La lotta che dura da decenni per decine di migliaia di israeliani contro l’essere strappati dalle proprie case, per alcuni si tratta della seconda o terza volta, dovrebbe essere una prova sufficiente per vedere come Israele non sia quella democrazia liberale di stile occidentale che afferma di essere.
La scorsa settimana, 36.000 beduini, tutti cittadini israeliani, hanno scoperto che il loro stato sta per renderli rifugiati nel proprio paese, portandoli in campi di internamento. Questi israeliani, sembra, sono del tipo sbagliato.
Il loro trattamento ha dolorosi echi con il passato. Nel 1948, 750.000 palestinesi sono stati espulsi dall’esercito israeliano fuori dai confini che il neo dichiarato stato ebraico ha stabilito sulla loro terra natale, quello che i palestinesi chiamano Nakba, o catastrofe.
Israele è regolarmente criticata per la sua occupazione belligerante, la sua espansione senza sosta degli insediamenti illegali in terra palestinese, e i suoi ripetuti e selvaggi attacchi militari, specialmente a Gaza.
In rare occasioni, gli analisti notano inoltre la sistematica discriminazione di Israele contro il milione e ottocentomila palestinesi i cui predecessori sono sopravvissuti alla Nakba e vivono all’interno di Israele, apparentemente come cittadini.
Ma ognuno di questi abusi viene trattato isolatamente, come fossero non collegati, piuttosto che come differenti lati di un progetto che li comprende. Si può individuare uno schema, guidato da un’ideologia che disumanizza i palestinesi ovunque Israele li incontri.
Quella ideologia ha un nome. Il Sionismo ci dà il filo che collega il passato, la Nakba, con l’attuale pulizia etnica dei Palestinesi dalle proprie case nella West Bank occupata e a Gerusalemme Est, la distruzione di Gaza e gli sforzi coordinati dello stato per guidare verso i ghetti i cittadini palestinesi di Israele, fuori da quello che rimane delle loro terre storiche.
La logica del Sionismo, anche se i suoi più ingenui sostenitori non riescono a comprenderla, è quella di rimpiazzare i palestinesi con ebrei, ciò che Israele chiama ufficialmente Giudaizzazione.
La sofferenza dei palestinesi non è una sfortunata conseguenza collaterale di un conflitto. È il vero scopo del Sionismo: incentivare i palestinesi ancora presenti ad andarsene “volontariamente” per sfuggire al soffocamento e a ulteriore miseria.
Il più chiaro esempio di questa strategia di sostituzione etnica è il perdurante trattamento di 250.0000 beduini che formalmente hanno la cittadinanza.
I beduini sono il gruppo più povero in Israele, e vive in comunità molto remote nella vasta area semi arida del Negev, nel sud del paese. In gran parte lontano dalla vista, Israele ha avuto una mano relativamente libera nei sui sforzi per “rimpiazzarli”.
Questo è stato il motivo per cui, per un decennio dopo avere apparentemente terminato le proprie operazioni di pulizia etnica nel 1948 ed aver vinto il riconoscimento delle capitali occidentali, Israele ha continuato in segreto ad espellere migliaia di beduini fuori dai propri confini, nonostante le loro richieste di cittadinanza.
Nel frattempo, altri beduini in Israele sono stati allontanati a forza dalle loro terre ancestrali per essere portati o in aree di detenzione confinate o in baraccopoli pianificate dallo stato che sono diventate le comunità più povere in Israele.
E difficile presentare i beduini, semplici fattori e pastori, come minacce per la sicurezza, com’è stato fatto con i palestinesi sotto occupazione.
Ma Israele ha una definizione di sicurezza molto più ampia della semplice sicurezza fisica.
La propria sicurezza è preceduta dal mantenimento di un assoluto dominio demografico degli ebrei.
I beduini possono essere pacifici, ma il loro numero pone una grande minaccia demografica, e la loro vita pastorale ostruisce il destino previsto per loro, rinchiuderli strettamente dentro ghetti.
