L’imminente vittoria di Volodymyr Zelenskyj nelle elezioni presidenziali ucraine sta spaccando i commentatori. Da un lato, ci sono gli ottimisti. Zelensky è meno legato al voto nazionalista dell’attuale presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko, e ha evitato il divisivo linguaggio etno-nazionale che ha caratterizzato la campagna di Poroshenko. Secondo gli ottimisti, quindi, sarà in una posizione migliore per porre fine al conflitto in Donbass. Serhiy Kudelia, ad esempio, sottolinea [in inglese] che Zelenskyj “offre un nuovo tipo di leadership politica che potrebbe migliorare le prospettive di riconciliazione e il pacifico reinserimento del Donbass nel breve-medio termine”.
Ciò spaventa gli intransigenti, che credono che qualsiasi soluzione pacifica della guerra nel Donbass implichi inevitabilmente una sorta di resa alla Russia. I sostenitori di Poroshenko considerano quindi il trionfo di Zelensky molto più negativo. Poroshenko è stato risoluto nel suo rifiuto di fare le concessioni necessarie per portare la pace in Donbass; ha approvato numerosi progetti nazionalisti, come le leggi che limitano l’uso della lingua russa nei media e nell’istruzione, e la legge sulla decomunistizzazione; e ha inferto un duro colpo al Patriarcato di Mosca negoziando la formazione di una nuova Chiesa Ortodossa dell’Ucraina. Zelenskyj, si teme, non sarà così affidabile.
Sia gli ottimisti che i pessimisti condividono l’ipotesi che Zelenskyj possa contribuire a portare la pace in Ucraina attenuando la linea dura finora adottata dal presidente Poroshenko; la loro opinione differisce solo nel sul fatto che sia una buona cosa. Il problema con questa ipotesi è che non è esattamente affidabile.
Una soluzione comune ai conflitti civili è una sorta di sistema di condivisione del potere. Ciò può implicare meccanismi per garantire che le minoranze siano rappresentate nelle strutture del governo centrale (ad esempio Libano e Irlanda del Nord) o una sorta di federalizzazione o confederalizzazione del paese in questione (ad esempio, Bosnia-Erzegovina). Questi meccanismi hanno svantaggi definiti (ad esempio, rafforzano le divisioni che hanno causato conflitti nel sistema politico), ma in generale le persone considerano che vale la pena pagare il prezzo per la pace. Nel caso dell’Ucraina, è stato a lungo evidente che l’unico modo per reintegrare il Donbass in Ucraina e porre fine alla guerra in modo favorevole all’Ucraina è attraverso una riforma costituzionale che conferirebbe al Donbass una sorta di status speciale (cioè l’autonomia) in Ucraina, combinata con un’amnistia per tutti i soggetti coinvolti. Questo è in effetti ciò che è stato promesso negli Accordi di Minsk II del febbraio 2015.
Ad oggi, il governo di Poroshenko non solo non è riuscito a fare concessioni di questo tipo, ma ha anche fatto del suo meglio per rendere impossibile ai governi futuri di farlo, per esempio per mezzo di una legge che ridefinisce il conflitto nel Donbass come una guerra contro la Federazione Russa. È proprio la paura che Zelenskyj cambierà direzione che ispira l’antipatia dei membri della linea dura verso il probabile futuro presidente dell’Ucraina.
Queste paure, tuttavia, sono ingiustificate. Come ha annunciato [in inglese] oggi l’agenzia di informazioni UNIAN:
Il candidato presidenziale ucraino Volodymyr Zelenskyj ha detto che il Donbass non ha bisogno di uno status speciale… Zelenskyj ha anche affermato che, se sarà eletto presidente, non firmerà la legge sull’amnistia per i militanti delle cosiddette “repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk”.
Dal momento che queste sono due condizioni assolutamente necessarie per una soluzione pacifica della guerra in Donbass, questa dichiarazione contraddice il fatto che Zelenskyj sia il “candidato della pace”. Ulteriori prove delle future politiche di Zelenskyj nei confronti del Donbass possono essere viste anche in una dichiarazione [in ucraino] dei primi dieci passi che intende intraprendere dopo aver preso il potere. Il numero uno è “invitare il Regno Unito e gli Stati Uniti ad aderire al Formato Normandia”, in altre parole ad aderire al processo che intende negoziare come gli Accordi di Minsk saranno messi in pratica.
Il Formato Normandia, come gli Accordi di Minsk, è praticamente morto. Ma portare il Regno Unito e gli Stati Uniti nel processo di pace è l’ultima cosa da fare se si è veramente interessati a riportarli in vita. Questi paesi non sono solo i due stati della NATO (forse escludendo il Canada) che sono i più risolutamente ostili alla Russia, ma non hanno neanche mostrato alcun interesse di persuadere l’Ucraina a fare le concessioni necessarie per adempiere ai suoi obblighi negli Accordi di Minsk. Al contrario, gli americani hanno spinto l’Ucraina nella direzione opposta. Prendiamo ad esempio la risposta americana alla proposta di Vladimir Putin per una forza di mantenimento della pace in Donbass. Mentre Putin propose una forza da schierare lungo la linea del fronte e separare fisicamente le due parti in guerra, gli americani, attraverso il loro rappresentante Kurt Volker, hanno suggerito di creare una forza che occupasse tutto il Donbass controllato dai ribelli, prendesse il controllo della repubblica ribelle confinante con la Russia, e disarmasse le formazioni ribelli, prima che venissero attuate tutte le riforme politiche (come la concessione dell’autonomia). Questo piano ribalta l’ordine degli eventi esposti negli Accordi di Minsk, e in effetti equivale ad un abbandono dell’accordo e al totale abbandono dei ribelli. Per quella stessa ragione, non ha speranze di riuscire.
I politici ucraini non sembrano ancora aver compreso la necessità di un compromesso, e gli americani in particolare hanno incoraggiato questa cecità. Portarli nel processo di pace ha senso solo se non si ha intenzione di fare concessioni, e si pensa che la soluzione sia mentire spingendo le cose verso la linea dura attraverso una maggiore pressione sulla Federazione Russa. Il fatto che Zelenskyj abbia proposto questo ci dice molto riguardo al suo atteggiamento nei confronti di Minsk e del processo di pace in generale – e cioè, quello che in questo momento non è molto disposto a fare è ciò che deve essere fatto per ottenere la pace a condizioni favorevoli all’Ucraina (ovvero vedere il Donbass di nuovo sotto controllo ucraino).
Invece, sulla base delle sue attuali dichiarazioni, è più probabile che vedremo una continua insistenza sulla capitolazione totale delle forze ribelli e della Federazione Russa. Il risultato sarà che il conflitto in Donbass continuerà ad andare avanti al suo attuale basso livello per un futuro indefinito. Certo, le cose che i politici fanno una volta eletti spesso differiscono da ciò che promettono durante le elezioni. E molto potrebbe cambiare durante la presidenza di Zelenskyj che potrebbe spingerlo in una direzione diversa. Per ora, però, l’idea che la sua elezione farà molto per accelerare l’arrivo della pace in Ucraina sembra un po’ inverosimile.
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Articolo di Paul Robinson pubblicato su Irrussianality il 18 aprile 2019.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
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