Sembra che Erdogan abbia già deciso, ma le congetture riguardo agli accordi che sono e non sono stati fatti, sembrano offuscate, a dir poco.

Nel Levante, alla fine i curdi perdono sempre, qualunque sia l’alleanza che stringano e chiunque sia l’alleato, finiscono per essere pugnalati alla schiena, o per lo meno abbandonati. Ma quando fai squadra con soci come gli USA, o addirittura Israele, che altro si possono aspettare?

Ma l’ossessione dei curdi di avere la loro statualità ad ogni costo, e le resistenze che affrontano oltre all’impreparazione di certe parti a lavorare assieme per assicurare che non ci sia un intervento straniero, hanno tutte le proprie conseguenze avverse. Ciò a cui assistiamo nel nord della Siria oggi è il loro risultato diretto.

L’America che finora ha cercato anche solo mezza scusa per invadere la Siria per un tempo molto lungo, sapendo di non essere in grado di esservi presenti in modo tale da poter bombardare a tappeto l’intera nazione, ha usato la scusa curda e il falso pretesto di creare una “zona di sicurezza” per giustificare la propria presenza sul suolo siriano; contro la volontà della Siria.

Ma per fare questo, l’America necessita di alleati sul terreno, e invece di lavorare con il suo partner naturale e membro della NATO Turchia (che, guarda caso, è una superpotenza regionale) su denominatori comuni, l’incapacità dell’America di negoziare e di praticare il do ut des, perfino con i propri alleati più ardenti, ha respinto la Turchia e l’America ha dovuto fare ricorso a un’alleanza con i Curdi dell’YPG. Con conseguenze sinistre.

Non è chiaro quale fosse la posizione iniziale della Russia sull’istituzione di una qualunque forma di autonomia curda in Siria. In effetti Walid Muallem, Ministro degli Esteri siriano, a settembre 2017 aveva lasciato intendere che il governo giriano era preparato a prendere in esame una limitata autonomia culturale curda (https://arabic.rt.com/middle_east/900959-وزير-الخارجية-السوري-لـ-rt-الإدارة-الذاتية-سوريا-وهذا-أمر-قابل-للتفاوض-والحوار/), ma questa proposta non è andata lontano. E molto prima del commento di Muallem, lo stesso Presidente Assad nel 2012 aveva fatto capire che l’impegno della gente di Ain Al Arab (Kobani in curdo) non sarebbero stati dimenticati. Ma naturalmente, questo non significa che accennasse ad una forma di autonomia. Che il governo siriano abbia subito pressioni affinché non esplorasse ogni possibile via per la riconciliazione con la propria popolazione curda? E nel caso, da chi e perché? Di sicuro non dalla Russia, perché la Russia è sempre stata sensibile e comprensiva nei confronti delle paure e aspirazioni curde. Chi altri potrebbe essersi opposto al raggiungimento di una qualche forma di riconciliazione preventiva tra il governo siriano e i curdi siriani prima che gli eventi raggiungessero il climax pericoloso in cui si trovano oggi? Certamente non Iran o Turchia.

Ragionevolmente, si può dire che il modo in cui l’YPG  è andato a letto con l’America ha portato al suo abbandono da parte del governo siriano e di tutti gli altri potenziali alleati al di fuori del circolo di influenza americano, e ciò non potrebbe essere più ovvio, data la storia recente dell’YPG. Ma in tutta onestà, a posteriori, dobbiamo chiederci se sarebbe stato possibile evitare quest’impasse, o per lo meno attenuarla. Non lo sappiamo. In ogni caso, è già troppo tardi per la “riconciliazione” e lo stesso Presidente Assad  si è recentemente riferito a quei curdi che sono sotto il controllo dell’America come a dei “traditori”.

Ironicamente, un’accesa opposizione alla costituzione di una qualsiasi forma di autonomia curda in Siria c’era e continua ad esserci da parte della Turchia di Erdogan. Quest’ultimo è preoccupato dall’effetto valanga e dalla possibilità che i curdi turchi nutrano aspirazioni simili. E la Turchia è una nazione multietnica con vulnerabilità che non possono essere ignorate in quest’era folle della storia umana.

