Poche persone, a parte gli specialisti, possono aver sentito parlare della Commissione Congiunta JCPOA. Questo gruppo è stato incaricato di una fatica di Sisifo: il tentativo di rilanciare l’accordo nucleare iraniano del 2015 attraverso una serie di negoziati a Vienna.

Il team negoziatore iraniano è tornato ieri in Austria guidato dal Viceministro degli Esteri Seyed Abbas Araghchi. La trattativa ombra si delinea con il fatto che gli iraniani negoziano con gli altri membri del P5+1 (Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania), ma non direttamente con gli Stati Uniti.

Questo è significativo: dopotutto, è stata l’amministrazione Trump a far saltare in aria il JCPOA. Una delegazione americana è presente a Vienna, ma parla solo con gli europei.

La trattativa ha messo il turbo da quando a tutti i tavolini dei caffè viennesi si sono sapute le linee rosse di Teheran: o si torna al JCPOA originale così come concordato a Vienna nel 2015 e poi ratificato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, o niente.

Araghchi, mite ed educato, ha dovuto sottolineare ancora una volta che Teheran se ne andrà se i colloqui prenderanno la direzione del “bullismo”, della perdita di tempo o anche dei passettini da ballo di sala [in inglese], cosa che viene considerata ugualmente perdita di tempo.

Pur non essendo totalmente ottimista o pessimista, rimane, piuttosto, cautamente ottimista, almeno in pubblico: “Non siamo contrariati e faremo il nostro lavoro. Le nostre posizioni sono molto chiare e ferme. Le sanzioni devono essere revocate, verificate, e dopo l’Iran ritornerà ai suoi impegni”.

Quindi, almeno in teoria, il dibattito è ancora acceso. Araghchi: “Ci sono due tipi di sanzioni statunitensi contro l’Iran. In primo luogo, sanzioni categorizzate o cosiddette divisionali, come ad esempio petrolio, banche e assicurazioni, spedizioni marittime, petrolchimiche, edilizie e automobilistiche, e, in secondo luogo, sanzioni contro persone fisiche e giuridiche”.

La “seconda” è la questione chiave. Non c’è assolutamente alcuna garanzia che il Congresso degli Stati Uniti revocherà la maggior parte o almeno una parte significativa di queste sanzioni.

Tutti a Washington lo sanno, e la delegazione americana lo sa.

Quando, per esempio, il Ministro degli Esteri a Teheran afferma che si è trovato l’accordo sul 60% o il 70% delle cose, questo presuppone la revoca delle sanzioni divisionali. Quando si parla del “secondo tipo”, Araghchi deve essere evasivo: “In questo campo ci sono questioni complesse che stiamo esaminando”.

Se si confronta tutto questo con la valutazione degli iraniani addetti ai lavori a Washington, come ad esempio l’esperto di politiche nucleari Seyed Hossein Mousavian, li si trova  più simili a realisti con pessimismo.

Questo tiene conto dei limiti non negoziabili stabiliti dallo stesso leader supremo Ayatollah Khamenei, così come delle pressioni continue da parte di Israele, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che sono tutti contrari al JCPOA.

Ma c’è anche un gioco sotto traccia. L’intelligence israeliana ha già riportato al gabinetto di sicurezza che un accordo a Vienna sarà sicuramente raggiunto. Dopotutto, il racconto di un accordo di successo è già stato dipinto come un successo della politica estera dall’amministrazione Biden-Harris o, come dicono i cinici, Obama-Biden 3.0.

Nel frattempo, la diplomazia iraniana viaggia al massimo. Il Ministro degli Esteri Javad Zarif è in visita [in inglese] in Qatar e Iraq, e ha già incontrato l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim al Thani.

Il Presidente iraniano Hassan Rouhani, praticamente alla fine del suo mandato nell’imminenza delle elezioni presidenziali di giugno, ribatte sempre sullo stesso punto: niente più sanzioni USA; ispezioni sull’Iran; ritorno successivo dell’Iran ai suoi “obblighi nucleari”.

Il Ministro degli Esteri ha addirittura diffuso [in inglese] una scheda informativa piuttosto dettagliata che sottolinea ancora una volta la necessità di rimuovere “tutte le sanzioni imposte, confermate e rinnovate dal 20 gennaio 2017”.

La finestra temporale per un accordo non sarà molto ampia. Ai più intransigenti di Teheran di questo non può importare di meno, e almeno l’80% dei membri del Parlamento di Teheran sono intransigenti, ora. Il prossimo presidente sarà sicuramente intransigente anche lui. Gli sforzi della squadra di Rouhani sono stati etichettati come un fallimento fin dall’inizio della campagna di “massima pressione” di Trump. Gli intransigenti sono già in modalità post-JCPOA.

