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“Posto di frontiera, al centro! Posto di frontiera, attenti! In linea! I membri sopravvissuti del dodicesimo posto di frontiera sono davanti a voi” – il filmato col breve rapporto del contuso Tenente Andrej Merzlikin fece il giro del mondo. La manciata di combattenti bendati salvatasi miracolosamente tutta intera riusciva a malapena a stare in piedi, molti avevano le lacrime agli occhi. Qualcuno chiede ad alta voce un medico al ricetrasmettitore portatile. La registrazione video mostra solo il finale del sanguinoso dramma che si svolse nel posto di frontiera russo in Tagikistan nel luglio 1993. Il suo culmine è rimasto dietro le quinte. Il materiale di RIA Novosti mostra come 48 guardie di frontiera hanno respinto centinaia di miliziani mujaheddin e militanti scelti della 55a Divisione di Fanteria del comandante di campo afgano Qazi Kabir.

Combattimento all’alba

Diversi gruppi di militanti tagiki e afgani, per un totale di 250 uomini, attaccarono il 12° Posto di Frontiera dell’Unità di Frontiera di Mosca verso le 4 del mattino del 13 luglio. Questo posto di frontiera, situato nella direzione strategica di Külob, fungeva da spina nel fianco del cosiddetto “governo del Tagikistan in esilio”, che stava preparando un’invasione su larga scala della repubblica e il rovesciamento delle autorità legittime.

Merzlikin, che ricopriva la posizione di vice capo del posto di frontiera, non ama ricordare quegli eventi. Anche ora, a distanza di 25 anni, parla con riluttanza del combattimento e ritiene di essersi semplicemente trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

“Tra i blindati avevamo solo un BMP, che venne dato alle fiamme durante i primi minuti”, ha detto a RIA Novosti. “Tra le armi pesanti avevamo 1 SPG-9 e 1 AGS-17, che si bloccò immediatamente. Il capo del posto di frontiera, il mio amico Miša Majboroda, si precipitò all’SPG-9 e iniziò a sparare – i miliziani mujaheddin erano già a 20 metri di distanza – e corse fuori da dietro l’edificio del posto di frontiera. Lì fu gravemente ferito da delle schegge nella schiena, penso che fossero di un proiettile di cannone senza rinculo. Applicai delle bende e incaricai Miša Kulikov e Vitja Barbašov di cercare il comandante, e me ne andai per coordinare l’altro fianco. Le granate volavano nella trincea, in alcuni punti si arrivò al combattimento corpo a corpo – i ragazzi usavano le pietre”.

A causa di una strana combinazione di circostanze, un giorno prima dell’attacco, la leadership dell’ufficio del comandante aveva ordinato a Majboroda di rimuovere le munizioni dal punto fortificato congiunto del posto di confine e di rimuovere i cosiddetti “segreti” – una postazione di fuoco con un squadra di vedetta che veniva spostata fuori dal perimetro. Di conseguenza, i militanti ricevettero un vantaggio più importante in aggiunta alla loro superiorità numerica – l’effetto sorpresa.

Il 12° Posto di Frontiera del Gruppo di Guardie di Frontiera russe nella Repubblica del Tagikistan come appariva nel 2012.

“Non erano malpreparati – la settimana prima avevano iniziato ad armare posizioni sulle alture dominanti”, osserva Andrej Merzlikin. “Hanno studiato il nostro sistema di difesa, le posizioni di tiro e la disposizione interna. Tutti noi lo abbiamo visto, ma non abbiamo potuto farci nulla – il comando aveva ordinato di non toccarli. Inoltre, gli afghani mandarono dei negoziatori ad assicurarci che ci avrebbero protetto. Per quanto posso giudicare, sono i militanti della 55a Divisione di Fanteria afgana che hanno partecipato direttamente all’attacco al posto di frontiera, e i miliziani mujaheddin li hanno solo coperti”.

