Il regno di Joseph Stalin fu un’era di terrore in cui tutti, dal ministro al contadino, potevano subire una lunga pena detentiva o la pena di morte per reati minori. Qui presentiamo le storie di sei persone illustri che hanno attraversato gli orrori delle prigioni di Stalin.

Come afferma lo storico Viktor Zemskovnotes, solo nel 1953 (l’anno della morte di Stalin) c’erano 5,4 milioni di persone in prigione – quindi il numero totale di persone incarcerate durante il regno di Stalin (1924-1953) è molto più alto. Tra le centinaia di migliaia di vittime, abbiamo scelto sei persone ricordate non solo per i loro tristi destini, ma anche per le loro carriere eccezionali.

1. Aleksander Solzhenitsyn

(1918-2008)

Il Capitano Solzhenitsyn fu arrestato nel 1945 mentre prestava servizio nell’Armata Rossa per aver criticato Stalin nelle sue lettere private. All’inizio, essendo un matematico, lavorò nelle sharashkas – laboratori segreti in cui le condizioni erano relativamente sopportabili. Tuttavia, lo mandarono presto nei campi di lavoro del Kazakistan, dove fu testimone di incredibili ingiustizie e violenze.

Dopo che il successivo leader dell’URSS, Nikita Khrushchev, nel 1956 denunciò il culto della personalità di Stalin e divulgò i fatti delle repressioni, Solzhenitsyn fu riabilitato – la commissione di Stato concluse che non aveva commesso alcun crimine esprimendo la sua opinione di Stalin nelle sue lettere, così tornò a Mosca. Nel 1962, riuscì a pubblicare la prima storia in assoluto di un prigioniero di un campo dell’URSS: Una Giornata di Ivan Denisovich, che scioccò il mondo e, alla fine, portò il comitato del Nobel a dare a Solzhenitsyn il premio per la letteratura nel 1970.

L’autore continuò la sua lotta per rivelare la verità, preparando un gigantesco lavoro sulle storie e le realtà dei campi, Arcipelago Gulag. Dopo anni di oppressione, le autorità lo costrinsero a lasciare l’Unione Sovietica nel 1974. Tornò solo vent’anni dopo.

2. Varlam Shalamov (1907-1982)

Altro scrittore sopravvissuto ai campi, che descrisse la natura inumana del sistema di reclusione, Shalamov ha ritratto mondi ancora più oscuri di Solzhenitsyn. Dopotutto, ha trascorso 14 anni nel sistema GULAG, venendo condannato tre volte – per essere un membro di un’organizzazione trotskista. Trascorse la maggior parte del tempo nella Kolyma, una remota regione dell’Estremo Oriente, famosa per i suoi campi in cui i prigionieri dovevano estrarre oro e altri metalli in un clima molto rigido, con inverni di -40° Celsius.

I Racconti di Kolyma, una raccolta di racconti sulla vita nei campi, rimane uno dei libri più terrificanti della letteratura russa, che mostra la vita ridotta alla sopravvivenza a tutti i costi, il degrado di ogni morale, la gente che si trasforma in animali a causa del freddo, della fame e del lavoro forzato. “I campi sono in tutti i sensi scuole del negativo. Nessuno riceverà mai nulla di utile o necessario da essi”, conclude Shalamov.

3. Osip Mandelstam (1891-1938)

Quando Osip Mandelstam, uno dei più importanti poeti del 20° secolo, scrisse l’“Epigramma di Stalin” nel 1933, il suo collega poeta Boris Pasternak lo definì “un atto di suicidio”. In effetti, questi versi negli anni ‘30, quando Stalin era diventato onnipotente, suonavano molto suicidi:

Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese,
a dieci passi le nostre voci sono già bell’e sperse,
e dovunque ci sia spazio per una conversazioncina
eccoli ad evocarti il montanaro del Cremlino.

