In una settimana importante per i colloqui di pace siriani, il presidente Assad è stato ospitato dal presidente russo Vladimir Putin a Sochi, dove si trovano anche i leader dell’Iran e della Turchia. Giustamente, forse, gli Stati Uniti non hanno voce in capitolo sul rinnovato sforzo per la pace in Siria.

Putin ha detto che con la sconfitta dell’ISIS (Daesh, Stato Islamico) e di altri gruppi terroristici in Siria ora praticamente raggiunta, le parti in conflitto, per conquistare la pace, devono rinforzare i mezzi politici. Significativamente, i colloqui nella località russa di Sochi rafforzano il precedente accordo di Ginevra, quello che assegna al presidente Bashar Assad e al suo governo a Damasco l’autorità sovrana della Siria.

La richiesta da parte di Washington e dei suoi alleati europei di “dimettersi” è scaduta da tempo. Quel vuoto è un tacito riconoscimento che la guerra segreta di quasi sette anni in Siria per il cambio di regime è stata sconfitta o, almeno, quella per procura sotto forma di gruppi militanti sostenuti dall’Occidente.

L’assenza di funzionari statunitensi ed europei ai colloqui di pace a Sochi questa settimana la dice lunga sul loro ruolo pernicioso nella guerra siriana.

Mentre la Siria, la Russia, l’Iran e la Turchia si sforzano di rinnovare i negoziati di pace, è significativo il fatto che il capo del Pentagono James Mattis abbia dichiarato la scorsa settimana che le forze militari statunitensi si trincereranno ulteriormente sul territorio siriano.

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La riluttanza delle forze americane a fare i bagagli in Siria, nonostante la scomparsa dei gruppi terroristici, si inquadra forse meglio come risultato di una ripresa regionale della presenza militare americana. Sotto il Presidente Trump – nonostante le promesse della sua campagna elettorale – il livello delle forze statunitensi è aumentato sostanzialmente in Afghanistan e in Iraq. Lo spiegamento in Siria si inserisce in questo schema di accumulo di forze militari nella regione.

Il crescente livello di militarizzazione degli Stati Uniti nella regione sottolinea anche i segni inquietanti di Arabia Saudita e Israele che aumentano l’ostilità verso l’Iran e il Libano.

La settimana scorsa, il Segretario alla Difesa americano, James Mattis, ha dichiarato che le forze americane sarebbero rimaste in Siria nonostante l’incongruenza con la rotta dei gruppi terroristici. Le affermazioni di Mattis, che le forze statunitensi hanno un mandato legale delle Nazioni Unite per la loro presenza in Siria, sono state respinte dalla Russia e dalla Siria come un’errata comprensione del diritto internazionale.

Ma anche basandosi sul suo fallace ragionamento, quelle affermazioni sono dubbie. Se le forze statunitensi hanno il mandato di essere in Siria per sconfiggere i terroristi, come sostenuto, allora perché sono lì dato che i terroristi sono stati ampiamente sconfitti?

Mattis ha detto che il nuovo scopo delle forze statunitensi è quello di “prevenire la crescita dell’ISIS 2.0”. Nonostante il fatto che gli americani non si siano quasi mai impegnati nella lotta contro l’ISIS, e anzi, come ha riferito anche la BBC, hanno assicurato ai militanti un passaggio sicuro, incluso la messa in sicurezza dei comandanti mediante il trasporto aereo su elicotteri.

Sono stati l’Esercito Arabo Siriano, la Russia, l’Iran e Hezbollah che hanno fatto tutto il lavoro pesante di respingere i gruppi terroristici, quelli che erano stati segretamente armati e finanziati dagli Stati Uniti, dalla NATO e dai regimi dei loro clienti regionali. L’ISIS, Al Nusra e tutta l’altra zuppa di sigle terroristiche sono stati sempre solo un pretesto per gli Stati Uniti al fine di schierare i loro aerei da guerra e le loro forze speciali in Siria – una presenza che costituisce effettivamente un’aggressione straniera, come il governo siriano e la Russia hanno ripetutamente sottolineato.

Eppure sentiamo Mattis affermare che sono stati gli Stati Uniti a sconfiggere l’ISIS in Siria e avvertire che lo spettro di questo bene americano, risorgente come ISIS 2.0, è un pretesto per continuare ad occupare il territorio siriano. Il comodo nemico fantasma degli Americani torna utile un’altra volta. Vale per “legittimare” l’intervento degli Stati Uniti in Siria e ora vale per giustificare la permanenza in quel paese delle forze americane – proprio quando i veri vincitori contro i terroristi, la Siria, la Russia e l’Iran stanno cercando di smilitarizzare il paese.