Il Sergente Sergej Evlanov e il suo connazionale Sergej Suščenko nel luglio 1993 dovevano ancora attendere altri due mesi prima del congedo. “Quella mattina eravamo tornati da Shurabad, dove eravamo andati a chiamare casa, e volevamo andare a dormire, ma non ne avemmo il tempo – il fuoco di armi automatiche riecheggiò per strada”, disse Evlanov a RIA Novosti. “L’uscita dalle caserme era completamente esposta agli spari, ecco perché abbiamo dovuto uscire dalle finestre, arrivando dall’altra parte. Insieme al fratello minore del comandante del posto di frontiera, Ivan Majboroda, abbiamo raggiunto il punto fortificato e occupato un perimetro difensivo. Ad un certo punto ci fu la sensazione che fosse come quando i bambini giocano alla guerra: una granata atterrò nella trincea e l’onda d’urto mi gettò verso l’alto. Però non provai dolore, e continuai a combattere”.

Nella fila in alto, al centro – l’Eroe della Federazione Russa Vladimir Elizarov, che combatté corpo a corpo da solo contro cinque militanti

Sette proiettili

Il 12° Posto di Frontiera, circondato su tre lati da montagne, venne attaccato con tutto ciò che sparava: mortai, RPG, mitragliatrici, lanciagranate montati su treppiedi e contenitori di NURS – razzi non guidati – rimossi dagli elicotteri. Gli edifici della caserma, la casa degli ufficiali e gli edifici annessi presero fuoco a causa di numerose esplosioni.

All’inizio della battaglia gli afghani fecero a pezzi i difensori del posto di frontiera che erano sopravvissuti ai depositi di armi, ma non riuscirono a cacciarli dall’ultima cittadella improvvisata – una trincea mezza in rovina sul bordo di un altopiano – per diverse ore. L’intero territorio era esposto al fuoco incrociato, i soldati insediati nella trincea non avevano la minima possibilità di raggiungere il comandante ferito rimasto alla postazione dell’SPG-9.

Il comandante del 12° Posto di Frontiera, il Primo Tenente Michail Majboroda

“Quando lo scontro a fuoco diminuì un po’, abbiamo cercato di salvare il nostro comandante, ma non ci riuscimmo – i miliziani mujaheddin non ci permettevano di alzare la testa, i cecchini erano al lavoro”, ricorda Merzlikin. “I ragazzi urlarono a Barbašov e Kulikov che erano rimasti con lui, ma non risposero. Dopo un po’ sentii Kulikov che gridava ad alcuni militanti: “Che cosa state guardando? Sparatemi!” Lo capii: è tutto, è la fine per loro”.

A sinistra – il Soldato Mirbako Dodokalonov, e al centro – il Sergente Sergej Evlanov

Alcuni tentativi disperati di sfondare dalla trincea al magazzino delle munizioni non vennero coronati dal successo. Il Soldato Dodokalonov si precipitò verso la casa degli ufficiali in fiamme, dove sotto il letto c’era una scatola di proiettili di mitragliatrice. “Al posto di frontiera lo chiamavamo Dodik”, sorride Andrej. “Quando si precipitò lì pensavamo che fosse la fine, che questa sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe corso: i militanti attaccarono l’edificio usando tutte le armi a disposizione. Diversi ragazzi morirono davanti ai miei occhi. E all’improvviso Dodik salta fuori con una scatola con 200 proiettili all’interno. Se non fosse stato per lui, saremmo stati fritti. Li dividemmo tutti in parti uguali. Più tardi, quando eravamo già partiti, calcolai che a ognuno rimanevano 7 proiettili”.

Il comandante ammette di aver ritardato l’ordine di ritirata fino all’ultimo minuto: “Se devo essere sincero, avevo paura di prendere questa decisione e non avevo intenzione di lasciare quel posto di frontiera. Dopo che Miša fu ferito, dovetti prendermi l’incarico di difendere quel posto. Oltre a questo, non si sapeva se lì ci fosse ancora della gente. Ma la battaglia era durata già parecchie ore, non c’erano comunicazioni e non c’erano più proiettili. Avevo un caricatore, forse un po’ di più, mentre altri non avevano nulla in generale”.