Erdogan ha detto ai propri “alleati” americani più e più volte che non potranno essere alleati strategici della Turchia se vorranno appoggiare una qualunque forma di entità formale curda; anche se nominalmente quest’ultima è solo culturale. Eppure, gli USA di Obama non gli hanno dato retta più di quanto lo abbia fatto Trump. Si sono impuntati e hanno continuato a causare preoccupazioni con la loro sola presenza in Siria, non solo alla Siria, ma anche alla Russia e, per colmo dell’ironia, alla Turchia loro alleata.

La Siria vuole l’America fuori dalla Siria.

La Russia vuole l’America fuori dalla Siria.

L’Iran vuole l’America fuori dalla Siria.

Alla Turchia non importa in realtà se l’America è in Siria o ne è fuori, ma sicuramente vuole che l’YPG e qualunque altra formazione militare curda venga disarmata, al fine di porre un termine alla realizzazione di qualunque possibile entità curda.

Ma adesso che il lupo (cioè l’America) è dentro, chi la butta fuori prima che sbuffi, soffi e faccia crollare l’intera regione?

L’Esercito siriano non può ingaggiare in combattimento direttamente le truppe americane, per non parlare delle milizie sostenute dall’America, senza rischiare una grave escalation militare con l’America stessa. E probabilmente la stessa America desidera che ciò accada, in quanto ciò giustificherebbe una presenza maggiore.

Ma un attimo, non dimentichiamoci che ci sono le truppe russe sul terreno in Siria, e che i russi e gli americani sono finora riusciti ad evitare il conflitto diretto per decenni. Questa interazione indiretta è una cosa con cui entrambe le superpotenze hanno familiarità, e sanno come fare. Ma questo naturalmente significa che la Russia non può impegnarsi direttamente per cacciare le truppe americane dalla Siria. Dall’altro lato, neanche l’America può ingaggiare la Russia nel tentativo, diciamo, di cacciare il Presidente Assad.

Cosa diciamo dell’Iran allora? Bene, l’Iran subisce già le minacce americane (e israeliane), anche senza impegnarsi direttamente contro le truppe americane. L’Iran potrebbe scegliere di impegnarsi contro l’America o farsi trascinare in un combattimento, ma che lo faccia deliberatamente allo scopo di proteggere i curdi siriani è uno scenario improbabile.

Pertanto in realtà, soltanto le truppe turche possono svolgere il compito senza creare una devastazione internazionale che si estenda eccessivamente.

Questo significa che c’è un’approvazione tacita da parte del governo siriano per la cosiddetta operazione “Ramo d’Olivo” turca? Niente affatto, o almeno molto difficilmente. C’è forse un accordo tra la Turchia da una parte e Russia e Iran dall’altra su questo punto? Anche questo è estremamente improbabile. Eppure Erdogan sa molto bene che lui è il solo a potersi impegnare in combattimenti contro le coorti americane in Siria, e lo sta facendo, con o senza il sostegno, neanche tacito, di Russia, Iran o Siria.

Ma non dimentichiamo che la Turchia è un membro della NATO, e che ospita la base aeronautica di Incirlik. Però, a differenza che nel 1955, quando la Turchia pregava per unirsi alla NATO per paura del “pericolo comunista”, l’America e la NATO adesso hanno bisogno della Turchia molto più di quanto la Turchia abbia bisogno della NATO. Quanto ad Erdogan, se dovesse scegliere tra il rischio potenziale di perdere l’appartenenza della Turchia alla NATO e avere uno stato curdo a sud del proprio confine, sceglierebbe il primo..

Ma per tornare a Erdogan, la sua opposizione all’America non è basata soltanto sulla religione e il nazionalismo, è anche personale. Oltre che a causa dei suoi tratti di fondamentalista dottrinale e di nazionalista, perché egli considera l’America come la nazione che ospita e protegge il suo rivale e nemico politico Gulen: che ironicamente, gode ancora di un enorme sostegno in Turchia, nonostante le misure repressive contro i suoi seguaci dopo il tentativo di colpo di Stato di luglio 2016.