Molti beduini vantano titoli di proprietà sulla propria terra che precedono di molto la creazione di Israele. Ma Israele si è rifiutata di onorare queste pretese, e molte decine di migliaia sono stati criminalizzati dallo stato, ed ai loro villaggi è stato negato il riconoscimento legale.
Per decenni sono stati forzati a vivere in baracche di lamiera o tende, poiché le autorità si rifiutavano di approvare case adeguate, e sono stati negati loro pubblici servizi come scuole, acqua ed elettricità.
I Beduini hanno un’opzione, se vogliono vivere legalmente: devono abbandonare le proprie terre e il loro stile di vita e spostarsi in una delle povere aree segregate.
Molti beduini hanno resistito, rimanendo aggrappati alle proprie terre storiche nonostante le misere condizioni imposte.
Uno di questi villaggi non riconosciuti, Al Araqib, è stato usato per impartire un esempio. Le forze israeliane hanno demolito le case auto-costruite più di 160 volte in meno di un decennio. In agosto, una corte israeliana ha approvato che lo Stato addebiti 370.000 dollari a sei dei suoi abitanti per i ripetuti sfratti.
Il leader di Al Arabiq, il settantenne Sheik Sayah Abu Madhim, ha recentemente trascorso mesi in cella dopo la propria condanna per sconfinamento, anche se la sua tenda è a due passi dal cimitero dove i suoi antenati sono seppelliti.
Ora, le autorità israeliane stanno perdendo la pazienza con i beduini.
Lo scorso gennaio sono stati svelati i piani per lo sfratto urgente e forzato di 40.000 beduini dalle proprie case in villaggi non riconosciuti, con la scusa di progetti di “sviluppo economico” . Sarà la più grande espulsione da decenni.
Lo “sviluppo”, così come la “sicurezza”, ha una connotazione differente in Israele. Vuol dire in realtà sviluppo ebraico, o giudaizzazione, non sviluppo per i palestinesi.
I progetti includono una nuova autostrada, una linea dell’alta tensione, un poligono militare ed una miniera di fosfato.
È stato rivelato la scorsa settimane che le famiglie saranno forzate in centri per sfollati nelle aree segregate, vivendo in sistemazioni temporanee per anni, mentre verrà deciso il loro destino definitivo.
Questi luoghi vengono già paragonati ai campi profughi creati per i palestinesi per la Nakba.
Lo scopo appena nascosto è quello di imporre ai beduini condizioni così misere che alla fine saranno d’accordo per essere confinati con le buone nelle aree segregate, alle condizioni poste da Israele.
Sei importanti esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno mandato una lettera ad Israele questa estate, protestando per le pesanti violazioni verso i diritti delle famiglie beduine secondo il diritto internazionale, e suggerendo che sarebbero possibili approcci alternativi.
Adalah, un gruppo di legali per i palestinesi in Israele, sottolinea che Israele ha forzatamente sfrattato i beduini per oltre 7 decenni, trattandoli non come esseri umani ma come pedine nella loro battaglia senza fine per rimpiazzarli con coloni ebraici.
Lo spazio vitale dei beduini si è infinitamente ristretto ed il loro stile di vita è stato distrutto.
Questo contrasta con evidenza con la rapida espansione dei villaggi ebraici e delle tenute monofamiliari nelle terre da cui i beduini vengono sfrattati.
È difficile non concludere che quello che sta accadendo è una versione amministrativa di quella pulizia etnica che gli ufficiali israeliani conducono più flagrantemente nei territori occupati sulle cosiddette basi di sicurezza.
Queste interminabili espulsioni sembrano sempre di meno una politica necessaria e ponderata, e sempre di più sembrano un brutto ed ideologico tic nervoso.
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Articolo di Jonathan Cook pubblicato su Unz Review il 16 ottobre 2019
Traduzione in italiano di Eros Zagaglia per SakerItalia
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