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Lontano dall’opinione pubblica, le forze statunitensi stanno aumentando la loro presenza in Siria, Afghanistan e Iraq. Politico l’ha definita una “farsa ufficiale”. L’amministrazione Trump e il Pentagono stanno schierando migliaia di soldati in tutto il Medio Oriente all’insaputa del popolo americano.

Con grande rammarico di Washington, la scorsa settimana la Turchia ha rivelato che gli Stati Uniti hanno 13 basi militari in Siria. La Russia, a quanto pare, ne ha solo cinque, anche se questo paese ha avuto un impatto militare molto maggiore sulla sconfitta dell’ISIS e di altre reti terroristiche negli ultimi due anni.

Una delle più grandi basi statunitensi è vicino a Kobani, a circa 140 chilometri dalla città settentrionale di Raqqa. Senza dubbio, è questa è la posizione a cui Mattis si riferiva quando ha detto la scorsa settimana che le forze USA si sarebbero trincerate.

La base aerea degli Stati Uniti a Kobani è stata notevolmente migliorata [in inglese] nell’ultimo anno, da quella che era una grezza pista d’atterraggio ospitante solo pochi tipi di velivoli alla volta, a quella di adesso in cui può essere fatto atterrare “ogni tipo di aereo” della flotta del Pentagono, inclusa i più grandi aerei per il trasporto di merci e di truppe.

La base americana di Kobani fa anche parte di una catena di nuovi aeroporti che collegano Qayarrah West nel nord dell’Iraq, alla diga di Taqba, anch’essa a nord di Raqqa.

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Ufficialmente, ci dovrebbero essere solo 500 soldati in Siria secondo le linee guida del livello di gestione delle forze del Pentagono. Ma, come per l’Afghanistan e l’Iraq, si ritiene che i numeri reali siano molto più alti di quelli ufficialmente riconosciuti.

Gran parte della falsa contabilità deriva dal fatto che il Pentagono non conteggia le unità che trascorrono meno di 120 giorni nel paese. Queste unità includono ingegneri e truppe incaricate di costruire ponti, strade e piste di atterraggio.

C’è un’analogia diretta qui con il modo in cui le forze USA e NATO sottovalutano i livelli di forza nelle regioni del Mar Baltico e del Mar Nero non contando arbitrariamente truppe, aerei da guerra e navi descritte come “presenza in rotazione”. Ma, se le ruotate abbastanza frequentemente, queste forze diventano permanenti e il totale di quelle dispiegate è, in pratica, molto più grande di quanto ammesso ufficialmente.

Oltre a garantire che le sue forze delegate non ritornino indietro come “ISIS 2.0” (che faccia tosta!), Mattis ha anche detto [in inglese] che le forze allargate degli Stati Uniti erano lì per assicurare che i futuri colloqui di pace a Ginevra, ripresi il 28 novembre, si  rimettessero “in moto”.

“Non ce ne andremo via prima del riavvio del processo di Ginevra”, ha detto Mattis la scorsa settimana mentre a Londra ha incontrato i suoi omologhi britannici.

Questo suggerisce che Washington stia usando la sua illegittima occupazione militare del territorio siriano come un modo per influenzare il processo politico. Mantenendo con la forza parte del territorio siriano, Washington sta forse calcolando che il governo di Assad possa cedere alle sue richieste di dimettersi, o permetta ad un’opposizione sconfitta di avere più influenza nella stesura di una nuova Costituzione.

Se gli Stati Uniti fossero sinceramente impegnati in un processo politico in Siria, allora perché i suoi diplomatici non stanno dando il loro contributo ai colloqui di questa settimana, mediati dalla Russia a Sochi,  in preparazione del successivo summit di Ginevra?

Ma ancora più sinistro è il contesto a livello regionale del crescendo di forze statunitensi,  in gran parte tenuto segreto al pubblico americano. Con i regimi clienti di Washington, l’Arabia Saudita e Israele, impegnati a spingere [in inglese] verso lo scontro con l’Iran, direttamente o attraverso il Libano o lo Yemen, la presenza militare in espansione in Siria indica che la guerra in quel paese è tutt’altro che finita. Potrebbe essere invece solo il preludio per una conflagrazione regionale più devastante.

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Articolo di Finian Cunningham apparso su RT il  23 novembre 2017
Traduzione in italiano di Cinzia Palmacci per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

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