Erdogan e Trump adesso stanno giocando a chi è più coraggioso, ognuno guardando al proprio rivale per vedere chi sarà il primo ad arretrare. Trump non ha idea che Erdogan non esiterà, e che semplicemente non permetterà la costituzione di uno stato curdo a sud del proprio confine, anche se non è previsto che si estenda sul territorio turco. La verità è che l’America non ha mai considerato i propri alleati come amici con cui potrebbe avere obiettivi comuni, ma che capita abbiano i propri interessi. L’America è abituata a dettare i propri termini e le proprie condizioni ai propri alleati senza pensarci due volte.

Ma Trump, come i suoi predecessori prima di lui, non sembra capire di avere spinto Erdogan al limite e che lui sta dando una lezione all’America.

Quindi, al di là della questione che ci siano, o no,  accordi riservati tra Siria, Turchia, Iran e Russia, il fatto che tutti siano d’accordo sul fatto che nessuno tra loro voglia una qualunque forma di autonomia curda, solleva Erdogan al livello di unico e solo “eroe” che possa occuparsene, essendo lui l’unico a cui non frega niente di quello che succederà tra lui e l’America. Sembra addirittura che si stia godendo l’attenzione che riceve in patria per la sua sfida all’America, visto che questo sostiene la sua popolarità e gli consente di attaccare ancora Gulen e l’America, ritenuta responsabile della sua sopravvivenza politica per il fatto che gli concede asilo.

Ma nel fare tutto questo, e per continuare dall’articolo precedente, Erdogan ha chiaramente fatto la sua scelta riguardo a quale parte andrà ad appoggiare sul suolo siriano.

Ci sembra che Erdogan si stia distanziando dal Fronte Al-Nusra, o no? Bene, almeno in superficie, sta giocando la carta del meno radicale tra tutti i gruppi d’opposizione militarizzata siriani; il cosiddetto “Free Syria Army” (FSA). I membri originali dell’FSA nel 2011 erano principalmente disertori dell’Esercito Siriano. In quel momento erano l’unica forza militare sul terreno prima che arrivassero gli jihadisti e i mercenari. Nessuno oggi può dire davvero con certezza in che percentuale questi combattenti provengano originariamente dall’Esercito siriano, ma ciò che conta qui è che Erdogan non sta andando ad Afrin assieme ai miliziani del Fronte Al Nusra, ma con quelli dell’FSA.

Per un patriota siriano non c‘è una differenza reale tra FSA e Fronte Al-Nusra. Però nei registri, per così dire, l’FSA non è un’organizzazione jihadista fondamentalista. E non appena i colloqui di Astana/Ginevra/Sochi verranno ripresi ad un certo stadio, sollevare il profilo del FSA “ad un minuto da mezzanotte” potrebbe dare alla elusiva sedicente “opposizione moderata siriana” almeno un minuto di rianimazione bocca a bocca; per gentile concessione di Erdogan. Dopo tutto, se arriva il momento critico, i miliziani di Al-Nusra che Erdogan desidera proteggere possono sempre radersi le barbe e indossare uniformi dell’FSA.

È una mossa “furba”, o piuttosto connivente, da parte di Erdogan, perché sostenendo e resuscitando l’FSA, non solo si distanzia dal Fronte Al-Nusra, ma riporta l’”opposizione moderata siriana” all’attenzione, e potenzialmente le concede un posto nei negoziati finali; e questo fatto può essere usato anche da lui come un legame non reciso con gli “alleati” americani, perché se si vuole guardare la schiena giusto nel caso in cui avesse bisogno dell’America nel prossimo futuro, può sempre dire di non aver mandato le proprie truppe in Siria per sostenere il Presidente Assad, ma per sostenere l’opposizione.

Qualunque sia la direzione che gli eventi prendono da qui, alla diplomazia russa verrà lanciata la sfida finale. Il tempo per l’esibizione muscolare della potenza dei bombardieri russi è terminato, almeno per un po’.

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Articolo di Ghassan Kadi per il blog del Saker pubblicato il 26/01/2017
Traduzione in italiano a cura di Mario B. per Sakeritalia.it

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