ampio sostegno della forza aerea e dei consulenti statunitensi, hanno aiutato a porre fine ai combattimenti a Mosul e nei suoi dintorni. Per tutto il tempo, hanno ignorato che la parte del leone dei combattimenti l’ha fatta il PMF diretto dall’Iran. Questo fatto non è stato ignorato dal popolo iracheno, e molti dei suoi membri (anche se non molti fra i sunniti) hanno del PMF la massima considerazione. Questo sentimento ha spinto molti dei vertici del PMF a entrare nella scena politica di Baghdad.
Per l’Iran, il fenomeno ISIS non è limitato all’Iraq. E’ visto come parte integrante di uno sforzo concertato intrapreso dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita e dalle nazioni arabe del Golfo per rovesciare Assad in Siria, diminuire il potere e l’influenza di Hezbollah in Libano, e ridurre l’influenza iraniana sia in Siria che in Iraq. La presenza geografica dell’ISIS in Siria, concentrata com’era nei deserti centrali e nord-orientali, ne ha fatto un bersaglio secondario rispetto agli affiliati di al-Qaeda che operavano nei pressi di Aleppo e Damasco.
Mentre il governo siriano, con l’aiuto di Russia, Iran e Hezbollah, ha preso il sopravvento nella lotta contro i gruppi al-Qaeda, sostenuti dall’America e dall’Arabia Saudita, l’importanza dell’ISIS come fonte di resistenza anti-regime è tuttavia cresciuta. Mentre l’ISIS non ha mai avuto il potere di sfidare direttamente Damasco, gli sforzi [in inglese] intrapresi dalla coalizione governativa siriana per sconfiggere l’ISIS ha distratto risorse necessarie alla lotta più estesa. Come tale, la continua esistenza di una presenza ISIS sul suolo siriano è stata ritenuta un risultato accettabile dagli Stati Uniti, in quanto ha cercato di contenere la presenza dell’Iran sul suolo siriano.
La permanenza dell’ISIS in Siria rimane, nonostante il fatto che la potenza militare statunitense potrebbe garantirne l’eliminazione quasi immediata. La ragione della sospensione dell’esecuzione non è del tutto chiara, ma potrebbe benissimo essere che gli Stati Uniti considerino l’ISIS un utile ostacolo contro l’Iran. Gli sforzi degli Stati Uniti per far arretrare la presenza iraniana in Siria sono recentemente diventati più instabili sulla scia della retorica infuocata degli alti funzionari dell’amministrazione Trump e delle azioni intraprese dall’Iran per rafforzare le loro posizioni. La politica americana del respingimento iraniano include la re-imposizione di sanzioni economiche e il sostegno a gruppi di opposizione contrari alla teocrazia iraniana.
Quest’ultimo punto è molto delicato. Questa sensibilità è stata accentuata dalle osservazioni dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman, secondo cui qualsiasi lotta per l’influenza tra Riyadh e Teheran dovrebbe avvenire [in inglese] “all’interno dell’Iran, non in Arabia Saudita”, e il Segretario di Stato Mike Pompeo incoraggia le minoranze arabe a sollevarsi contro il governo iraniano.
Quando uomini armati legati all’ISIS hanno attaccato [in inglese] una parata militare nella città iraniana di Ahvaz, uccidendo e ferendo decine di persone, il governo iraniano è stato pronto a incolpare gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, tra gli altri, e promettere ritorsioni in risposta. Ciò ha spinto il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton a dichiarare all’Iran che “si scatenerà davvero l’inferno” [in inglese] se l’Iran o i suoi delegati attaccassero gli Stati Uniti o i loro alleati.
Pochi giorni dopo, sono stati lanciati [in inglese] razzi iraniani, non contro obiettivi americani a Bassora, ma obiettivi in Siria collegati all’ISIS. Mentre l’attacco iraniano era una chiara rappresaglia per l’attacco di Ahvaz, i missili erano accompagnati da slogan ostili verso gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e Israele. Ciò ha dimostrato che l’attacco era destinato ad un pubblico più vasto. Tra coloro che hanno preso atto dell’attacco, le forze americane si trovavano a sole tre miglia di distanza dagli obiettivi colpiti dagli iraniani.
L’aumento delle tensioni e la forte retorica, se non gestita con attenzione, potrebbe facilmente portare ad una crescita involontaria e pericolosa delle ostilità. Ciò potrebbe mettere alla prova l’insano appetito del presidente Donald Trump per un conflitto diretto. Inoltre, lo sforzo americano di far nascere una opposizione iraniana potrebbe spingere all’unione le fazioni in competizione per il potere all’interno della dirigenza iraniana, e potrebbe unire gli iraniani dietro quella dirigenza, piuttosto che dividere e indebolire il sistema di governo. L’amministrazione Trump sembra operare sotto l’illusione che il presidente dell’Iran, Hassan Rouhani, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane (IRGC) e il capo supremo dell’Iran, Ali Khamenei, operino in diversi ambiti con interessi un po’ diversi. Gli sforzi degli Stati Uniti per inserire un cuneo tra Rouhani e Khamenei non solo si dimostreranno infruttuosi, ma gli si ritorceranno contro, chiudendo la porta a qualsiasi potenziale negoziato, e cementando una risposta senza compromessi che avrà Rouhani, l’IRGC e il leader supremo uniti nella loro opposizione.
Gli Stati Uniti sono impegnati in un pericoloso doppio gioco con l’ISIS che non è solo estremamente ipocrita, dati gli attacchi dell’11 settembre sul suolo americano, che hanno fatto scattare tutto questo brutto affare, ma controproducente per gli interessi della sicurezza nazionale americana. Ha potenziato e legittimato la stessa teocrazia iraniana che cerca di contenere.
Piuttosto che affidarsi all’ISIS come ostacolo per smussare l’influenza iraniana in Siria e terrorizzare la sua cittadinanza in patria, l’amministrazione Trump dovrebbe riconoscere il ruolo positivo che l’Iran ha giocato nella sconfitta dell’ISIS. Dovrebbe basarsi su tale riconoscimento per creare un più ampio processo di pace regionale che riconosca entrambe le realtà esistenti in Siria oggi, riducendo le tensioni che spingono l’Iran a farsi avanti in modo così aggressivo. Sfortunatamente, questo modo di pensare sembra al di là delle capacità di Mike Pompeo e John Bolton. In quanto tale, l’America continuerà a perseguire politiche insensate senza possibilità di successo e senza alcun pensiero sui costi e sulle conseguenze.
*****
Articolo di Scott Ritter apparso su Information Clearing House il 18 ottobre 2018
Traduzione in italiano di Cinzia Palmacci per SakerItalia
[le note in questo formato sono della traduttrice]
An interesting analysis about the face to face between Iran and Saudi Arabia. It’s time to call up reality and strike the million dollar babies for what they are.