Il 12° Posto di Frontiera del Gruppo di Frontiera di Mosca del Gruppo di Truppe di Frontiera russe nella Repubblica del Tagikistan

Verso le 11, due elicotteri russi comparvero in cielo e condussero attacchi aerei contro i militanti nascosti sulle montagne. I piloti non si arrischiavano a scendere più in basso vicino al posto di frontiera – pochi mesi fa in quest’area un aereo era stato abbattuto da un sistema SAM. Vedendo che le munizioni erano poche, che non c’erano comunicazioni, e che non c’era un posto dove attendere aiuto, il comandante capì: era ora di andarsene – altrimenti saranno semplicemente stati uccisi disarmati. Compreso lui, 17 persone erano rimaste vive, e due di esse erano gravemente ferite: uno con una ferita da arma da fuoco allo stomaco e il secondo – alla mano.

Vuoto assoluto

Abbiamo deciso di sfondare lungo la gola vicino al torrente, verso il vicino kishlak di Sari Gor – secondo i calcoli del tenente, solo in questa direzione era possibile incontrare i nostri. Organizzò una ritirata secondo tutte le norme: davanti c’era l’avanguardia con i combattenti più forti, poi le forze principali e i feriti, e dopo di essi – la coda della colonna. Diede al sergente Sergej Evlanov il compito di coprire la colonna.

Vicino al kishlak l’unità finì in un’imboscata di miliziani mujaheddin che erano stati lasciati indietro a sbarrare la strada a gruppi di supporto. Dopo un breve scontro a fuoco, le guardie di frontiera cercarono di aggirare Sari Gor e arrivare in una zona più elevata. Lì incontrarono di nuovo un intenso fuoco di mitragliatrice. Durante questo passaggio Evlanov ricevette una ferita al torace.

“Come risultato ci fermammo a curarlo – sparate dove volete [parlando ai militanti – n.d.a.] – e andammo avanti, praticamente su una ripida salita”, dice Merzlikin, che in quella battaglia ricevette due contusioni e una ferita di striscio alla testa. “Fino ad un’altezza di 90 metri, non di meno. Mi ricordo che poi ci siamo fatti strada attraverso un giardino di noci: pistacchi e noci… Ci siamo imbattuti nel nostro cosiddetto terzo altopiano, vicino al punto di sovrapposizione delle zone di responsabilità del 12° e 13° Posto di Frontiera. Non provavo piacere, ricordo di aver provato solo un senso di ingiustizia e un completo vuoto emotivo. Fu molto doloroso rendersi conto che eravamo vivi, ma i nostri amici no”.

Abbiamo lasciato l’accerchiamento diretti verso l’avanguardia della riserva del Gruppo di Confine di Mosca, rafforzato da blindati, che era in movimento dal 13° Posto di Frontiera per fornirci aiuto. Il Tenente Colonnello Masjuk comandava questo gruppo. L’aiuto non era arrivato in tempo, perché i militanti mujaheddin avevano provvidenzialmente minato l’unica strada che portava al 12° Posto di Frontiera e l’avevano tenuta sotto un fuoco intenso, senza consentire ai genieri di rimuovere neanche una mina. Si riuscì a liberare la strada e sfondare verso il posto di confine catturato solo per la sera.

Guardie di confine del 12° Posto di Frontiera del Gruppo di Frontiera di Mosca del Gruppo di Truppe di Frontiera russe nella Repubblica del Tagikistan

In totale 25 militari russi sono morti al 12° Posto di Frontiera durante gli scontri, e secondo le stime morirono circa 70 militanti. Merzlikin e Evlanov hanno ricevuto il titolo di Eroe della Federazione Russa. Altri 4 vennero decorati postumi. Tutto il personale del posto di frontiera e anche l’equipaggio del BMP della 201a Divisione Fucilieri Motorizzati venne raccomandato per ricevere decorazioni statali.

Andrej Merzlikin è diventato maggior generale dell’FSB, ora è nella riserva e ricopre la posizione di consigliere del presidente dell’Unione russa delle Arti Marziali. Sergej Evlanov, che dopo il servizio di leva militare ha lavorato per lungo tempo come guardia del corpo, ora dirige l’organizzazione patriottica pubblica interregionale “Podvig”.

Nella fila in basso – due futuri Eroi della Federazione Russa: Sergej Suščenko e Sergej Evlanov

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Articolo di Andrej Atanovov e Viktor Zvancev pubblicato su The Saker.is il 14 luglio 2018
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia

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