La questione geopolitica del momento, di cui si è parlato di più negli ultimi due giorni, è la smobilitazione russa dalla Siria. Mentre era logico aspettarsi un ritiro, nessuno era stato in grado di prevedere il momento esatto di un tale annuncio.
La politica e le relazioni internazionali della Russia si basano su una visione molto chiara e pragmatica del proprio interesse nazionale.
In Siria, il vero obbiettivo della Russia era quello di rafforzare la sua presenza in Medio Oriente e risorgere dalle ceneri dell’isolamento internazionale causato dall’intervento della NATO in Ucraina; è a questi motivi che si deve l’intervento russo. In ogni caso, per quanto riguarda la Siria, la base aerea e il porto (di Tartus) rimarranno (sotto il controllo russo). Il presidente Putin, con il suo intervento (militare) ha già chiarito un punto: vent’anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mosca è in grado non solo di operare una proiezione di forza a migliaia di chilometri dai propri confini, ma riesce a farlo nonostante le obiezioni di Washington.
L’intervento in Siria è stato un modo per fare entrambe le cose. Da questo punto di vista, il ritiro ha senso solo se capiamo che l’intervento del Presidente Putin non riguardava l’ISIS, il terrorismo o anche il sostegno allo stesso Presidente Assad.
Non era nell’interesse della Russia lasciarsi trascinare in un intervento prolungato in Medio Oriente. Dal punto di vista economico le cose non vanno benissimo per la Russia, e gli strateghi russi stanno ancora pensando all’Ucraina come terreno di scontro politico-militare.
Per quanto riguarda l’alleanza fra il Presidente Putin e il Presidente Assad, anche se non è mai venuto a mancare il sostegno della Russia, quando si è dovuto trattare con il leader siriano è stato più per una questione di principio che per motivazioni correlate alla personalità dell’interlocutore.
C’erano segnali di come il Presidente Assad stesse diventando un po’ troppo sicuro di sé, al punto da incominciare ad infastidire la Russia. Si sono intuite delle tensioni, Assad stava incominciando a diventare un peso.
Anche se uomini ed attrezzature vengono rimpatriati, la Russia se ne lascia indietro ancora un bel po’. I Russi manterranno le loro due basi in Siria e potrebbero, in teoria, ritornare molto facilmente in soccorso del loro alleato. Queste due basi sono rappresentate dalle installazioni portuali di Tartus e dalla base aerea di Khmeimim a Latakia, con i 600 fanti di marina incaricati della sua sicurezza. Tutto questo, naturalmente, non verrà toccato.
Così, in ogni caso, la Russia mantiene la sua presenza militare in Siria, lasciando in loco le batterie di missili S-400, le truppe nella base aerea di Khmeimim a Latakia, e continuando ad occupare il già menzionato centro rifornimenti nel porto di Tartus, insieme ai consiglieri militari che lavorano con il Presidente Assad. La Russia, in realtà, non se ne sta andando, sta solo diminuendo la propria presenza militare laggiù.
In ogni caso, questo ritiro è anche in parte un messaggio per il Presidente Assad, che evidentemente aveva arruffato le penne di Mosca nel modo sbagliato. Sembra che il Presidente siriano non stesse più ad ascoltare. Il ritiro è un segnale inequivocabile per il regime: “questo non lo puoi fare”.
Nel grande schema degli eventi, un intervento di sei mesi è costato molto poco al Presidente Putin in termini di risorse, sopratutto se paragonato ai vantaggi ottenuti nel campo delle pubbliche relazioni. Ha dimostrato ai cittadini russi di essere efficiente e risoluto, confrontandosi su un piano di parità con gli Stati Uniti sulla questione siriana.
Perciò possiamo tranquillamente dire che la Russia ha raggiunto in Siria i suoi obbiettivi principali. Stava lottando per uscire dall’isolamento internazionale, per riprendere le comunicazioni o, se vi piace di più, per tornare ad avere un posto nel consiglio di amministrazione del mondo.
Adesso, il fatto che la Russia sia riuscita a raggiungere una posizione di forza, tale da poter incentivare o demotivare il Presidente Assad, come l’Occidente non è mai riuscito a fare, peserà certamente sui colloqui di pace attualmente in corso a Ginevra, Svizzera.
Il Cremlino ha riferito che il Presidente Putin e il Presidente Obama hanno avuto una conversazione franca e costruttiva, in cui entrambi si sono espressi per l’intensificazione del processo politico volto alla risoluzione del conflitto siriano. Che un’ammissione del genere venga anche dalla Casa Bianca è sicuramente una vittoria per la Russia. Intensificare il processo politico incentiverà il governo siriano a trovare una soluzione negoziata per la fine del conflitto. Con i suoi protettori che se ne vanno, il Presidente Assad potrebbe diventare un pochino più intraprendente nel cercare una soluzione politica a questo sanguinoso conflitto che si trascina da cinque anni, in cui 470.000 persone sono morte, 1.600.000 sono state ferite e dove circa metà della popolazione siriana pre-2011 (23.000.000) si è dovuta rifugiare all’estero.
Gli organi di informazione ufficiali siriani hanno cercato di minimizzare il significato del ritiro russo. La televisione di Stato ha ribadito che la decisione era stata presa in coordinamento con il governo siriano, anche se, il giorno prima, il Cremlino aveva detto di non aver consultato preventivamente i suoi partners siriani.
Anche gli altri alleati del governo del Presidente Assad hanno detto di essere rimasti sorpresi dall’annuncio russo. Un rappresentante degli Hezbollah libanesi, una milizia sciita sostenuta dall’Iran, che ha inviato combattenti in Siria in aiuto del Presidente Assad, ha definito l’improvviso ritiro “uno shock”.
“Dobbiamo aspettare e vedere quali siano le vere intenzioni dei Russi, perché, alla fine, qui c’è il timore che sarà Hezbollah a doverne pagare il prezzo“, ha detto l’intervistato.
Gli oppositori del governo del Presidente Assad sembrano assai vogliosi di trarre vantaggio dalla manovra. Un comandante di Jabhat al-Nusra, una fazione affiliata ad al-Qaeda che combatte in Siria, ha dichiarato all’agenzia di stampa France-Press che il suo gruppo starebbe preparando un’offensiva “nelle prossime 48 ore“.
Tutto considerato, l’intervento della Russia in Siria è stato un successo politico e militare, sia per la diplomazia, come per le forze armate russe. Ritirandosi dalla Siria in questo momento delicato, la Russia non solo mostra, ma mette anche alla prova tutta la sua buona fede sostenendo in pieno gli attuali negoziati di Ginevra.
A differenza di Washington, la Russia è troppo astuta per lasciarsi invischiare nell’infinito e terrificante pantano mediorientale. Questo è esattamente quello che avrebbe voluto Washington, non solo nel Medio Oriente, ma anche in Ucraina. Washington vorrebbe il prosciugamento di tutte le risorse russe, così come è successo con le proprie, in termini sia economici che umani, con le sue disavventure egemoniche degli ultimi 15 anni in Afganistan, Iraq, ecc. A differenza di Washington la Russia ha sempre avuto una exit strategy chiara e rapida, quella a cui stiamo assistendo ora in Siria.
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Articolo di Alexander Azadgan pubblicato su Katehon.com il 16 marzo 2016
Tradotto in italiano da Mario per Sakeritalia.it
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