L’inizio del 2018 ha visto un’ondata di proteste di massa in tutto l’Iran. Iniziate per l’aumento dei prezzi alimentari, si sono evolute in manifestazioni anti-governative.

Molti esperti ritenevano che le proteste si sarebbero concluse con un cambio di regime. Alcuni di loro hanno addirittura previsto il ritorno del figlio di Mohammad Reza Pahlavi, lo Scià dell’Iran, che venne rovesciato dalla Rivoluzione iraniana nel 1979.

Ma si sbagliavano. I manifestanti hanno affrontato una forte ed efficace resistenza da parte dei sostenitori del presidente Hassan Rouhani e dell’Ayatollah Ali Khamenei.

Certo, ci sono molti iraniani che vorrebbero vedere cambiamenti nel loro paese. Molti anziani sono nostalgici dei tempi dello Scià Pahlavi e molti giovani la pensano come loro. Ma il fatto è che la maggior parte degli iraniani sostiene il regime al potere.

Alcuni esperti occidentali ritengono che le minoranze etniche, ad esempio gli azero-iraniani, possano essere d’aiuto nel distruggere il regime di Rouhani. Ma hanno torto: ci sono molti sostenitori dell’indipendenza tra gli azero-iraniani, i curdi o i belucii, ma non costituiscono i nuclei delle loro comunità. Inoltre, l’Iran non è l’Iraq e non tollererebbe alcun referendum separatista.

Il motivo principale per cui gli iraniani non vogliono cambiare il loro governo è che non vogliono vedere gli scenari siriani, iracheni o libici realizzarsi nel loro paese. Inoltre, l’Iran è economicamente stabile.

Uno dei maggiori problemi economici è l’alta disoccupazione (12%), ma alcuni anni fa il tasso di disoccupazione era del 16-17%.

Durante i dibattiti elettorali del 2015, Hassan Rouhani, candidato alla presidenza, criticò l’ex presidente Mahmud Ahmadinejad per la sua politica economica inefficiente e insistette sul fatto che il consenso al programma nucleare iraniano avrebbe aiutato l’Iran a superare le sanzioni occidentali e a diversificare la sua economia.

Il primo passo che Rouhani fece come presidente fu il negoziato con gli Stati Uniti. Disse anche che le relazioni dell’Iran con gli Stati Uniti sono “una vecchia ferita che deve essere guarita”.

Rouhani è un politico pragmatico. Si rende conto che qualsiasi obiettivo richiede certe concessioni.

Dall’inizio del 2016, l’Occidente ha revocato la maggior parte delle sue sanzioni anti-iraniane. Russia e Cina hanno svolto un ruolo importante in questo processo. Il leader cinese Xi Jinping è stato il primo leader straniero a visitare l’Iran dopo la revoca delle sanzioni. Di conseguenza, l’Iran e la Cina hanno concordato di aumentare il loro giro d’affari a 600 miliardi di dollari nel prossimo decennio. Nel 2017, il commercio dell’Iran con la Russia è cresciuto del 70%.

Quindi, all’inizio, gli iraniani erano soddisfatti. Ma sono passati due anni da allora, e non hanno visto cambiamenti seri. I prezzi del carburante e dei prodotti alimentari sono in crescita. Molti soldi vengono spesi per il conflitto siriano. Da un lato, gli iraniani vorrebbero che fossero spesi per i propri problemi, ma, d’altro canto, si rendono conto che gli attuali sviluppi in Siria sono vitali per tutto il Medio Oriente, e se l’Iran interrompe la sua presenza lì, un giorno potrebbe trovarsi di fronte a un problema simile in patria.

I leader iraniani sostengono che gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita hanno dato una mano alle proteste e che sono state una specie di sondaggio dell’Occidente per vedere se il regime iraniano è preparato a tali crisi o meno.

Il quotidiano Al-Quds Al-Arabi, con sede a Londra, ha affermato che Ahmadinejad era tra i manifestanti ed è stato persino arrestato.

Le proteste sono iniziate a Mashhad, una città santa per gli sciiti iraniani. Inizialmente si diceva che l’organizzatore fosse Ebrahim Raisi, un politico che ha perso la corsa presidenziale contro Rouhani nel 2017. Ma il problema è che Mashhad è una città conservatrice e i conservatori sono gli ultimi a desiderare l’instabilità in Iran.

In realtà, non è successo nulla di speciale. Alcuni esperti dicono che il regime fosse pronto per uno scenario del genere. Basta ricordare la cosiddetta rivoluzione verde del 2009, quando il leader dell’opposizione Mir-Hosein Musavi condusse centinaia di migliaia di manifestanti nelle strade.

Gli iraniani vogliono una vita migliore. Il risultato principale delle proteste è che il Parlamento iraniano ha convocato una sessione speciale e ha abolito l’aumento delle tariffe di elettricità e acqua.

Le proteste in Iran sono finite, tranne alcune piccole dimostrazioni che continuano a Tabriz ed Esfahan. Possiamo aspettarci una nuova ondata di proteste in Iran? Improbabile: il regime controlla la situazione, e difficilmente permetterà ulteriori rivolte.

*****

Articolo di Farhad Ibrahimov pubblicato su EurAsia Daily il 14 gennaio 2018.

Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.

Condivisione: