La settimana scorsa il governo iracheno ha annunciato che Mosul è stata “liberata” dal controllo dell’ISIS.
La campagna principale per la liberazione di Mosul è iniziata nell’ottobre 2016, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha intensificato in maniera massiccia sia i bombardamenti aerei che gli sbarramenti di artiglieria che di fatto stavano continuando fin da quando l’ISIS aveva catturato la città nel 2014.
Le perdite fra la popolazione civile sono state molto alte. Amnesty International stima che solo dal febbraio al giugno del 2017, in conseguenza degli attacchi della coalizione, ci sia stata la perdita di quasi 6.000 civili uccisi. Questa statistica esclude i bombardamenti a tappeto delle ultime settimane.
I resoconti dei media occidentali sulla carneficina avvenuta fra la popolazione della città hanno quasi completamente evitato di descrivere sia la storia rilevante che i fatti riguardanti le conseguenze subite dalla popolazione civile. La storia rilevante include il fatto, ben documentato, che l’ISIS e gli altri gruppi terroristici sono stati creati, armati e sostenuti dalla stessa coalizione di stati che ora annunciano di volerli eliminare. Erano, e sono, gli attori per procura degli obiettivi geopolitici della “coalizione”.
Il modo di scrivere tali resoconti include una serie di tecniche linguistiche volte a minimizzare o sminuire quelli che sono senza dubbio dei pesanti crimini di guerra. Come ha sottolineato Patrick Cockburn, il contrasto nei resoconti rispetto alla precedente battaglia per Aleppo Est dell’anno scorso non potrebbe essere più grande.
Mentre le forze russe e siriane hanno combattuto per sconfiggere la presa dell’ISIS su Aleppo Est, i media occidentali hanno mantenuto uno sbarramento senza fine di propaganda anti-russa ed anti-siriana. Come giustamente ha riassunto Cockburn:
Quando i civili sono stati uccisi o le loro case sono state distrutte durante i bombardamenti guidati dagli USA su Mosul, è stato dichiarato l’ISIS come responsabile delle morti: i civili erano stati impiegati come scudi umani. Quando la Russia o la Siria prendevano di mira gli edifici ad Aleppo Est, la Russia o la Siria venivano accusati: i ribelli non avevano nulla a che fare a riguardo.
Cockburn ha recentemente pubblicato un aggiornamento sul tributo di morte derivante dall’assalto della coalizione guidata dagli Stati Uniti a Mosul. Cockburn ipotizza che il numero di morti superi i 40.000 civili. Il rapporto di Cockburn è stato pubblicato per la prima volta nel quotidiano britannico The Independent, ironicamente di proprietà russa. La cosiddetta stampa libera dei principali media occidentali è stata notevolmente silenziosa sulle rivelazioni di Cockburn. Possiamo immaginare l’indignazione diffusa che avrebbe accompagnato la pubblicazione di dati comparabili sulla liberazione russo-siriana di Aleppo Est.
Uno dei motivi fondamentali di questo diverso standard nei reportage è che il governo iracheno è un “alleato”, mentre i presidenti Putin e Assad sono “nemici” da demonizzare ad ogni occasione, indipendentemente dai fatti.
La seconda lezione è che la coalizione guidata dagli americani sta perpetrando crimini di guerra a Mosul (e in molti altri luoghi). Mosul è una città popolata abbastanza densamente da circa un milione di persone. Intensi sbarramenti di artiglieria e bombardamenti aerei su larga scala non dovrebbero mai essere impiegati contro una popolazione civile. Compiere questo tipo di azioni costituisce un grave crimine di guerra, definito nello statuto che ha istituito la Corte Penale Internazionale come violazione grave delle Convenzione di Ginevra, al pari dell’uccisione intenzionale, oppure il causare grandi sofferenze o lesioni gravi per il corpo o la salute.
Non può esserci nessun argomento serio secondo cui ciò che è stato perpetrato contro i civili di Mosul non sia un crimine di guerra. Ancora una volta, i resoconti dei media occidentali sono istruttivi, gli attacchi della coalizione sono sempre “attentamente mirati” e “ogni sforzo è fatto per ridurre i danni civili” e così via con frasi simili.
La liberazione di Aleppo Est, che in realtà fu anche di durata più breve, con molto meno danni materiali e meno vittime di civili, è stata rappresentata in modo implacabile come la mancanza di attenzione russo-siriana per la vita e la sofferenza umana in Siria.
Anche l’Australia è complice dei crimini di guerra inflitti a Mosul. Un “complice” nel diritto penale è colui che compie il principale delitto, o fa qualcosa per “aiutare, favorire, consigliare o procurare” il colpevole nel compiere i suoi atti.
Anche se il governo australiano è molto schivo riguardo a cosa esattamente facciano le proprie truppe in Iraq (e in Siria), non c’è dubbio che esse rientrino per uno o più aspetti nella definizione di essere parte in causa. Sono pertanto colpevoli, per il diritto internazionale, degli atti criminosi effettuati dalla coalizione, tra i quali la “liberazione” di Mosul è solo uno dei più recenti ed evidenti esempi.
Il personale australiano della difesa, l’esercito, l’aeronautica e la marina sono senza dubbio sul terreno. Le dichiarazioni pubbliche ripetute del Primo Ministro Turnbull, del Ministro degli Esteri Julie Bishop e del Ministro della Difesa Marise Payne confermano che il loro ruolo in Iraq e in Siria è attivo. Solo occasionalmente, come con il bombardamento “sbagliato” sulle truppe siriane, alcuni dei dettagli reali sono rivelati, solo per scomparire immediatamente dalla ribalta pubblica. Ci sono intere biblioteche di dichiarazioni ufficiali dei nostri politici a sostegno degli Stati Uniti. In genere gli Stati Uniti sono chiamati a fare di più per promuovere e sostenere la loro particolare versione di comportamenti geopolitici accettabili. È anche molto ben documentato come l’Australia si sia unita in quasi tutte le disavventure militari americane fin dalla Seconda Guerra Mondiale, come partecipante o come sostenitore politico. Quella lista, da sola, è sostanziosa. (Blum, “America’s Deadliest Export: Democracy”, Zed Books, 2014).
Il ruolo dell’Australia non viene mai rappresentato in quei termini dai media corporativi. Le azioni statunitensi stanno sempre “mantenendo l’ordine basato su regole internazionali”, “portando la pace e la stabilità nelle regioni turbolente”, o “liberando il mondo da un tiranno indicibile” e così via.
Agli occhi dei media principali, ne segue che se non fai alcuno sbaglio, non ti si può mai accusare di alcun crimine. Quello è esclusivamente il destino di qualsiasi nemico designato di turno. La verità brutale è però che le truppe di alcune nazioni occidentali, tra cui, ma non solo, le americane, inglesi, francesi e australiane, hanno costantemente violato il diritto internazionale. Questo fatto non è mai oggetto di un’analisi seria nei media mainstream, per non parlare di commenti critici o di qualsiasi richiesta di inchiesta sui responsabili.
La nozione di responsabilità per intraprendere una guerra di aggressione e commettere crimini di guerra ed altre atrocità ha avuto una breve fioritura dopo la Seconda Guerra Mondiale con i processi di Norimberga e di Tokyo. Da allora, la nozione di responsabilità è diventata una reliquia pittoresca, quasi una finzione giuridica.
Invasioni illegali, occupazioni e distruzioni, creazione di inutili sofferenze umane e di danni materiali, costrizione di milioni di persone a sfollare o a diventare rifugiati, è stato il destino subito da almeno una dozzina di paesi solo in questo secolo, risultato diretto delle devastazioni commesse da alcune nazioni occidentali.
E ancora, nonostante tutto questo, non c’è stato un singolo processo della direzione politica o militare dei diversi paesi che regolarmente fanno parte delle coalizioni guidate dagli Stati Uniti. Continueremo a seguire un percorso sostanzialmente illegale a meno che, e finché, non ci sottometteremo finalmente ai precetti fondamentali del Diritto Internazionale, quello che comprende, ma senza limitarsi a questo, il non attaccare altri paesi sovrani, e finché non prenderemo i responsabili di tali atti punendoli in modo significativo. Quel percorso è pieno di pericoli per il mondo. Il minimo che potremmo fare nel frattempo è smettere di fingere che non sia così.
James O’Neill, è un avvocato australiano, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook”.
*****
Articolo di James O’Neill pubblicato su New Eastern Outlook il 24 luglio 2017.
Traduzione in italiano di Pappagone per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
No comments!
There are no comments yet, but you can be first to comment this article.