Principi, ministri e un miliardario sono “imprigionati” nel Ritz-Carlton di Riyad, e sembra che l’Esercito dell’Arabia Saudita sia in tumulto
Re Salman della Dinastia Saudita ha creato una commissione “anti-corruzione” con ampi poteri, e ne ha nominato presidente suo figlio, il Principe Ereditario Mohammad Bin Salman, alias MBS.
Poco dopo, la Commissione ha incarcerato 11 principi della Dinastia Saudita, quattro ministri in carica e decine di ex principi/segretari di gabinetto – tutti accusati di corruzione. Grossi conti bancari sono stati congelati, jet privati sono stati bloccati a terra. Il luogo di “detenzione” per questi personaggi di alto profilo è il Ritz-Carlton di Riyad.
È scoppiata la guerra all’interno della Dinastia Saudita, come aveva previsto [in inglese] Asia Times lo scorso luglio. Nel frattempo sono circolate per mesi voci di un colpo di Stato contro MBS. Invece, è avvenuto un colpo di Stato preventivo di MBS.
Un’importante fonte mediorientale che lavora nel campo degli affari/investimenti, che lavora da decenni con la poco trasparente Dinastia Saudita, offre una prospettiva davvero necessaria: “È più grave di quanto sembra. L’arresto dei due figli del precedente re Abd Allah, i principi Mut’ib e Turki, è stato un errore fatale. Ora è lo stesso re ad essere in pericolo. Era solo il rispetto per il re che proteggeva MBS. Molti nell’esercito sono ostili a MBS e sono arrabbiati per l’arresto dei loro comandanti“.
Dire che l’Esercito dell’Arabia Saudita è in tumulto è un eufemismo. “Avrebbe dovuto arrestare l’intero esercito prima di potersi sentire al sicuro”.
Il principe Mut’ib fino a poco tempo fa era un serio pretendente al trono saudita. Ma il più alto profilo tra i detenuti appartiene al miliardario Principe al-Walid bin Talal, proprietario di Kingdom Holding, principale azionista di Twitter, Citibank, Four Seasons, Lyft e, fino a poco tempo fa, della News Corp di Rupert Murdoch.
L’arresto di al-Walid si lega con un fatto fondamentale; il controllo totale dell’informazione. Non c’è nessuna libertà di informazione in Arabia Saudita. MBS controlla già tutti i media interni (e ne nomina anche i dirigenti). Ma poi ci sono i media sauditi all’estero. MBS mira a “possedere le chiavi di tutti i grandi imperi mediatici e trasferirli in Arabia Saudita”.
Come siamo arrivati a questo punto?
I segreti dietro la purga
La storia inizia con le deliberazioni segrete del 2014 circa una possibile “rimozione” dell’allora re Abd Allah. Ma “la dissoluzione della famiglia reale avrebbe comportato la rottura delle lealtà tribali e la suddivisione del paese in tre parti. Sarebbe stato più difficile mettere al sicuro il petrolio, e le istituzioni distrutte avrebbero dovuto essere mantenute per evitare il caos”.
Invece, venne presa la decisione di sbarazzarsi del Principe Bandar bin Sultan – poi di sostenere attivamente i jihadisti Salafiti in Siria – e affidare il controllo dell’apparato della sicurezza a Muhammad bin Nayef.
La successione ad Abd Allah procedette senza problemi. “Il potere venne diviso tra i tre clan principali: quello di Re Salman (e del suo amato figlio, il Principe Mohammad); quello del figlio del principe Nayef (l’altro principe Muhammad) e infine quello del figlio del defunto re (il principe Mut’ib, comandante della Guardia Nazionale). In pratica, Salman lasciò condurre lo spettacolo a MBS”.
E, in pratica, seguirono anche le delusioni. La Dinastia Saudita ha fallito il suo letale cambiamento di regime in Siria, ed è impantanata in una guerra contro lo Yemen impossibile da vincere, che è il principale motivo che impedisce a MBS di sfruttare il Rub’ al-Khali – il deserto che attraversa entrambe le nazioni.
Il Ministero del Tesoro saudita è stato costretto a chiedere prestiti sui mercati internazionali. Regna l’austerità – e la notizia di MBS che acquistato uno yacht da quasi mezzo miliardo di dollari mentre si beava in Costa Azzurra, non è stata accolta particolarmente bene. La dura repressione politica dura è sintetizzata dalla decapitazione del leader Sciita, lo Sceicco al-Nimr. Non solo gli Sciiti nelle province orientali si stanno ribellando, ma anche le province Sunnite a occidente.
Anche se la popolarità del regime era radicalmente in discesa, MBS si imbarcò in Vision 2030. Teoricamente, era un allontanamento dal petrolio; una vendita di parte di Saudi Aramco; e un tentativo di creare nuove industrie. Per calmare l’insoddisfazione sono state concesse ricompense reali ai prìncipi chiave perché rimanessero fedeli, e sono stati pagati retroattivamente i salari arretrati alle masse tumultuose.
Tuttavia, Vision 2030 non può funzionare quando la maggioranza dei posti di lavoro produttivi in Arabia Saudita sono in mano ad espatriati. Creare nuovi posti di lavoro solleva la domanda sul da dove far arrivare nuovi lavoratori (qualificati).
Durante questi sviluppi, l’avversione contro MBS non ha mai smesso di crescere; “Ci sono tre grandi gruppi della famiglia reale ostili agli attuali regnanti: la famiglia dell’ex re Abd Allah, la famiglia dell’ex re Fahd e la famiglia dell’ex principe ereditario Nayef”.