 

Quel fatidico Fateh

Quello che nessuno degli attori della trattativa ombra può ammettere è che la rinascita del JCPOA scompare rispetto al vero problema, ovvero la potenza dei missili iraniani.

Nei negoziati originali del 2015 a Vienna (potete ripercorrerli nel mio e-book [in inglese] Persian Miniatures), Obama e Biden fecero tutto ciò che era in loro potere per includere i missili nell’accordo.

Ogni granello di sabbia nel deserto del Negev sa che Israele non escluderà nessuna iniziativa per mantenere la sua supremazia nucleare in Medio Oriente. Con il supporto di uno spettacolare teatro kabuki, il fatto che Israele sia una potenza nucleare rimane “invisibile” alla maggior parte dell’opinione pubblica mondiale.

Mentre Khamenei ha emesso una fatwa affermando chiaramente che la produzione, lo stoccaggio e l’uso di armi di distruzione di massa, nucleare compreso, è “haram” (bandito dall’Islam), la leadership israeliana si sente libera di ordinare ogni stratagemma, come ad esempio il sabotaggio, tramite il Mossad, del complesso nucleare iraniano civile di Natanz.

Il capo della commissione per l’Energia del Parlamento Iraniano, Fereydoun Abbasi Davani, ha persino accusato Washington e Londra di essere complici del sabotaggio di Natanz, in quanto avrebbero fornito informazioni a Tel Aviv.

Eppure, ora, un missile solitario sta letteralmente facendo esplodere gran parte della trattativa ombra.

Il 22 aprile, nel cuore della notte e prima dell’alba, un missile siriano è esploso a soli 30 km dall’obbiettivo ultrasensibile del reattore nucleare israeliano di Dimona. La versione ufficiale, confermata, israeliana è che si trattava di un missile “errante”.

Beh, non proprio.

In questo video [tweet in inglese], il terzo video dall’alto, è ripreso il momento piuttosto significativo dell’esplosione. È significativo inoltre che Tel Aviv sia rimasta assolutamente muta quando si è trattato di fornire le prove sul tipo di missile. Era un vecchio SA-5 sovietico del 1967? O, piuttosto e più probabilmente, un Fateh-110 iraniano del 2012 terra terra a corto raggio, fabbricato in Siria così come l’M-600, e nella disponibilità anche di Hezbollah?

Un diagramma della famiglia dei Fateh può essere visto in allegato. L’inestimabile Elijah Magnier ha posto [in inglese] alcune ottime domande sul quasi successo di Dimona. L’ho integrato con una discussione piuttosto illuminante con esperti di fisica e con il contributo di un esperto d’intelligence militare.

Il Fateh-110 funziona come un classico missile balistico fino al momento in cui la testata inizia le manovre per eludere le difese ABM. La sua precisione arriva fino a 10 metri, nominalmente è di 6 metri. Questo vuol dire che ha colpito esattamente dove avrebbe dovuto colpire. Israele ha ufficialmente confermato che il missile non è stato intercettato dopo aver percorso una traiettoria di circa 266 km.

Questo scoperchia un nuovo verminaio. Ciò implica che la performance del tanto pubblicizzato e recentemente aggiornato [in inglese] Iron Dome è tutt’altro che stellare, ed è un eufemismo. Il Fateh è volato così basso che Iron Dome non è riuscito ad identificarlo.

La conclusione inevitabile è che si è trattato di un messaggio/avviso spedito da Damasco. E con timbro personale di Bashar al-Assad, di cui era richiesto il permesso per un lancio missilistico così delicato. Un messaggio/avviso consegnato tramite la tecnologia missilistica iraniana e completamente disponibile per l’Asse della Resistenza, a dimostrazione che gli attori regionali hanno serie capacità nascoste.

È importante ricordare che quando Teheran ha lanciato diversi Fateh-313 di versione meno recente sulla base statunitense di Ayn al-Assad in Iraq, in risposta all’assassinio del generale Soleimani nel gennaio 2020, i radar americani sono rimasti in bianco.

La principale deterrenza strategica iraniana è la sua tecnologia missilistica. Questo è il motivo per cui la scena di Vienna diventa uno spettacolo secondario.

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 Articolo di Pepe Escobar pubblicato su The Unz Review il 27 aprile 2021
Traduzione in italiano di Pier Luigi S. per SakerItalia

 [le note in questo formato sono del traduttore]

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