Di Ghassan Kadi per il Saker

Nessuno ha servito l’Impero Americano come Henry Kissinger, e con tutta la letteratura – sceneggiature comprese – che è stata scritta su di lui e sulla sua “diplomazia della spola”, probabilmente nessuno ha descritto la sua migliore performance come Patrick Seale nel suo libro “Asad”. Dopotutto, anche se Kissinger è sempre ricordato come il diplomatico che ha negoziato i termini dell’accordo coi Vietcong, la guerra in Vietnam era già arrivata ad un punto morto prima che i negoziati iniziassero, e, al massimo, il suo ruolo fu di limitare i danni e di salvare la faccia: niente di più, niente di meno.

Il vero, e forse unico, successo di Kissinger è stata la sua “diplomazia della spola”, che ha spianato la strada per lo storico, e famigerato, accordo di Camp David tra Egitto e Israele.

Prima della diplomazia della spola di Kissinger, definizione che lui stesso ha inventato, tutti i contatti indiretti tra arabi e israeliani passavano attraverso le Nazioni Unite e la moltitudine di organizzazioni ad esse legate, e ogni tentativo di compromesso era effettuato con l’ausilio di USA e Unione Sovietica. Persino l’accordo di pace successivo alla guerra dello Yom Kippur tra Arabi e Israele, che lo stesso Kissinger avrebbe dovuto organizzare, avrebbe dovuto coinvolgere i sovietici come controparte degli americani. Ma Kissinger riuscì a convincere Sadat che sarebbe riuscito a negoziare un accordo migliore trattando direttamente con Israele, e senza coinvolgere l’alleato egiziano dell’epoca, la Siria.

Il resto è storia, e da allora, e tecnicamente fino al 28 settembre 2015, la presenza sovietica/russa nel Levante si è ridotta ad una base navale nel porto siriano di Tartous. Questo viene specificato non per sminuire l’enorme effetto dei recenti veti russi al Consiglio di Sicurezza durante la guerra in Siria tra il 2011 e il 2015 ma, alla fine dei conti, la presenza russa divenne effettiva nel momento in cui il Cremlino iniziò ad attaccare le organizzazioni terroristiche sul suolo siriano il 28 settembre 2015.

Nel periodo tra il trionfo della diplomazia della spola di Kissinger e il 28 settembre 2015, legittimata dall’essere l’unica superpotenza nel Nuovo Ordine Mondiale, l’America ha regnato solitaria nel Levante come l’unica potenza sul campo.

Seguendo le conquiste di Kissinger, alcune delle quali sono state inserite nella legge della politica estera americana, rafforzare la sicurezza di Israele è diventato uno degli obiettivi degli USA, e tutti i cosiddetti negoziati di pace, inclusi quelli di Oslo, sono stati intesi esclusivamente per assicurare la sicurezza di Israele e mantenere l’equilibrio mondiale in suo favore.

Guidata dall’arroganza e dal delirio di onnipotenza, l’America non ha considerato di sfruttare la propria posizione di predominio per forzare Israele ad accettare un accordo pacifico coi palestinesi. E ogni volta che i palestinesi si sono detti disposti a cedere alcuni dei propri diritti, Israele ha richiesto ulteriori privilegi. Non solo questo ha involontariamente portato alla formazione di Hamas, ma persino la malleabile e debole OLP è stata sempre incapace di raggiungere un accordo di pace, nonostante il gran numero di concessioni date alla controparte israeliana.

Gli USA hanno avuto un’opportunità d’oro e un grande quantità di tempo per negoziare un accordo di pace arabo-israeliano. Nessun accordo di pace avrebbe mai soddisfatto appieno ambo le parti, specie i rispettivi falchi. Ma, con le giuste intenzioni, l’America avrebbe potuto raggiungere un accordo soddisfacente per la maggioranza di entrambe. Ma, nel gestire la crisi, non si sono mai considerati i diritti dei palestinesi nello specifico e degli arabi/musulmani in generale.

E così tutti i tavoli di pace che sono seguiti all’era Kissinger, fino ai giorni di John Kerry, sono falliti; erano predestinati infatti o a fallire o a costringere i palestinesi e il resto degli arabi ad accettare l’inaccettabile.

Più tardi, allo scoppio della guerra in Siria, i diversi elementi e membri del “cocktail antisiriano”, inclusi USA e Israele , erano certi di una facile e rapida vittoria con la capitolazione dell’asse di resistenza.

L’ironia è che, nonostante i fallimenti per rovesciare Assad, occupare il Libano e persino soggiogare la Striscia di Gaza assediata, l’arroganza israelo-americana è rimasta ferma nei propri sforzi di autodistruzione. Sì, perché, senza vittorie, senza essere capace di far rispettare accordi politici, e senza alcuna speranza o piano di mutare il corso degli eventi a proprio vantaggio, l’asse israelo-americano (insieme ai sauditi) è sembrato regredire da un ruolo dominante all’irrilevanza.

Che il frutto della “diplomazia della spola” kissingeriana fosse effetto del petrodollaro o viceversa è una questione di lana caprina, come quella dell’uovo e della gallina. Le due cose sono andate di pari passo, ininterrottamente, per qualche decennio; ma il momento d’oro è passato, e lo zenit degli accordi di Camp David non può essere ripetuto, neanche in scala minore.