Nayef – che ha sostituito Bandar – è vicino a Washington ed è estremamente popolare a Langley [la cittadina sede del quartier generale della CIA] per le sue attività contro il terrorismo. Il suo arresto all’inizio di quest’anno ha fatto arrabbiare la CIA e parecchie fazioni della Dinastia Saudita – in quanto questo è stato interpretato come una forzatura di MBS nella lotta per il potere.
Secondo la fonte, “se avesse ridimensionato la cosa avrebbe potuto farla franca con l’arresto del favorito della CIA Muhammad bin Nayef, ma MBS ha attraversato il Rubicone anche se non è Cesare. La CIA lo considera totalmente inutile”.
Si potrebbe trovare eventualmente una sorta di stabilità in un ritorno alla precedente condivisione del potere tra i Sudairi (senza MBS) e i Chamari (la tribù del defunto re Abd Allah). Dopo la morte di Re Salman, la fonte vede “MBS isolato dal potere, che sarebbe affidato all’altro Principe Muhammad (il figlio di Nayef). E il Principe Mut’ib conserverebbe la sua posizione”.
MBS ha agito esattamente per impedire questo risultato. La fonte, però, è chiara; “Ci sarà un cambiamento di regime nel prossimo futuro, e l’unica ragione per cui non è già accaduto è perché il vecchio re era amato tra i suoi familiari. È possibile che ci sia una conflitto con origine tra i militari, come durante l’epoca di Re Fārūq, e ne potrebbe emergere un regnante che non sia amico degli Stati Uniti”.
Jihadisti Salafiti “moderati”, c’è nessuno?
Prima della purga, la spinta incessante della Dinastia Saudita era concentrata su una zona da 500 miliardi di dollari a cavallo tra Arabia Saudita, Giordania ed Egitto, sulla costa del Mar Rosso, una sorta di replica di Dubai che sarà completata teoricamente entro il 2025, alimentata dall’energia eolica e solare, e finanziata dal fondo sovrano provenienti dall’Offerta Pubblica Iniziale per la Saudi Aramco.
Parallelamente, MBS ha tirato un altro coniglio dal suo cilindro, affermando che il futuro dell’Arabia Saudita è una questione di “tornare semplicemente a ciò che perseguivamo – un Islam moderato aperto al mondo e alle religioni”.
In poche parole: uno stato che sembra essere la proprietà privata di una famiglia reale nemica di tutti i principi di libertà di espressione e religione, nonché matrice ideologica di tutte le forme di jihadismo Salafita, non può semplicemente trasformarsi in uno stato “moderato” solo perché lo dice MBS.
Nel frattempo, una reazione ad una serie di purghe, colpi di Stato e contro-golpe, diventerà la norma.
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su Asia Times il 6 novembre 2017.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
Se guardiamo alle scelte di fondo e lasciamo stare le dichiarazioni che in genere hanno lo scopo di occultare i fatti, le dimissioni di Saad Hariri vanno nella direzione di un riallineamento della Monarchia Saudita, perché, in realtà, rafforzano il fronte sciita e l’alleanza con i cristiani che ha permesso la distensione tra l’esercito regolare ed Hezbollah promosso dal presidente Michel Aoun. Se queste dimissioni hanno, come sembra, lo scopo di liberare la presa saudita sul Libano, porteranno al rafforzamento del governo libanese e a una più stretta collaborazione tra milizie ed esercito, il che renderà più arduo qualsiasi tentativo di Israele di un attacco alle milizie Hezbollah. In generale, quindi, si tratterebbe della riformulazione della strategia della nuova reggenza saudita alla luce degli ultimi equilibri che si vanno definendo in seguito alla vittoria sul terrorismo filo-occidentale da parte dell’esercito siriano, del fronte sciita e della Russia, sotto la spinta dell’intesa con quest’ultima tesa a permettere l’aumento del prezzo del petrolio e il rilancio dell’economia saudita nell’ottica di uno sganciamento dalla dipendenza della produzione di greggio. Anche la volontà di abbandonare l’estremismo wahabita, come fa notare Piotr su Megachip avvalora questa ipotesi perché va a ridefinire la posizione saudita nel quadro di un generale riallineamento così come fatto dal Qatar e dalla Turchia, dato che l’estremismo islamico è il principale strumento nelle mani statunitensi per imporre la propria egemonia sull’area. Ora Israele fa sapere attraverso Channel 10 che aveva mandato un cablo ai diplomatici israeliani con queste indicazioni: “Dovete sottolineare che le dimissioni di Hariri mostrano quanto siano pericolosi l’Iran ed Hezbollah per la sicurezza e la stabilità in Libano”. E il missile degli Houti yemeniti “lanciato verso Riad” rende necessario “aumentare la pressione verso Iran ed Hezbollah”. C’è da chiedersi come mai Israele rende pubbliche istruzioni che dovrebbero restare coperte. Che tra l’altro non fanno che evidenziare i legami con l’Arabia Saudita su un tema, l’anti sciismo, già palese a tutti. Quasi a voler suggerire la “giusta“ interpretazione delle dimissioni di Hariri.
Sembra che la paura di Israele, sia quella di una possibile apertura della nuova reggenza saudita, verso l’asse sciita.
Se le cose stanno effettivamente in questi termini, a meno di un intervento diretto della CIA e dei servizi israeliani, si può, di conseguenza, arrivare alla conclusione che gli USA hanno ormai perso del tutto i principali alleati in Medioriente.
Gli resta contare sui curdi ma è ben poca cosa. Senza l’ISIS la loro presenza non ha giustificazioni valide, prima o poi saranno costretti ad abbandonare la partita, lasciando ad Israele la sola alternativa di trattare con la Russia una diversa posizione nei confronti degli altri attori dell’area mediorientale, che preveda la rinuncia al progetto del Grande Israele. Comunque, un cambio del quadro geopolitico da ascrivere, oltre che alla vittoria di cui sopra, a Putin e alla sua strategia diplomatica.