La Sobčak ad una dimostrazione a Mosca nel maggio 2012 (Fonte: Wikimedia Commons).

La scorsa settimana, la star dei social e candidata alle presidenziali russe Ksenia Sobčak ha trascorso tre giorni negli Stati Uniti, parlando con i politici e presentandosi ai think tank come parte della sua campagna presidenziale. La sua candidatura segnala un tentativo da parte di alcune sezioni del Cremlino di trovare canali per un riavvicinamento all’imperialismo USA e per serrare i ranghi all’interno della classe dominante.

Ha concluso il suo viaggio di tre giorni negli Stati Uniti il ​​7 febbraio, con una presentazione presso l’Harriman Institute della Columbia University, uno dei più importanti gruppi di esperti che si occupano della politica estera imperialista degli Stati Uniti nell’ex Unione Sovietica. In precedenza aveva trascorso due giorni e mezzo a Washington, dove ha fatto il giro dei think tank come il Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS), ha parlato all’Università di Georgetown e ha partecipato al National Prayer Breakfast su invito di Trump e della Casa Bianca. Ha rilasciato anche interviste alla CNN e ad altri canali televisivi.

È giusto supporre che, al di fuori di un piccolo strato all’interno delle élite politiche, nessuno negli Stati Uniti o nell’Europa occidentale sapesse qualcosa di Ksenia Sobčak prima di questo viaggio. Eppure in Russia è una delle figure pubbliche più conosciute. In qualità di figlia di Anatolij Sobčak, che è stato sindaco di San Pietroburgo negli anni ‘90 e mentore di Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev, ha fatto parte dei circoli dominanti della Russia fin dalla sua infanzia. La famiglia Sobčak fu al centro delle violente guerre di mafia per il controllo economico e il potere politico che hanno dominato gli anni ‘90, e Ksenia Sobčak conta molti di coloro che hanno distrutto lo stato sovietico e lo hanno derubato tra i suoi amici più cari.

Anche se inizialmente si è fatta un nome come “Paris Hilton russa”, posando per l’edizione russa di Playboy e partecipando a vari reality show televisivi, come molti rampolli dell’élite politica russa, ha conseguito una laurea presso l’Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali (MGIMO), che tradizionalmente addestra le quadre del governo russo e dell’apparato statale. Negli ultimi anni, ha professato le sue ambizioni politiche, in qualità di leader autoproclamatasi del movimento di opposizione liberale e delle proteste nella capitale russa del 2011-2012.

La sua attuale candidatura presidenziale è formalmente sostenuta da Iniziativa Civile, uno dei tanti partiti e raggruppamenti pseudo-liberali, spesso dalla vita breve. I sondaggi indicano che il 18 marzo potrebbe ricevere meno dell’1% dei voti.

La Sobčak ha annunciato la sua candidatura contro Vladimir Putin, che ci si aspetta vinca con un ampio margine le elezioni del 18 marzo, poco dopo che al principale leader della cosiddetta opposizione liberale, Alexei Navalny, è stata vietata la partecipazione. Navalny si oppone fermamente alla candidatura della Sobčak, ed ha sostenuto il boicottaggio delle elezioni.

La domanda più ovvia sulla sua candidatura è: qual è il suo scopo?

La stessa Sobčak ha ammesso di aver discusso personalmente con Putin prima di annunciarla. Il suo intero viaggio negli Stati Uniti è stato trattato non solo dai media americani, ma anche da quelli di Stato russi.

Nelle sue presentazioni al CSIS a Washington e all’Harriman Institute della Columbia, ha enfatizzato il suo orientamento verso l’Occidente e l’impegno verso una politica in stile Rivoluzione Arancione. Lasciando da parte le sue banalità su “liberalismo”, “democrazia”, ​​“trasparenza” e “onestà”, un copione ormai conosciuto da tutti coloro che seguono le macchinazioni della politica estera imperialista USA e dei suoi lacchè nell’ex Unione Sovietica, il suo programma si riduce a questo:

  • Riavvicinamento alla NATO e agli Stati Uniti in particolare, e passi verso l’integrazione della Russia nell’Unione Europea. Il risultato sarebbe una significativa diminuzione delle spese militari (che ora ammontano al 20% del PIL russo).
  • Difesa incondizionata della proprietà privata (“la proprietà è sacra”) e necessità di uno “stato forte” per proteggerla.
  • Apertura della Russia agli investitori stranieri, incluso il diritto degli stranieri di investire e possedere parti delle industrie chiave della Russia, tra le quali petrolio e gas.

I suoi vuoti slogan sul miglioramento del sistema educativo o i lamenti sul cattivo stato degli ospedali sono ovviamente nient’altro che una maschera. L’apertura e la ristrutturazione dell’economia russa trasformerebbero la Russia, ormai fondamentalmente una semi-colonia dell’imperialismo mondiale a livello economico, in un vero e proprio parco giochi per l’imperialismo e le sue imprese. Ciò comporterebbe massicci attacchi agli standard di vita già drammaticamente bassi della classe operaia.

