Gli atroci attacchi terroristici avvenuti nella capitale cecena Grozny la notte del 4 dicembre hanno causato la morte di 10 poliziotti e il ferimento di altri 28.

Nove terroristi sono stati uccisi nelle operazioni di anti-terrorismo.

La tempistica degli attacchi non è certamente casuale: il Presidente Putin si stava rivolgendo all’Assemblea Federale Russa mentre le operazioni entravano nelle fasi finali. Per molti le diverse ore di scontri e l’assedio immaginato della città non sono state semplicemente scioccanti ma anche affatto sintomatiche.

Per Putin il ritorno alla violenza ricorda un problema che pensava di aver risolto nei all’inizio degli anni 2000: nei primi momenti del suo governo ha convinto la popolazione grazie al suo successo nello sconfiggere gli estremisti in Cecenia, per poi delegare il lavoro a Ramzan Kadyrov, figlio del precedente Presidente Ceceno Akhmad Kadyrov assassinato nel 2004.

Ramzan Kadyrov è profondamente impegnato a combattere gli jiadisti in Cecenia.

Le recenti violenze a Grozny hanno interrotto un periodo di pace relativamente lungo dovuto in parte alle sue iniziative anti-terroristiche e hanno avuto un impatto sul suo profilo di leader. Nel settembre del 2013 Kadyrov ha annunciato l’uccisione di Dokku Umarov, il leader del gruppo estremista “Emirato Caucasico”, dichiarandola una vittoria personale. Lo scorso novembre Kadyrov ha reso pubblica l’eliminazione di Omar al-Shishani, fondamentale comandante dell’ ISIS, presumibilmente dovuta all’intervento all’estero di combattenti ceceni.

In quella che è diventata una guerra personale le recenti violenze a Grozny rappresentano per Kadyrov un’ulteriore dura battaglia.

L’attacco è stato una sorpresa nella regione: circondata da malcontento socio-economico e da un intensificarsi dei movimenti radicali nelle confinanti Repubbliche del Dagestan, Inguscezia e Kabardino-Balkaria la Cecenia è diventata un faro di stabilità.

Per i russi ha rappresentato un doloroso ricordo dei torbidi giorni di inizio anni ’90 quando tragiche storie concernenti eventi in Cecenia rappresentavano le più importanti notizie quotidiane, racchiudendo la nazione in quella che sarebbe stata chiamata “la fatica cecena”.

Per gli occidentali è stata un’indicazione, se non una piena rivelazione, di una situazione meno stabile rispetto alle descrizioni ufficiali nella repubblica una volta ribelle.

Per lo stato russo la prima domanda è sapere se l’attacco è stato la prima operazione dell’ISIS orchestrata in Russia.

Sarebbe prematuro affermare che la Cecenia sta scivolando ancora nel caos degli anni ’90 e inizi del 2000. Di fatto Ramzan Kadyrov ha ancora il pieno controllo dela Repubblica. Il suo accordo con Putin è ancora valido, con il leader russo a riporre le proprie speranze di stabilità nelle mani del “fedele soldato”, nel bene e nel male.

Putin si è espresso sugli avvenimenti di Grozny nel suo discorso all’Assemblea Federale, rassicurando il popolo russo sul fatto che “i ragazzi del luogo e le locali forze di polizia affronteranno propriamente i terroristi.”

Le drammatiche violenze a Grozny potrebbero avere un impatto ancora maggiore sulle relazioni tra Russia e Occidente. Nel passato le ostilità in Cecenia sono state altamente irritanti per la Russia. Oltre al confronto con l’Occidente in Ucraina il Cremlino potrebbe interpretare questo e qualunque ulteriore atto terroristico nel Caucaso come “un tentativo occidentale di destabilizzare la Russia”. Qualche segno di pericolo porta già in questa direzione. Nel suo discorso all’Assemblea Federale Putin ha sottolineato che “il sostegno diretto ai movimenti separatisti e al terrore in Russia [negli anni ‘90]” era un aspetto delle “politiche di contenimento rivolte alla Russia” dall’Occidente – dipingendo un significativo parallelismo con i recenti eventi in Cecenia.

Fino a oggi questo è solo un segnale.

Ma per evitare che questo diventi un reale intento l’Occidente – dal canto suo – non dovrà riprendere il linguaggio degli anni ’90 quando chiamava i terroristi “combattenti per la libertà” offrendo loro supporto diretto e indiretto: dovrebbe invece perseguire un approccio comprensivo e solidale che sottolinei il comune pericolo del terrorismo islamico visto come residuale elemento che potrebbe salvare le relazioni russo-occidentali dal rischio di affondamento.

Per alcuni l’aforisma di Friedrich Nietzsche “ciò che cade deve anche essere spinto” potrebbe rappresentare una tentazione ma comunque porterebbe a un ulteriore allargamento della frattura tra Russia e Occidente, col rischio di portare entrambe le parti a un punto di non ritorno.

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Di Maxim A. Suchkov, già professore invitato alla Georgetown University (2010-11) attualmente collabora con Al Monitor (Russia Pulse) e insegna all’Istituto di Sudi Strategici (Pyatigorsk).

Originariamente pubblicato il 5.12.2014
Traduzione a cura di EmmE per sakeritalia.it

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