Come ferri di cavallo, decreti su decreti egli appioppa:
all’inguine, in fronte, a un sopracciglio, in un occhio.
Ogni esecuzione, con lui, è una lieta
cuccagna ed un ampio torace di osseta.

“Il montanaro del Cremlino” lo sentì bene. Tra il 1934 e il 1937 Mandelstam fu esiliato a Voronezh (500 km a sud di Mosca), quindi tornò a Mosca ma fu nuovamente arrestato. Fu condannato a 5 anni nei campi di lavoro in Estremo Oriente per “propaganda antisovietica” e morì di tifo mentre si dirigeva lì, completamente esausto.

4. Sergej Korolev (1907 – 1966)

Lo scienziato Korolev è un’icona per ogni russo che lavora nel settore spaziale. Fu lui il responsabile del programma spaziale sovietico, che rese l’URSS una superpotenza spaziale, lanciando il primo satellite artificiale in orbita e poi mandando il primo uomo nello spazio nel 1964. Tutto ciò non sarebbe accaduto se Korolev fosse morto in un GULAG, dove venne mandato diversi anni prima.

Nel 1938, le autorità arrestarono Korolev e lo condannarono a 10 anni (in seguito ridotti a otto) nei campi per “sabotaggio”. Trascorse un anno nella Kolyma, dove sopravvisse alle torture e solo la fortuna gli impedì di morire lì. E poi nel 1940, fu trasferito a lavorare in un laboratorio segreto con altri scienziati privati dei loro diritti. Korolev lavorò a missili e progetti spaziali negli anni ‘50, ma solo nel 1957 venne completamente riabilitato.

5. Nikolaj Vavilov (1887-1943)

Genetista e botanico che ha viaggiato in tutto il mondo (con l’eccezione dell’Australia e dell’Antartide), Vavilov studiò le piante e le loro caratteristiche, poi lavorò nell’Istituto Pansovietico di Coltivazione delle Piante, migliorando i raccolti – grano, mais e altri – e fu devoto alla scienza e all’URSS. Tuttavia, questo non lo salvò dalle Grandi Purghe degli anni ‘30. La genetica che sosteneva era considerata “pseudoscienza” da Stalin, quindi la punizione non tardò ad arrivare.

Vavilov fu arrestato nel 1940, e per lui iniziarono una lunga serie di interrogatori e torture: fu costretto a “confessare” non solo il sabotaggio ma anche la creazione di un (inesistente) Partito Contadino segreto. Condannato a morte, Vavilov in seguito fu testimone della “misericordia”: nel 1942, il Presidio del Soviet Supremo sostituì la pena di morte con 20 anni nei campi di lavoro. L’anno seguente, Vavilov morì in prigione – solo per essere completamente “riabilitato” postumo nel 1954. La sua ricerca “anti-scientifica” finì per contribuire enormemente nel campo della genetica.

6. Georgy Zhzhonov (1915-2005)

Prima di diventare un famoso attore sovietico, Zhzhonov trascorse 14 anni in prigioni, campi e confini, sei dei quali nella Kolyma, sopravvivendo a malapena. “Non mi sono fatto illusioni, nessuna fiducia nella giustizia o nella legge… Fu una lotta ogni ora per la sopravvivenza, la sopravvivenza fisica”, ricordava nelle interviste. E qual era stato il suo “crimine”? Durante un viaggio di lavoro, il ventitreenne Zhzhonov aveva incontrato un diplomatico americano e gli aveva parlato per mezz’ora.

Dato che suo fratello maggiore, Boris, era stato arrestato per “attività antisovietiche”, Zhzhonov aveva poche possibilità di un processo equo. Fu condannato per “spionaggio” e mandato in un GULAG. È riuscito a sopravvivere e si è costruito una carriera di successo nel cinema dopo la riabilitazione. Ma non ha mai perdonato Stalin e il suo regime crudele.

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Articolo di Boris Egorov pubblicato su Russia Beyond the Headlines il 4 giugno 2019.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.

 

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