Yuri Bondarenko, storico, pubblicista, specialista in storia e filologia polacca, in un’intervista del 2012 racconta una pagina poco conosciuta della guerra patriottica del 1812:

“Crudeltà disumana”

Nel 1820 in Francia furono pubblicate le memorie del generale Philippe-Paul De Segur, ufficiale aiutante personale di Bonaparte. Questi ricordi provocarono un turbamento inaudito, in seguito furono addirittura usati da Lev Tolstoj, per descrivere la battaglia di Borodino in “Guerra e Pace”. Cosicché, nel 6° capitolo delle sue memorie, De Segur racconta in dettaglio la ritirata dell’esercito napoleonico da Mosca, inclusa la scena orrenda che si presentò davanti al comando delle forze francesi dopo aver superato Mozhajsk (1)  e il campo di Borodino, dove a quel tempo c’erano ancora “trentamila cadaveri mezzo spolpati”.

“… La colonna imperiale si stava avvicinando a Gzhatsk (oggi è la città di Gagarin, nda); rimase impressionata trovando sul suo percorso dei Russi appena uccisi. Sorprendente era il fatto che ognuno di loro presentava esattamente, allo stesso modo, la testa frantumata col cervello sanguinante schizzato proprio lì. Si sapeva che davanti a noi erano passati duemila prigionieri russi, scortati dagli Spagnoli, dai Portoghesi e dai Polacchi… Attorno all’imperatore nessuno manifestò i propri sentimenti. De Caulaincourt (diplomatico all’epoca di Napoleone, fu ambasciatore in Russia e ministro degli Affari esteri della Francia, nda) perse la pazienza ed esclamò: ‘Che crudeltà disumana! Così è questa la civiltà che abbiamo portato in Russia! Quale impressione susciterà al nemico questa barbarie? Non abbiamo lasciato a lui i nostri feriti e un gran numero di prigionieri? Non è che ci sarà qualcuno su cui si vendicherà  crudelmente?'”.

Davanti a noi – le prove innegabili di un crimine di guerra. Raccontate da chi? Non da chi combatté contro di loro, ma da una persona (De Segur, ndr) della cerchia ristretta di Napoleone! A proposito, De Segur dopo la guerra divenne senatore, e visse a lungo. Ed è stato accusato duramente dai suoi compatrioti, poiché nelle sue memorie non descrisse i Russi come dei totali idioti e non considerò la sconfitta di Napoleone solo come merito del “generale Gelo”.

Nel frattempo, come scrive ancora un testimone oculare, davanti a questa scena spaventosa “Napoleone mantenne un cupo silenzio; ma il giorno dopo le uccisioni cessarono. Si limitarono a condannare questi sfortunati a morire di fame dietro i recinti, dove venivano portati per la notte, come bestiame. Senza dubbio erano barbarie; ma cosa si poteva fare? Scambiare i prigionieri? Il nemico su questo non era d’accordo. Lasciarli andare liberi? Avrebbero raccontato della nostra situazione disastrosa e, congiungendosi ai loro, si sarebbero scagliati rabbiosamente dietro di noi. In questa guerra spietata, concedere loro la vita equivaleva a sacrificare noi stessi. Bisognava essere crudeli per necessità..”.

Il numero esatto dei prigionieri russi uccisi, purtroppo, è rimasto sconosciuto. Come sconosciuto è rimasto il numero dei sopravvissuti. Sotto Shevardino (battaglia combattuta il 5 settembre 1812, ndr) e Borodino (il 7 settembre, ndr) i russi (tra uccisi, feriti e catturati) persero 44mila soldati e 1,5mila ufficiali.

Secondo varie stime, furono 700-800 i prigionieri allora catturati dai Francesi. Ma in seguito questo numero avrebbe potuto aumentare drasticamente a causa dei soldati feriti rimasti a Mosca. Come si può notare, De Segur parla di duemila nostri prigionieri (russi ndr) in cammino davanti alla colonna imperiale. A quanto pare, una parte significativa di loro perì.

Vendetta del vincitore?