La “democrazia” che la Sobčak immagina è la “democrazia” e la “libertà” degli oligarchi e aspiranti imprenditori di arraffare qualunque ricchezza riescano ad ottenere, troppa della quale, a loro parere, è ora sotto il controllo di Putin, dei suoi amici e alleati e dello Stato.

Parlando all’Harriman Institute, la Sobčak ha dichiarato di essere in stretti contatti con l’ex-oligarca Michail Khodorkovsky, che Putin ha incarcerato soprattutto per impedire la svendita dell’industria petrolifera russa alle compagnie americane.

Ksenia Sobčak con Timothy Frye, direttore del dipartimento di scienze politiche e capo dell’Harriman Institute della Columbia University il 7 febbraio (fonte: World Socialist Web Site).

La reclusione di Khodorkovsky è stata sostenuta da ampi strati della popolazione, rimasti indignati dall’aperta criminalità con la quale aveva raggiunto la sua fortuna negli anni ‘90. Verso la fine del 2013, Putin lo ha rilasciato, nel tentativo di placare le potenze imperialiste e aprire la strada ad un riavvicinamento, una mossa che non ha prodotto i risultati sperati dal Cremlino. Al contrario, con il colpo di Stato in Ucraina, sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea hanno intrapreso la strada del confronto aggressivo con la Russia.

Anche se difende le politiche associate all’opposizione liberale e un movimento in stile Maidan, rifiuta la ripetizione di un simile movimento in Russia, e considera i richiami al boicottaggio da parte di Navalny come “troppo radicali”. Piuttosto, il suo obiettivo è “influenzare Putin, influenzare il sistema” nei prossimi sei anni raggiungendo un risultato elettorale consistente.

In un momento cruciale all’Harriman Institute della Columbia, ha avvertito che qualsiasi altra cosa potrebbe portare ad una rivoluzione “che sarà molto diversa dalla nostra” (nel senso di quella proposta dall’opposizione liberale); una che sarebbe “molto più radicale perfino di quella che difende Navalny. E nessuno lo vuole, quindi manteniamola in questa cornice di discussioni” – discussioni che, ovviamente, si svolgono solo all’interno dei circoli dominanti e alle spalle del popolo.

Ha continuato proponendo esplicitamente che andrebbe trovato un “candidato di compromesso” per la successione a Putin, suggerendo il Ministro delle Finanze Aleksej Kudrin, uno dei consiglieri più vicini a Putin e un pupillo delle élite finanziarie internazionali.

La candidatura della Sobčak è un risultato e un’espressione della profonda crisi dell’oligarchia russa.

In mezzo allo scontro crescente con l’imperialismo USA, le lotte di potere dietro le porte del Cremlino si sono intensificate. Gleb Pavlovskij, ex consigliere di Putin, che ora lavora per il think tank imperialista americano Carnegie, ha scritto lo scorso autunno:

“Ora è possibile parlare di un sistema che funzioni senza Putin. Non agisce in sintonia con la sua cerchia ristretta. Ognuno si sente a disagio con l’altro, mentre il presidente diventa sempre più restio ad intervenire per risolvere le lotte di potere all’interno dell’élite… L’atmosfera all’interno dell’apparato governativo diventa sempre più paurosa e la rivalità con le agenzie di sicurezza si sta intensificando. Gli arresti che si svolgono nei circoli del Cremlino non vengono eseguiti secondo il “piano di Putin”, ordinato dall’alto, ma sono piuttosto una manifestazione di competizione per il potere… L’obiettivo politico a breve termine non è quello di arrivare ad una Russia post-Putin, si tratta di pianificare una transizione. Ma vale la pena notare che le discussioni riguardano esclusivamente la preservazione del sistema, non la preservazione di Putin”.

Queste lotte di potere sono alimentate non solo dalla paura di una guerra con gli Stati Uniti, ma anche dalle crescenti tensioni di classe in Russia e a livello internazionale. Con la povertà e l’insoddisfazione sociale in crescita in Russia, il Cremlino ha senza dubbio visto con grande ansia l’eruzione delle lotte della classe operaia in Medio Oriente e in Europa.

C’è una vera paura da parte di Putin e di alcune parti sostanziali dell’oligarchia russa che un’escalation delle lotte di potere all’interno delle élite, compresa l’opposizione liberale, potrebbe aiutare a provocare disordini all’interno della classe operaia russa. Ksenia Sobčak, che è stata plasmata dalle feroci lotte per il potere nell’oligarchia degli anni ’90 e le ha sperimentate in prima persona, condivide questa paura.

In contrasto con Navalny, rappresenta un’ala all’interno dell’oligarchia e dell’alta borghesia che vede la ripetizione di un movimento simile al Maidan in Russia tanto irrealistico quanto troppo destabilizzante. Secondo lei, le “questioni in discussione”, cioè in quale misura il mercato russo dovrebbe essere aperto al capitale straniero e come si possa raggiungere un riavvicinamento con l’Occidente, possono e devono essere discusse a porte chiuse da rappresentanti dell’opposizione liberale, dell’imperialismo USA e dei circoli dirigenti all’interno del Cremlino.

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Articolo di Clara Weiss pubblicato su Global Research il 13 febbraio 2018.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.

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