Ma il petrodollaro sta perdendo colpi. Il sorgere della potenza russo-cinese, in particolare, e dei BRICS, in generale, gli sta infilando il cappio al collo. Le deficienze del commercio americano, unite alle massicce riserve auree che russi e cinesi stanno accumulando, porterà presto a far sembrare il petrodollaro come i soldi del Monopoli. Persino l’Arabia Saudita, il partner americano nel fiasco del petrodollaro, ha recentemente mostrato interesse a commerciare con la Cina usando lo yuan, che mantiene un corrispettivo formale in oro.

È come se il castello di carte stia crollando giù mentre le sue fondamenta si sgretolano.

Dal lato arabo, l’Arabia Saudita e il suo Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) rimangono dal lato americano, e, sempre meno occultamente, dal lato israeliano. Gli funzionari di stato del CCG hanno avuto svariati incontri con le controparti israeliane negli ultimi anni e, recentemente, hanno rilasciato dichiarazioni secondo cui Israele non è un nemico. È come se stessero condizionando gli arabi alla loro retorica, chiaramente con l’obiettivo ultimo di normalizzare le relazioni con Israele: qualcosa che l’arabo medio continua a rifiutare di accettare, persino in Egitto e Giordania, paesi che con Israele hanno trattati di pace e rappresentanza diplomatica.

Durante il percorso, comunque, l’Impero Americano non sta perdendo solo contatto con la realtà, ma anche prestigio. E, ad ogni passo, gli USA stanno mettendo i propri alleati mediorientali in situazioni sempre più imbarazzanti.

Persino Erdogan, il grande nemico della Siria laica, un presunto alleato americano che continua ad essere membro della NATO, colui che aveva promesso di entrare trionfante in Damasco per pregare nella grande Moschea degli Omayyadi dopo la caduta di Assad, si ritrova ora più vicino alla Russia che all’America. Lo scisma turco-americano è iniziato quando l’amministrazione Obama non ascoltò l’ultimatum di Erdogan sullo scegliere se appoggiare la Turchia o i curdi.

A questo punto entra in gioco il fattore Trump.

Per il meglio o per il peggio, e lasciando da parte il resto del mondo, Trump sta velocizzando il processo di rendere l’America irrilevante in Medio Oriente.

Lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme ha provocato molte reazioni.

Sono arrivate condanne da tutto il mondo, non solo da arabi e musulmani. Persino i leader europei, come Macron e Merkel, hanno reagito con sorpresa e disappunto.

Ai “profani”, le reazioni di musulmani e palestinesi potrebbero sembrare un’esagerazione. Alcuni critici si stanno cinicamente chiedendo il significato di questa mossa simbolica americana a fronte della più grande realtà mondiale di occupazione territoriale, perché un’azione del genere in concreto non cambierebbe nulla. Altri guardano all’ondata di indignazione come ad un’irrazionale sollevazione musulmana che potrebbe andare fuori controllo. Ma, alla fine, con questa decisione di Trump l’America sta allontanando i pochi sostenitori arabi e musulmani che le rimangono in Medio Oriente.

Dire che questa mossa ha spinto gli USA sempre più in una posizione di irrilevanza sarebbe riduttivo. Spostando la propria ambasciata a Gerusalemme, Donald Trump ha messo il sigillo definitivo che rende l’America totalmente irrilevante in Medio Oriente.

Anche i Sauditi, strenui alleati americani e unici alleati arabi rimasti, sono troppo imbarazzati per dare man forte a Trump su quest’argomento. Così, in effetti, con questa decisione Trump ha riunito le fazioni musulmane finora in lotta, rendendole un’unica voce concorde e unita. Persino l’Arabia Saudita e l’Iran non si dichiareranno mai apertamente in disaccordo sulla questione. Erdogan aveva messo in guardia Trump, e si era riferito a Gerusalemme come ad una linea rossa invalicabile. E così anche i curdi. Di quante linee rosse spezzate necessita Erdogan prima che riconsideri le alleanze strategiche turche o persino l’abbandono la NATO?

Per quanto possa apparire simbolica a molti, la decisione di Trump significa che nessun leader arabo o musulmano potrà mai più appoggiare Washington senza rischiare rivolte di piazza o rivoluzioni.

Guardando il quadro generale, l’irrilevanza statunitense significa che i pochi stati e organizzazioni arabe che l’America sperava di utilizzare, un giorno, per mediare una pace con Israele, hanno perso speranza; probabilmente in modo definitivo.

Questa nuova fase ci dice che i successi della “diplomazia della spola” di Kissinger sono già storia passata. A parte il piccolo ruolo avuto dal Cremlino nel 2008 in Georgia, l’entrata della Russia sul suolo siriano è il suo primo vero successo militare fuori dai propri confini dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica, e ha girato la ruota del destino di 180 gradi. In questo modo, l’America si è catapultata fuori dalla vecchia posizione di unica potenza dominante e, così facendo, ha inavvertitamente spalancato le porte alla Russia.

Ma Kissinger non si sta rivoltando nella tomba. È ancora vivo, e guarda a ciò che la diplomazia della spola americana, che ironicamente ha cercato di conformarsi alla sua immagine, ha creato, e cosa ha provocato: non solo l’aver dato all’America l’unica posizione di dominio nella regione mediorientale, ma anche il contraccolpo che accadrà per la sua ossessione di assicurare la sicurezza di Israele.

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Articolo di Ghassan Kadi pubblicato su TheSaker.is il 7 dicembre 2017

Traduzione in italiano a cura di barg per SakerItalia.it

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