Ma perché il sospetto cade proprio sui Polacchi se nelle memorie si parla anche di Spagnoli e di Portoghesi? La risposta è semplice: in Spagna c’era una guerra partigiana contro i Francesi, gli Spagnoli e i Portoghesi che combattevano nelle file della “Grande Armata” non furono convocati di loro spontanea volontà. Non avevano motivo di nutrire né amore per Napoleone, né odio per i suoi avversari. I polacchi, invece, combattevano contro i Russi su richiamo dei sentimenti. Andarono da Bonaparte come volontari, con la speranza di ripristinare il loro Stato. Un dettaglio degno di nota: quando l’esercito russo all’inizio della guerra si ritirò dai confini dell’impero attraverso le terre bielorusse abitate in gran parte da Polacchi, dovette affrontare forme di guerra partigiana, i convogli russi furono attaccati più di una volta.

Possiamo ricordare un altro fatto: un mese prima degli eventi descritti, appena le truppe di Napoleone entrarono a Mosca, per prima cosa i polacchi del 5° Corpo di Poniatowski irruppero nel Cremlino e portarono via tutti i trofei che Minin e Pozharsky presero agli invasori polacchi 200 anni prima, nel 1612 (2). Li portarono via per distruggere le tracce delle loro sconfitte passate..

Perciò, nell’autunno del 1812, i militari polacchi avevano una ragione rilevante per trattare crudelmente i nostri prigionieri (russi, ndr). Capirono che la disfatta di Napoleone li avrebbe privati ​​delle possibilità di restaurare uno Stato polacco indipendente.

L’uccisione di questi prigionieri russi, in effetti, richiama lo stesso crimine di guerra della tragedia di Katyn, durante la quale migliaia di cittadini polacchi furono uccisi nel 1940 (per mano del NKVD sovietica, ndr). La portata di questi drammi, ovviamente, è diversa: nella foresta di Katyn morirono molte più persone. Ma questo non significa che i nostri soldati, vilmente uccisi nell’ottobre 1812, non meritino che la loro tragedia non venga ricordata. Un episodio di 200 anni fa mostra che non tutto andò in modo univoco e chiaro, e che i Russi potrebbero benissimo esibire il conto per crimini di guerra alla controparte polacca.

Nell’interesse delle relazioni di buon vicinato con la Polonia, non ci si può impegnare costantemente a presentare reciproci affronti. Ma nemmeno abbiamo il diritto morale di dimenticare i nostri soldati. A mio avviso, è necessario rendere omaggio alla memoria dei caduti innocenti. Oggi, non c’è nulla nel luogo della loro morte sulla vecchia strada per Smolensk – non un monumento, nemmeno un segno commemorativo. È ora di riparare a questa mancanza nei giorni del 200° anniversario della tragedia di Gzhatsk. Spero che il governatore della regione di Smolensk prenda una giusta decisione.

Esito dell’intervista e conclusioni di Yuri Bondarenko:

Quando studiavo a Varsavia, ho letto le memorie dell’ufficiale aiutante di Napoleone, il conte De Segur. Questo libro non è stato pubblicato in URSS. Molto più tardi, ho rilasciato un’intervista sull’episodio dell’omicidio dei prigionieri russi nell’autunno del 1812 durante la ritirata da Mosca dopo la battaglia di Maloyaroslavets. Nella stessa battaglia, tra l’altro, come ulteriore dettaglio storico, combatté anche il 4° Corpo della “Grande Armata” composto da Italiani sotto il comando di Eugène de Beauharnais. Gli Italiani combatterono brillantemente, ma il loro valore ormai non poteva più salvare Bonaparte.

I Polacchi spinsero verso ovest i prigionieri russi e poi li ammazzarono.

La mia intervista del 2012 venne letta nel 2013 da Rostislav Medinskij, consigliere del capo della Società storico-militare russa. Grazie ai suoi sforzi, entro un mese un monumento commemorativo fu eretto a Gzhatsk.

Note 

(1) Mozhajsk è una città russa situata sulla storica strada che porta a Smolensk e successivamente in Polonia.

(2) Quando le forze del principe Dmitry Pozharsky e di Kuzma Minin liberarono Mosca dai polacchi. In seguito tutta la terra russa fu liberata da distaccamenti sparsi di signori polacchi. Fu il momento in cui il popolo russo, radunandosi di fronte al pericolo, salvò la propria Patria dal giogo straniero. A ricordo dell’impresa di Minin e Pozharsky, nel 1818, fu eretto sulla Piazza Rossa un monumento, tuttora presente.

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Articolo di Vitaly Tseplyaev pubblicato su AIF il 20 ottobre 2012
Traduzione in italiano a cura di Eliseo Bertolasi per Saker Italia.


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